Il Simonino. Storie, leggende e dubbi attorno all’omicidio rituale
Forse l’accusa gridata con sincero furore dai pulpiti delle chiese di Trento aveva qualche fondamento nelle leggende di truci delitti commessi dagli Ebrei per scopi religiosi.
Storie di omicidi rituali s’accavallarono quando la comunità ebraica di Trento formata da solo tre famiglie, venne accusata di aver rapito la sera del 23 marzo del 1474, era il giovedì santo, quel bambino di due anni e mezzo trovato senza vita la domenica di Pasqua nella roggia che scorreva, e scorre ancora sotto l’ antica sinagoga nell’attuale via Manci.
Lo avevano ucciso – questa l’accusa – spillando dal corpicino il sangue usato per impastare il pane azzimo, in ebraico matzah, durante la settimana pasquale. Non importa se a trovarlo annegato nel corso d’acqua erano stati gli Ebrei che, subito, si erano rivolti ai tutori della legge: convinto dalle predicazioni del frate francescano Bernardino da Feltre, il principe vescovo Giovanni IV Hinderbach sostenne con forza la tesi che il bimbo era stato vittima di un "omicidio rituale". Quel vescovo era conosciuto come personaggio di grande cultura ossessionato dal Diavolo visto come precettore e maestro degli Ebrei; fu anche fra i primi a capire le formidabili implicazioni della nuova arte della stampa. Proprio in quel tempo e con il suo appoggio, lo stampatore Albert Kunne proveniente da Dudestadt città della Bassa Sassonia, aveva aperto a Trento una tipografia e il primo libro pubblicato già nel 1475 narrava la storia del Simonino. Così la vicenda venne conosciuta in tutta l’Europa.
Antica tragedia l’accusa di omicidio rituale.
Questo stereotipo antigiudaico riferito alla presunta uccisione commessa per scopi religiosi di un cristiano per mano di Ebrei è molto remoto. Secondo Pietro Stefani, autore nel 1997 del saggio “Gli Ebrei” edito da “il Mulino”, frammenti di notizie risalgono al primo secolo dopo Cristo. Poi l’accusa di tale omicidio fu divulgata in Inghilterra, a Norwich, nel 1144 quindi a Glaucester nel 1168 e a Blois in Francia nel 1171 e in Spagna, a Saragozza, nel 1182 mentre si diffondeva un altro stereotipo: la profanazione dell’ostia consacrata. Accuse indicate come calunnia dalle gerarchie ecclesiastiche; la posizione più significativa fu quella di papa Innocenzo IV che nel 1247 inviò a tutti i vescovi francesi e tedeschi una bolla in cui si scagionavano gli ebrei dalla responsabilità di tali delitti.
Di certo Giovanni Hinderbach lesse quel documento e i giudici di Trento proprio perché papi e imperatori avevano respinto la tesi dell’ omicidio rituale e perché le bolle papali ben presenti anche a Trento proibivano tale imputazione, cercarono di dimostrare che era realmente avvenuto un caso di omicidio rituale e il delitto commesso a Trento non era affatto qualche cosa di straordinario, ma rientrava nella prassi degli Ebrei.
Magari attorno al corpo del Simonino si accentrò un problema di usura. Fra gli Ebrei arrestati, e prima di essere torturato, si condusse alla sinagoga lo scrivano che custodiva i registri dei prestiti concessi. Documenti che pur non contenendo atti riferibili in qualche modo all’accusa di omicidio, vennero sequestrati. Insomma, quanti avevano preso soldi in prestito non dovevano restituirli visto l’andazzo giudiziario.
La questione del prestito a interesse, anche questo si legge nel libro “Gli Ebrei”, ha rappresentato uno degli argomenti cruciali legati alla presenza ebraica all’interno del mondo cristiano.
La prima definizione canonica che risale all’806 “comprendeva qualunque transazione monetaria in cui si richiedesse indietro più di quel che si è dato”. Il crescente fabbisogno di liquidità urtò contro normative molto rigide e poiché il diritto canonico vincolava solo i cristiani, si aggirò il problema facendo ricorso al prestito ebraico. Bisogna tuttavia precisare, anche questo si legge nel libro di Stefani, “che gli ebrei non furono gli unici a praticare il prestito ad interesse; furono i soli a farlo in modo pubblico e tutelato dalle autorità civili. In effetti l’eccesso di rigore delle leggi canoniche fece sì che, a differenza di quella ebraica, l’usura praticata dai cristiani si trasformasse in un traffico segreto e sordido”.
