C'è ancora un antisemitismo strisciante: la storia di Liliana Segre
Liliana Segre venne arrestata a Selvetta di Viggiù, in provincia di Varese, all'età di tredici anni. Dopo sei giorni di carcere a Varese fu trasferita a Como e poi a Milano, a San Vittore dove fu detenuta per quaranta giorni. Quegli “apostoli del male” in camicia nera la imprigionarono che era una bambina solo perché era ebrea. Il 30 gennaio venne portata dal tragico binario 21 della stazione di Milano Centrale per venire trasferita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau dove giunse dopo sette giorni di viaggio. Alla discesa dal treno, coloro che erano già nel campo hanno consigliato ai più giovani di invecchiarsi di qualche anno per non essere subito portati nelle camere a gas, perché i minori di 15 anni venivano uccisi. Anche Simone Veil Jacob nata a Nizza, prima donna eletta Presidente al Parlamento europeo si salvò mentendo sull’ età. Era stata presa il 30 marzo del 1944; le incisero sulla pelle il numero 78561. Sopravvissuta, ha dedicato tutta la vita alla ricerca della pace. Raccontava “mio padre e mio fratello non li ho più rivisti. Io, mia madre e le mie sorelle siamo state deportate al campo di sterminio”.
Anche Lilliana venne subito separata dal padre, che non rivide più – quell’ uomo morì il 27 aprile 1944 – e il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni furono arrestati a Inverigo in provincia di Como e dopo qualche settimana vennero deportati nel tragico campo per essere uccisi nelle camere a gas il giorno dell'arrivo. Era il 30 giugno del 1944. Quella la data della loro morte.
Si può solo rabbrividire immaginando una bambina di tredici anni nel profondo squallore di un carcere negli anni Quaranta, l’orrore nel gelo, nella fame, nella sete, nel terrore, nella sporcizia di quel viaggio verso l’ ignoto stipati in un carro merci con un buco nel pavimento come latrina e poi il Lager, quel Lager dove finiva l’umanità e dove, di certo, Cristo non aveva dato una sola occhiata. Durante la prigionia Liliana Segre subì altre tre selezioni in una delle quali perse un'amica che aveva incontrato nel campo. Alla fine del gennaio del 1945, dopo l'evacuazione del Lager decisa dai boia, affrontò la marcia della morte. Sopravvisse e il 1º maggio 1945 venne liberata dall’Armata Rossa che stava entrando a Berlino. Dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz, Liliana fu tra i 25 sopravvissuti. Tutti gli altri morirono di stenti o asfissiati nell’ orrore dei cameroni riempiti di gas.
Se l’Italia si deve vergognare per aver permesso la strage degli ebrei, bambini compresi, dopo aver approvato le leggi sulla razza imposte da Mussolini, accolte dalla stragrande maggioranza degli italiani di quell’epoca oscura, deve provare un’ altra volta disgusto perché quella donna sopravvissuta e fatta senatrice a vita dal Presidente Mattarella, è stata bersaglio di insulti e minacce al punto che il prefetto di Milano Renato Saccone le ha assegnato una scorta. Per proteggerla. Per difenderla dai nuovi barbari che la insultavano e la minacciavano nascondendosi dietro una tastiera resa lurida dai cannibali dei computer. Non importa se non conoscono la storia o se l’hanno letta male; l’ignoranza, la stupidità non sono un’attenuante.
Era l’inizio del 1944, la guerra infuriava e una parte dell’Europa era dominata dalle armate germaniche. Nell’Italia del Nord c’era la Repubblica di Salò, quella di Mussolini. Appunto il Duce, a Trieste, il 13 settembre del 1938, dal palco eretto in piazza dell’Unità d’Italia davanti al Municipio aveva enunciato fra il solito delirio degli italiani, le leggi razziali trionfalmente sbandierate da tutti i giornali di quell’ epoca e pienamente accolte da Vittorio Emanuele III, il “re soldato”, il “re vittorioso”, il sovrano che aveva conferito la Medaglia d’ Oro ad un militare che era ebreo poi assassinato in un Lager. Da aggiungere che “sua maestà” aveva tradito anche lo Statuto Albertino che il 4 marzo del 1848 stabilendo l’uguaglianza dei cittadini italiani senza distinzione di confessione, riconosceva agli ebrei i diritti civili firmando il 19 giugno la legge che proclamava la loro piena integrazione anche nei diritti politici.
Ma nell’euforia del Patto d’ Acciaio che univa Roma, Berlino e Tokio – il tragico “Roberto” – che scaraventò gli italiani a combattere contro Francia, Inghilterra, Grecia, Unione Sovietica e gli Stati Uniti – “molti nemici molto onore” scandiva il dittatore – l’ Italia fascista si scagliò, nel solco del nazismo, contro gli ebrei. Da ricordare che mai Mussolini, giornalista prima a Trento poi direttore dell’ “Avanti!” a Milano aveva scritto una sola riga contro di loro.
