Quei brutti applausi contro il Paese reale
“Trasformare la camera alta (forse oggi dovrei chiamarla bassissima) in uno stadio dove grida, gestacci e insulti hanno sotterrato non solo un disegno di legge contro l'omotransfobia, ma anche la sensibilità di migliaia di persone e le domande di un Paese che è profondamente cambiato, è semplicemente una vergogna”
TRENTO. Partiamo dalla fine. Certi applausi, al Senato, sono un punto di non ritorno. Quando si discute di diritti civili, quando si cerca di mettere il Parlamento al passo di una società che è sempre più avanti, il dibattito, anche acceso, ci può stare. E non si può dire che alcuni partiti non avessero fatto capire in anticipo cosa sarebbe successo in aula. Ma trasformare la camera alta (forse oggi dovrei chiamarla bassissima) in uno stadio dove grida, gestacci e insulti hanno sotterrato non solo un disegno di legge contro l'omotransfobia, ma anche la sensibilità di migliaia di persone e le domande di un Paese che è profondamente cambiato, è semplicemente una vergogna.
Quando le istituzioni diventano un bar ai confini del mondo, a prescindere dalle forze politiche che lo trasformano in tale teatro incivile, a perdere siamo tutti noi: politica (sempre più lontana), senso dello Stato (sempre più calpestato), cittadini (sempre più sconcertati).Partiamo da un attimo prima della fine: ancora una volta un abile politico come Renzi fa uno dei suoi giochetti. Sulla pelle del Paese, però. Sembra un Silvan prigioniero di se stesso, ormai: i giochi di prestigio qualche volta gli riescono (disarcionare Conte per spianare la strada a Draghi), ma altre volte trascinano nel ridicolo lui e l'intero palazzo. Volendo sempre far diventare determinanti i suoi pochi consensi, Renzi ricorda l'ultimo Craxi.
Quello che capiva bene solo ciò che gli interessava: incapace di mettere le proprie sorti personali dietro a quelle di un intero Paese. Non si gioca così sul dolore, sulle discriminazioni e anche sulle aspettative di così tanti italiani.Partiamo da qualche istante prima. Per dire che il Pd di Letta, che pure ha vinto un passaggio elettorale che solo col senno di poi sembra semplice, non ha capito che con qualche piccola mediazione non solo non avrebbe regalato agli avversari una vittoria (per quanto imbarazzante, soprattutto per le modalità da derby di cui sopra), ma avrebbe portato il Paese nel futuro, affermando princìpi fondamentali, costruendo un manifesto sui diritti d'ogni minoranza, sull'identità di genere, sull'orientamento sessuale. Cercare (consapevolmente) nel modo sbagliato di fare la cosa giusta, non ammettendo correzioni necessarie a detta di quasi ogni partito, significa inseguire una sconfitta certa. Salvo che Letta negli anni parigini si sia scordato cosa sia in grado di produrre il voto segreto, nell'italico parlamento.
E la società resta lontana: i giovani e gli adulti che soffrono, che vengono derisi, offesi e picchiati, che sono costretti a nascondersi e a travestirsi da altro rispetto a ciò che si sentono, a ciò che sono davvero, finiscono sotto il tappeto dell'ipocrisia.Riavvolgiamo il nastro. Torniamo all'inizio. Per scoprire che affossando il disegno di legge Zan s'è sprecata una grande occasione per dare risposte a un'Italia che è a mille anni luce da questa politica. Saranno anche state prove generali sul voto per il Quirinale, ma a perderci siamo tutti, questa volta.