Dal Trono di spade al tempo dei Draghi
Dal Trono di spade al tempo dei Draghi
I cultori del Trono di spade lo sanno bene: i Draghi possono tutto. Sono un'"arma" vincente, ma anche potenzialmente letale. Da soli non bastano, però. Ci vogliono donne e uomini in grado di governarli e di governare. E i colpi di scena - o le improvvise pugnalate - sono sempre dietro l'angolo.
Fra i cittadini e in un Parlamento improvvisamente compatto, Draghi ha un grande consenso. E anche l'Italia stremata dalla pandemia e dalla crisi si aggrappa a lui proprio come se fosse l'invincibile e fantastico sovrano d'una appassionante saga televisiva.
I rischi, sulla carta, sono pochi. E Draghi ha servito al Paese un piatto con tutti gli ingredienti giusti. Tanta politica: perché dalla politica (abile con i pugnali) non si può prescindere e perché senza consenso del Parlamento i governi manco decollano. E la giusta dose di tecnica nei dicasteri chiave: una strategica cassaforte socio-economica nella quale Draghi ha piazzato chi negli anni ha dimostrato, competenze specifiche alla mano, d'essere un vero drago.
Vale per l'ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia alla giustizia, per l'ex ragioniere generale dello Stato e membro del direttorio di Bankitalia Daniele Franco all'economia o per Vittorio Colao, che di innovazione tecnologica è più di un maestro. Vale per il geniale scienziato Roberto Cingolani alla transizione (solo ecologica?) e per l'ex rettore e grande conoscitore del mondo degli studenti e del futuro Patrizio Bianchi alla scuola. Per la manager della ricerca Cristina Messa all'Università, per l'economista Enrico Giovannini alle infrastrutture, ma anche per il bis della prefetta Luciana Lamorgese all'Interno.
Il tentativo di tenere insieme esperti e politici così diversi fra loro poteva riuscire solo a un tecnico che in realtà ha sempre avuto un ruolo a dir poco politico come Mario Draghi. Da premier - come ai tempi della Bce - dovrà fare soprattutto il diplomatico. Dimostrando che il piatto che ha presentato venerdì sera al Quirinale non è una maionese impazzita, ma la necessaria squadra di tutti per cercare di risolvere i problemi di tutti.
Quello che è nato, in realtà, più che il gabinetto del Colle è il governo dei (due) presidenti: un pizzico di Draghi qui, un pizzico di Mattarella là. Due garanti, ma anche due collanti, col compito di lavorare soprattutto sulla credibilità. Interna: per far ripartire il Paese e per strapparlo dall'insidiosa palude dei mal di pancia. Ed esterna: per rimettere l'Italia al centro dei giochi in Europa e nel mondo. Non è solo questione di denari - a dir poco necessari a una popolazione alle corde -; è soprattutto questione di autorevolezza, di affidabilità. I più astuti l'hanno capito e sono saltati sul carro: i Draghi, se la politica si chiama fuori, rischiano infatti di bruciare tutto, assecondando chi (sbagliando) pensa che si possa prescindere dalla politica. Altri (pochi) aspettano sulla riva del fiume. Ma questa volta la zattera tenico-politica ha bisogno di volare.
Inutile dunque aspettarla sulla riva. L'auspicio è che di lì non passi proprio.