Appena buttata giù dal tragico treno partito da Milano, alla selezione che decideva fra il lavoro forzato o la morte immediata, Liliana ricevette il numero di matricola 75190 che le venne tatuato, e ancora si vede, sull’ avambraccio sinistro. Fu messa per un anno ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni “Union” che apparteneva alla “Simens” che c’era allora e c’ è ancora. A dimostrare la certezza espressa sul finire del 1914 da Trilussa nella ballata della “ninna nanna della guerra”; basta leggere l’ultima strofa che, declamando la fine di ogni conflitto e la riappacificazione fra i potenti della Terra, conclude: “e riuniti fra di loro – senza l’ombra di un rimorso – c’ è faranno un bel discorso – sulla Pace e su Lavoro – per quel popolo coglione – risparmiato dal cannone”.
Il fascismo vietò la diffusione del sonetto che rispecchiava fedelmente cosa era accaduto da quando gli Stati avevano mandato al macello interi popoli facendo un uso indiscriminato delle nuove tecnologie nelle armi da fuoco così come con i gas. Si sviluppò in maniera enorme l’aviazione. Per esempio il 25 luglio del 1909 l’ingegnere francese Louis Blériot trasvolò, fu il primo a farlo, il canale della Manica. Sette anni più tardi stormi di aerei scatenavano furiose battaglie nei cieli di Francia e flotte di sommergibili affondavano navi gigantesche mentre il massacro diventava totale con l’impiego dei gas asfissianti forse ancora conservanti, si può pensare, con nuovi e più tragici miglioramenti in depositi ben nascosti.
Quando tutto finì all’improvviso consegnando all’Europa fatta cimitero il “bolscevichismo” come si diceva all’epoca, il fascismo, l’orrore della spagnola, l’enorme crisi economica, il nazismo, le industrie ripresero la loro attività. Compreso quelle che avevano adoperato gli ebrei come schiavi uccidendoli quando per fame, sfinimento, angoscia rallentavano il ritmo del lavoro coatto.
Una volta o l’altra ci si dovrà interrogare sul perché sul fronte dell’Ovest inglesi e francesi portarono nelle trincee come carne da cannone, senegalesi, indiani, nepalesi,marocchini, algerini, indocinesi che solo vagamente avevano sentito parlare dell’Europa. Anche quella fu un orrenda strage. Ma ogni dittatura consegna alla storia un orrore e nessuna guerra dura poche settimane.
In Italia. in un crescendo di litigi, ogni anno il 25 aprile si celebra la liberazione dal fascismo e dal nazionalsocialismo. In un nota firmata da Stefan Zelger della Direzione Regionale della Süd-Tiroler Freiheit si legge che “per il popolo sudtirolese questa giornata non è motivo di festa. Il fascismo non è infatti mai scomparso nel Sudtirolo e in Italia non c'è mai stato un profondo, serio confronto con il proprio passato. Fino ad oggi oggetti devozionali fascisti sono legalmente venduti in Italia. Dal vino del Duce al busto del Führer, dai pugnali delle SS ai calendari su Mussolini, c'è tutto ciò che un cuore nero-marrone desidera”. Zelger fa notare che “la Provincia Autonoma di Bozen pullula ancora di reliquie fasciste, di toponimi e di nomi di strade che ricordano crimini di guerra e assassini".
Dal canto suo, Marcello Malfer presidente dell’ Associazione trentina Italia-Israele, sulle pagine de “l’Adige” di lunedì 25 aprile 2022 ha ricordato il ruolo della Brigata Ebraica nella guerra di liberazione e il 7 maggio, sempre sulle pagine de “l’Adige” il professor Claudio Eccher ha scritto: “Ho letto con vivo interesse e con condivisione i due articoli pubblicati uno di Luisa Maria Patruno dal titolo “La nostra scelta per la libertà” e l’altro di Gabriele Giovannetti dal titolo “Il 25 aprile e l’America da ringraziare”. Insomma quattro preziosi interventi su un tema che s’accende solo, ma con un triste sapore di rissa, alla vigilia di quella giornata.
A Milano, nelle elezioni amministrative dell’ ottobre del 2021 era stata sollevata una questione: la decisione o meglio la volontà, che per “salire in politica”, bisognava dichiararsi “antifascisti” come requisito di appartenenza alla democrazia. Una scelta che per la storia della Repubblica nata dalle ceneri del fascismo dovrebbe apparire scontata. In particolare in quel di Milano dove il fascismo era nato il 23 marzo del 1919 nella centralissima piazza San Sepolcro, nel salone dell’ Associazione degli Industriali lombardi – la Confindustria era appena nata – quando Benito Mussolini aveva fondato il movimento dei Fasci italiani di combattimento e dove finì in quel 25 aprile del 1945 a Piazzale Loreto sui tralicci di un distributore di benzina.
