Un voto di fiducia (o di sfiducia?)
Sotto esame, al di là di tutto ciò che s'è sentito e detto, c'è una sola persona: Mario Draghi
Un anomalo doppio voto di fiducia. Ecco cosa sarà quello che va in scena dal 24 gennaio. Sotto esame, al di là di tutto ciò che s'è sentito e detto, c'è una sola persona: Mario Draghi. Eleggendo subito capo dello Stato l'attuale presidente del consiglio, il "super parlamento" (l'esercito dei poco più di mille fra deputati, senatori e grandi elettori scelti dalle varie regioni) premierebbe il suo lavoro alla guida del governo.
Darebbe poi un segnale forte - non solo di sostanziale continuità - all'Europa e ad un contesto internazionale che ci guarda con un misto di attenzione e preoccupazione. E direbbe infine a tutti gli italiani che non è il momento di perdere tempo con trucchi e sotterfugi. Ma c'è anche un altro scenario, inutile nasconderlo: l'anomalo voto di sfiducia. Bocciando il «nonno che s'è messo a disposizione delle istituzioni» - definizione simpaticamente usata qualche settimana fa dallo stesso presidente del consiglio - i politici riuniti tutti insieme a Montecitorio non indebolirebbero solo il "candidato" Draghi, ma anche il futuro del suo governo.
Perché l'ampia maggioranza che lo sostiene (o lo sosteneva?), l'alleanza che ha cercato insomma fuori dalla politica l'uomo in grado di dare risposte ad una pandemia che è sanitaria ed economica insieme, dimostrerebbe di non esserci più. E si aprirebbe di fatto una doppia crisi. Una sulla salita, improvvisamente impervia, verso il colle. Una sul sentiero, non meno stretto, verso palazzo Chigi. Perché sotto il tappeto dei sorrisi c'è una certa crescente allergia della politica nei confronti dei tecnici.
Più d'uno teme infatti di ritrovarsi il tecnico Draghi al Quirinale e un altro tecnico (Colao, Franco, Cartabia?) a palazzo Chigi, con l'incarico di portare a termine il lavoro iniziato proprio da Draghi. Ed è per questo che l'ampia alleanza cerca un accordo invisibile, una specie di spartizione: Draghi al Colle, a patto che al governo tornino i politici o Draghi al governo (ma con quali garanzie, in un Paese volubile come il nostro?) con però un politico di lungo corso al Colle. Il primo è uno scenario tutto sommato facilmente raggiungibile. Spetterebbe infatti al nuovo presidente della Repubblica Draghi dare l'incarico al nuovo presidente del consiglio.
E un patto fra gentiluomini potrebbe spianare la strada al ritorno alla guida del governo di un politico senza troppi fronzoli per la testa (tipo un Franceschini, per intenderci), evitando così anche quelle elezioni anticipate che quasi tutti temono. Il secondo scenario è invece a dir poco insidioso. Per le ragioni dette. In Italia chi può infatti promettere a un presidente del consiglio di arrivare almeno a fine legislatura o persino di poter continuare dopo il voto (come qualcuno prefigura)?
E poi perché la mancata elezione al Colle dimostrerebbe che lo scenario è totalmente cambiato, insieme alla maggioranza che ha supportato e in parte anche sopportato sino ad oggi il governo. O Draghi al Quirinale subito, dunque, o sabbie mobili piene di quella imprevedibilità, tipica della politica, in cui più d'uno sguazza e in cui uno a caso, per un istante, ha persino pensato di poter risorgere.