C’è poi da sottolineare che nel 1121 si impose agli ebrei di distinguersi dai cristiani in base al modo di vestire. Sempre dal libro “Gli Ebrei”: “I segni potevano essere vari e i più frequenti furono un tondo di stoffa da porre bene in vista sull’abito e un cappello di foggia particolare. Mai la stella gialla a sei punte che fu una invenzione dei nazisti”.
Siamo nella notte dei tempi e della ragione. Nel basso Medioevo compreso tra l’anno Mille e la scoperta dell’America nel 1492, sull’Europa passava l’epoca dei Catari seguaci del movimento eretico diffuso fra la Linguadoca e l’Italia del nord-ovest e quella dei Dolciniani, seguaci di Dolcino da Novara che cominciò la sua predicazione nella zona del Lago di Garda dopo una lunga sosta ad Arco e nel 1303 nei dintorni di Trento dove Dolcino conobbe Margherita Boninsegna nata a Cimego che la leggenda la tramandò come donna bellissima e - manco a dirlo - perversa. Epoca ideale per far crescere il culto del bimbo cristiano preda dei “perfidi ebrei”.
La Chiesa ha cancellato quel culto nell’ottobre del 1965 facendo nascere polemiche e contestazioni da quella che venne definita “la svolta del Simonino da Trento”, cioè il mutato atteggiamento della Chiesa attorno alla figura del bimbo indicato come martire. Le più consistenti si accesero nel 2007 con la pubblicazione, a firma di Ariel Toaf, del saggio “Pasque di sangue: Ebrei e omicidi rituali”.
Il saggio, pubblicato anche quello dall'editore “il Mulino”, ha visto due edizioni, la prima nel 2007 ritirata dalle librerie per volontà dell'autore pochi giorni dopo la sua uscita sommersa dal aspre critiche anche se il ritiro accentuò l' interesse attorno al venerato protettore dei bambini, trasformando la pubblicazione in una rarità.
Nella seconda edizione, quella del 2008, Toaff confermava la mancanza di ogni fondamento per le accuse mosse nel 1475 alla comunità ebraica di Trento. Ma aggiungeva, e qui nasceva interesse per la pubblicazione, che si possono rinvenire tracce nell'ambito di alcuni gruppi di fanatici ashkenaziti, di vere e proprie "devianze" dalle rigide norme della halakhah, la legge ebraica che guida le pratiche, le credenze religiose e numerosi aspetti della vita quotidiana che impongono l'astensione da ogni contatto con il sangue umano.
Sarebbe dunque possibile che, per reazione ai soprusi subiti, singoli ebrei o piccoli gruppi abbiano attuato rituali magici con chiara finalità anticristiana. Questi rituali potrebbero aver comportato persino l'uso di sangue.
E i quindici Ebrei di Trento provenienti dalle comunità ebraiche presenti nel Medioevo nelle valli del Reno, appartenevano proprio all'area culturale dell'ebraismo askenazita.
Il libro analizza l'ambiente storico e culturale dello ashkenazita medievale dove si è sviluppata l'accusa nei confronti degli Ebrei di praticare omicidi di bambini cristiani nel periodo della Pasqua e di servirsi del loro sangue per compiere riti in funzione anticristiana.
Contrariamente all'opinione comune della storiografia ufficiale, che bolla la vicenda come una completa montatura delle autorità cristiane dominanti dell'epoca, Ariel Toaff se da una parte ribadisce che gli omicidi rituali sono miti cristiani, dall'altra sostiene che se non vi sono prove per dimostrare l'uso magico e superstizioso del sangue a scopi rituali, non è dimostrabile neppure il contrario e quindi è possibile che vi siano stati singoli individui, magari anche appartenenti a frange estremiste di comunità ebraiche ashkenazite, che ne abbiano fatto uso. Da ricordare che a partire dalla seconda metà del XIX secolo, la comunità aschenazita emigrò in larga parte verso gli Stati Uniti e quelle rimaste in Europa vennero sterminate dalla furia nazista.
