Quando Degasperi volò negli Usa e salvò l'Italia dalla fame
L’articolo del “Corriere Tridentino”, che poi diventerà L’Adige, di domenica 5 gennaio 1947 sbalordì i lettori: “Il nuovo anno inizia bene. Il Presidente del Consiglio Alcide Degasperi è partito ieri mattina per l’America”. In aeroplano. Invitato dal Presidente Harry Truman. Davvero un lampo di speranza nel mezzo di un durissimo inverno di freddo, neve, privazioni e disperazione per quegli uomini che non sarebbero più tornati dalla guerra. Come ricordava Maria Romana, che aveva accompagnato suo padre negli Usa.
Il quotidiano diretto da Taulero Zulberti narra che quel viaggio “ha lo scopo di salvare gli italiani dalla fame, di firmare un patto di amicizia con gli Usa, di raccogliere gli aiuti per risollevare il Paese devastato, stremato” dove la gente prostrata dalla disoccupazione, soffrendo la fame, accoglieva con mortificante entusiasmo il pane banco, le scatolette di carne Spam, le tavolette di cioccolata, le stecche di sigarette Chesterfield e le calze di nylon che garantivano infiniti baratti.
Quel giorno a Sciacca, Accursio Miraglia, dirigente del Partito Comunista e segretario della Camera del Lavoro, venne ucciso dalla mafia che trionfava in Sicilia. ma i giornali diedero poco spazio alla notizia indugiando sulla partenza per gli Usa. All’aeroporto di Ciampino Degasperi riceve gli onori da un picchetto di Avieri americani e di Corazzieri. Indossa un cappotto che, secondo la leggenda, gli era stato prestato perché il suo risaliva a prima della guerra ed era troppo liso. Lo accoglie e lo accompagna fino alla scaletta dell’aereo il capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola che gli raccomanda – come scrisse negli anni Sessanta Giulio Andreotti – di chiedere agli americani di aumentare la razione di pane “perché con duecento grammi giornalieri, i giovani non ce la fanno più”. Ogni giorno il dramma della fame era davanti a tutti nelle città devastate dai bombardamenti; a Trento c’erano macerie alla Portèla, nel rione di San Martino, in via Oriola, nell’attuale piazza Lodron. Gli sfollati avevano lasciato i rifugi di piazza Venezia e della Busa per vivere nella Torre Vanga e fra gli spazi di fortuna ricavati in quelli che adesso sono gli splendidi palazzi Trentini e Geremia.
Un anno prima, il 6 febbraio del 1946, Herber Lehman, presidente dell’Unrra, l’ente fondato per aiutare gli stati devastati dalla guerra, aveva telegrafato a Degasperi per avvertirlo che “le derrate disponibili per i prossimi mesi saranno grandemente ridotte” e il 3 aprile – questo lo si legge in un articolo del “Corriere Tridentino” – a Londra, il delegato italiano alla conferenza internazionale sugli alimenti, avvertiva che l’Italia “avrà grano per sole altre tre settimane”. Il giorno dopo Pio XII rivolgendo a tutto il mondo un radiomessaggio per chiedere aiuti per l’Italia, chiudeva l’appello con le bibliche parole “i pargoli domandavano pane e non era chi loro lo desse”. Poi l’11 aprile Degasperi telefonò a Fiorello La Guardia divenuto presidente dell’Unrra dicendogli: “Non possiamo ridurre la razione di pane senza esporre il popolo alla fame”. E La Guardia fece il miracolo. Via radio ordinò alle nave che in mezzo all’Atlantico puntavano su altri attracchi, di raggiungere i porti di Genova e Napoli per scaricare sessantamila tonnellate di cereali.
