C’è chi vuol far cadere il governo di Mario Draghi
L’analisi del direttore dell’Adige Alberto Faustini
Pezzi di mondo si ricompattano. Vale per l'Occidente. Ma vale anche per altri "blocchi", come li avremmo chiamati un tempo. E sull'Europa aveva ragione Jean Monnet, un padre fondatore, quando, nel 1976, scriveva che «sarà forgiata dalle crisi e sarà la somma delle soluzioni trovate per risolverle». Emergenza Covid, crisi economica e guerra in Ucraina hanno saldato Stati e persone.
Dando un'immagine nuova di un vecchio continente capace di farsi moderno, persino efficiente e veloce nel finanziare chi (come l'Italia) rischiava di non rialzarsi più. E in tutto questo l'Italia politica cosa fa? Indebolisce chi la governa. A fronte di un presidente Draghi che fa capriole in salita - per citare il titolo di un bel libro di Pino Roveredo - e di un segretario del Pd, Enrico Letta, che parla di campo largo nel tentativo di rimettere insieme i pezzi di un centrosinistra allargato ai 5stelle e ad altri cespugli, c'è un Conte che ogni giorno cerca di far uscire di strada l'auto già proprio non velocissima del presidente del consiglio.
Il professor Conte, l'avvocato del popolo per sua stessa definizione, è l'ennesima vittima della solita sindrome di Palazzo Chigi. Quella che colpisce tutti gli inquilini di quel palazzo e che, una volta raggiunta l'uscita, hanno un unico pensiero: tornarci, a qualunque prezzo. Prima di lui, il virus che fa sentire insostituibile ogni capo del nostro governo aveva colpito D'Alema, Monti e Renzi e in forme diverse - forse perché avevano trovato la cura e anche un biglietto di ritorno - Prodi, Berlusconi e lo stesso Letta (ancora a rischio ricaduta).
Ma Conte va oltre. Mette in discussione il voto del Parlamento (sulle armi), le decisioni già prese dalla maggioranza, la stessa alleanza che ha permesso a Draghi di governare in questi complicatissimi mesi. Sì, a riempire di mine il cammino di Draghi verso la fine della legislatura è proprio Conte: l'uomo che ha governato per decreti una volta catapultato a palazzo Chigi dopo uno strano "concorso" che un giorno forse studieranno gli antropologi ancor più dei tanti politologi che non sanno darsi una risposta.
Anche Salvini per qualche giorno s'è rasserenato, apprezzando le mosse di un Draghi che ha saputo proporsi come ponte fra Stati Uniti ed Europa nel tentativo di costruire una pace possibile. Per qualche ora persino la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni non ha rilasciato dichiarazioni caustiche. Al che Conte deve aver pensato di avere davanti un "vuoto" prezioso per poter colpire Draghi.
La linea pacifista sulla guerra (benché la pace sia sempre un nobile proposito) ha in realtà solo due obiettivi: quello di scardinare la maggioranza (diverse anime del Pd incluse) e quella di indebolire Draghi fino a farlo cadere. Alla faccia di un contesto che richiede solo stabilità.
Alla faccia d'un presidente del consiglio (premiato a Washington come politico dell'anno) che nel suo viaggio americano, evocando il piano Marshall, ha quasi ricordato Alcide Degasperi, non a caso un salvatore della patria che la patria ha amato ma che i partiti (al tempo il suo, prima di tutto) hanno comunque scaricato.