Il silenzio di Draghi congela due poltrone
Draghi rischia molto, come ogni cardinale prima del conclave. Ma il suo sconfinato silenzio diventa rischioso per tutto il Paese.
Come osserva il politologo Ilvo Diamanti anticipando il "Rapporto fra gli italiani e lo Stato" che pubblicherà oggi l'Espresso, c'è il buio dietro e davanti a noi. «Perché è arduo prevedere quanto durerà la pandemia. Almeno un anno, secondo oltre la metà degli italiani». Addirittura molti anni, per un quarto degli italiani. Inequivocabile il dato complessivo: tre italiani su quattro faticano a immaginare il domani.
E l'incertezza, questa volta, coinvolge e travolge anche i giovani, prime vittime di questo tempo sospeso. Per la didattica a distanza, che ha evidenziato distanze ben maggiori e ben peggiori di quelle fisiche, e perché vivere in un eterno oggi non aiuta a impegnarsi con chiarezza sulla costruzione del domani. Con un senso di precarietà che finisce per coinvolgere intere generazioni, ma inevitabilmente anche intere famiglie. Il Covid ci ha cambiato. Tutti. E ci ha diviso. Però - anche se il rumore di alcune piazze talvolta potrebbe far pensare il contrario - cresce la fiducia nelle Istituzioni: forze dell'ordine, Comuni, Province, Regioni, Stato, a cominciare dal Quirinale, con una specie di nuova vocazione alla presidenzializzazione del Paese.
Tradotto: agli italiani piacerebbe votarselo direttamente, il capo dello Stato. Ma questo riempirebbe di connotazioni emotive un passaggio che deve essere invece razionale, persino freddo. Perché i garanti non vanno mai confusi con i leader. Quest'ultima ricerca parla anche di un grande consenso attorno alla democrazia dell'emergenza, quella che in nome della sicurezza limita persino qualche libertà: anche la democrazia "limitata" resta insomma per la maggior parte degli italiani la miglior forma di governo possibile. Ma torniamo alla questione del capo dello Stato. Ormai mancano poco più di due mesi alla scadenza (il 2 febbraio) del mandato del presidente Mattarella.
E passarli tutti a parlare di Draghi non è esattamente una fantastica prospettiva. Per evitarlo c'è solo una possibilità. E a indicarla prima di ogni altro aspirante stratega (o stregone?) dovrebbe proprio essere l'attuale presidente del consiglio. Dicendo cosa vuol fare da grande. È infatti umano che Draghi gongoli - seppur con distaccata freddezza - all'idea d'essere il candidato unico alle due più importanti poltrone di cui l'Italia disponga: quella di capo del governo e quella di capo dello Stato. Ma, proprio perché tutti gli riconoscono una serietà che in un Paese come il nostro passa per stupefacente, deve dire una parola definitiva.
Bloccando ogni giochetto. Basta un sì, con attaccata una delle due opzioni: «Voglio restare a Palazzo Chigi» o «voglio andare al Quirinale». O basta anche un solo no, visto che a Palazzo Chigi già c'è: «Non voglio andare al Quirinale». Il suo silenzio aggiunge precarietà a precarietà. Perché permette al primo Salvini che passa d'indebolirlo. E perché rischia di far passare Quirinale e palazzo Chigi per due chioschi che stanno per cambiare gestione sulla spiaggia di un Paese sempre troppo vicino all'acqua. Draghi rischia molto, come ogni cardinale prima del conclave. Ma il suo sconfinato silenzio diventa rischioso per tutto il Paese.