Tutto questo è stato narrato da Ariel Toaf che non è uno studioso qualsiasi.
Già professore emerito presso l’università di Tel Aviv dove ha insegnato storia del Medioevo e del Rinascimento, è figlio di Elio Toaf nato a Livorno il 30 aprile 1915 dove ha studiato nel collegio rabbinico della città natale sotto la guida del padre Alfredo Sabato Toaff, rabbino di Livorno, città con forte presenza ebraica. Frequentò Giurisprudenza all’Università di Pisa per laurearsi nel 1938 “nei tempi stabiliti” in quanto l'introduzione delle leggi razziali volute da Mussolini precludeva agli ebrei l'ingresso alle università ed espelleva gli studenti fuori corso, ma consentiva di completare gli studi a chi ne fosse giunto al termine. Nel 1939 completò gli studi rabbinici laureandosi in teologia al collegio rabbinico di Livorno, ottenendo il titolo di rabbino maggiore per essere nominato rabbino capo di Ancona dove rimase dal 1941 al 1943.
Dopo il tragico 8 Settembre e le prime deportazioni di italiani per i Lager, Toaff, sua moglie Lia Luperini e il loro figlio Ariel fuggirono in Versilia per sopravivere con l'aiuto di un parroco e di coraggiose famiglie cattoliche. Alterate le generalità sui documenti, girovagarono tra mille insidie. Più volte Ariel Toaff scampò alla morte per mano nazista: in un'occasione si rifugiò a Città di Castello di cui dal 1999 è cittadino onorario. Entrò nella Resistenza combattendo sui monti del centro Italia, vedendo con i propri occhi le atrocità commesse sui civili inermi.
Nel libro di Toaff si legge: “È errata la squalifica in toto dei documenti processuali. Vi è ad esempio un chiaro riscontro fra i testi delle confessioni del processo di Trento e le fonti ebraiche sull'uso magico e simbolico del sangue in riti e liturgie particolari nell'ambito della celebrazione della Pasqua ebraica, caratterizzante gruppi estremisti ashkenaziti in funzione anticristiana ( il cosiddetto rituale della maledizione ). Questo a conferma che dalle confessioni sotto tortura è possibile ricavare elementi autentici della cultura perseguitata. Inoltre, nelle confessioni del processo di Trento, compaiono frasi in ebraico ashkenazita ( invettive anticristiane che trovano riscontro su altre fonti ) trascritte in modo errato dai notai a prova del fatto che i giudici non erano a conoscenza né dell'ebraico, né dello yiddish. E questo dimostra l'autenticità di quelle frasi”.
C’è un altro punto, quello riferito alla “geografia dei riti di sangue che corrisponde a quella del mondo ebraico ashkenazita. Gli ebrei sefarditi e orientali non conoscevano tali pratiche.
Alfonse de Espina, confessore di Enrico IV di Castiglia e autore del trattato polemico antiebraico Fortalitium Fidei, cita come episodi di omicidi rituali di cui venne a conoscenza, due casi avvenuti nel nord Italia uno a Pavia l’altro a Savona. Cristiani ossessionati da presenze diaboliche ed ebrei accusati di stregoneria ed infanticidio sono partecipi dello stesso orizzonte mentale dove si mescolano confusamente riti magici, alchimia, superstizioni, visioni, lo stravolgimento della realtà conseguenza dell’uso di erbe o funghi o altre stranezze. Fino a che punto hanno influito e stravolto le norme più severe della ritualistica ebraica, a cominciare al divieto biblico di cibarsi del sangue umano?
E’ lecito chiedersi se i rabbini si sentirono costretti a scendere a patti con questa realtà che disapprovavano? In conclusione sebbene nel libro si affermi che l'omicidio rituale sia una creazione tutta cristiana, il ruolo svolto dagli ebrei non è sempre e comunque quello della vittima perennemente passiva. “Anche gli ebrei avevano voce. E non era sempre una voce sommessa e soffocata dalle lacrime”.
(8, continua)