Nell’estate del 1946 in Francia, Inghilterra, Grecia, Russia, Iugoslavia, Abissina, Somalia e Stati Uniti c’era poca voglia di perdonare agli italiani il fascismo, la guerra, la morte di migliaia di soldati; la Russia pretendeva riparazioni davvero impossibili, né Palmiro Togliatti, il leader del Pci arrivato da Mosca, riusciva a mitigare il dettato del compagno Stalin. Il 21 luglio i giornali avevano annunciato il pericolo di una carestia e di una rivolta perché la razione di pane era scesa a cinquanta grammi giornalieri, gli allevamenti di bestiame erano decimati, non c’erano carne, latte, formaggi, pesce, riso, avena, legumi, patate mentre tabacco e sapone, lana si trovavano solo alla borsa nera.
Dilagava la violenza, le milizie del maresciallo Tito erano accampate ad est dell’Isonzo e all’inizio del Quarantasette, anche questo lo ha scritto Andreotti, “la situazione italiana sembrava precipitare in un baratro aggravato senza speranza dalla crisi mondiale, conseguenze dell’immane sforzo della riconversione economica” e il 28 dicembre Degasperi annotava: “Vi sono cattive prospettive per l’arrivo di grano che ammontano a 12 mila tonnellate invece delle 260 mila attese. Anche la situazione dei trasporti è gravissima; purtroppo non siamo in grado di colpire la borsa nera”. Così quando si annunciò il viaggio in Usa gli italiani si sentirono confortati.
Il Constellation della Trans World Airlines, quattro motori, quaranta posti, velocità di crociera di 485 km/h, molto sballottato nella tratta Ciampino-Parigi fece il secondo scalo a Londra. Poi il volo fino a New York. Nella memoria rimane scolpito un disegno su due pagine – la telefoto costava troppo – del settimanale “Tempo” che illustra l’arrivo a Washington del Presidente del Consiglio. Ecco la bandiera a stelle e strisce, la prua del quadrimotore con la scritta Twa, i fotoreporter americani con le loro enormi macchine fotografiche, i poliziotti con i volti severi, gli uomini politici a tendere le mani a Degasperi con grandi sorrisi.
Ricordava Maria Romana: “Le accoglienze furono trionfali, il saluto del presidente Truman ci riempì d’orgoglio e tutto l’insieme ci parve, ed era, straordinario”. Ecco Chicago dove un giornalista chiede a Degasperi se fosse sorpreso di trovare una via intitolata a Italo Balbo, quadrunviro della Marcia su Roma e ideatore nel 1933 della famosa trasvolata Orbetello-New York. Rispose: Se avesse fatto solo crociere aeree anch’io ne loderei la memoria”. Ecco il grande banchetto al Waldorf Astoria di New York con Degasperi che, abituato ad indossare i calzoni alla zuava, deve prende in affitto lo smoking; la riunione con il cardinale Francis Spelman che, lo scrisse Andreotti ricordando che quelli erano gli anni della guerra fredda, temeva l’espandersi del comunismo in Europa, poi la parata d’onore a Broadway, il ricevimento del sindaco Fiorello La Guardia di origini italiane e Maria Romana ad annotare: “Gli americani continuavano a farci incontrare gente, al mattino gli industriali, al pomeriggi i capi del ferrovieri, ma di aiuti non si parlava mai con papà che mi diceva: qui partiamo a mani vuote”.
Per fortuna dell’Italia, a Washington e il giorno prima del viaggio di ritorno, il Segretario di Stato James Francis Byrnes consegnò il famoso assegno da 100 milioni di dollari che con altri prestiti, concessioni e aperture di crediti, il regalo di 42 navi Liberty, di 8 navi cisterna cariche di benzina, di 220 mila tonnellate di grano e 700 mila tonnellate di carbone. Esultarono io giornali italiani, salvo “l’Unità”. Si scagliò contro la presunta compromissione dell’indipendenza nazionale e contro la presunta, totalmente inventata, scrittura di Maria Romana per Hollywood. E’ vero invece che gli Usa salvarono gli italiani dalla fame: così cominciò la rinascita dell’Italia.