In vero, non è così evidente che gli Italiani avessero accolto la caduta del fascismo se si ricorda attorno al Sessantotto, alla vigilia della strage nella banca di Piazza Fontana in quel 12 dicembre del 1969, cosa accadeva a San Babila dove si radunavano i giovani del Movimento Sociale Italiano definiti da Giorgio Almirante “i nuovi camerati”.
Un cenno attorno ai protagonisti di quell’avvenimento fondamentale nella storia d’Italia e dell’Europa. Il 2 marzo il quotidiano “Il Popolo d’Italia” annunciò per il giorno 23 una radunata di combattenti e di ex combattenti. L’invito venne ripetuto il giorno 9 con la frase: “Sarà un’adunata importantissima… Il 23 marzo sarà creato l’antipartito e sorgeranno i Fasci di Combattimento contro due pericoli: i conservatori di destra e l’ idea distruttiva di sinistra”. Il giorno dopo la radunata, il “Popolo d’Italia” scriveva che l’iniziativa aveva riscosso un enorme successo. In vero, i convenuti a quel battesimo, di cui per tutto il ventennio l’Italia fu obbligata a festeggiare la ricorrenza, furono trecento. I partecipanti a quella adunata furono chiamati Sansepolcristi e godettero di particolari privilegi imposti dal fascismo. Dal canto suo il poeta futurista Filippo Tommaso Marinetti, un entusiasta di quell’evento, compose, per celebrare i partecipanti alla radunata, “Il poema ai Sansepolcristi”.
All’obbligo di dichiararsi antifascisti si dovrebbe aggiungere anche un’altra realtà: quella di contrastare l’antisemitismo sempre strisciante. Dovrebbe, da tempo, essere relegato nella soffitta della memoria; invece l’avversione, il dileggio, l’odio nei confronti dell’ebraismo c’ è ancora e proprio in quel di Milano si manifesta nei confronti della realtà ebraica nella giornata del 25 aprile, data che ci dovrebbe ricordare la liberà conquistata, momento però guastato, al passaggio nel tradizionale corteo dei rappresentanti della Brigata Ebraica, dallo scandire di slogan come "Via i sionisti dal corteo" e "Israele Stato terrorista".
Per definire cosa sia oggi l’antisemitismo, bisogna ricordare quello che autorevolmente venne scritto per raccontare la presentazione del libro di Fiamma Nirenstein “Jewish Lives Matter – Diritti umani e antisemitismo”, presentato sul finire del 2021 nella Sinagoga Centrale di Milano alla presenza del presidente della comunità ebraica milanese Walker Meghnagi, del rabbino capo milanese Alfonso Arbib, di rappresentanti di Regione Lombardia e del Comune di Milano, oltre che dei giornalisti Toni Capuozzo, Alessandro Cecchi Paone e Augusto Minzolinil direttore de “Il Giornale” e di Milena Santerini, coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo.
Il senso del libro – si legge nell’articolo di Santerini – è che “nel silenzio di un distratto antifascismo, dagli anni Ottanta la figura dell’ebreo è passata da oppresso a oppressore…. Un processo legato alla negazione da parte del mondo occidentale delle proprie stesse origini, premessa nella recrudescenza di un odio contro l’ebreo…. Un antisemitismo che si fa antisionismo associato all’odio per lo stato di Israele, bollato come la terra dell’apartheid e non come l’unica democrazia nell’area del Medio Oriente. Ulteriori elementi secondo lo scritto di Nirenstein, sono il negazionismo della Shoah, il ripudio del cattolicesimo progressista e il corollario del nazifascismo.
I seguaci di queste teorie utilizzano come fonti il Protocollo dei Savi di Sion – che ricordiamo come uno dei più spudorati falsi storici – dove si enuncia la fantomatica cospirazione di matrice finanziaria orchestrata dagli ebrei.
Santerini ha indicato anche nuove linee guida per la scuola, contro questo tipo di processo, legato anche a una damnatio memoriae che ha colpito il passato. “Una questione soprattutto culturale dovuta ad un’ignoranza diffusa che colpisce la politica come l’informazione, oltre naturalmente le masse, in cui troviamo individui autoproclamatisi antirazzisti, ma che razzisti lo sono nei fatti”.
Come è stato provocatoriamente chiesto da Cecchi Paone durante la presentazione dell’opera, ci si dovrebbe domandare quindi perché Liliana Segre debba necessitare di una scorta, o per quale motivo la stessa sinagoga milanese, e non soltanto questa, debba avere un presidio militare permanente, o per quale motivo la destra come della sinistra abbiano al proprio interno frange antisemite e antisioniste.
L’autrice ha sottolineato la logica su cui poggia l’ideologia rivolta contro lo stato ebraico, “fondata sulla destrutturazione della stessa natura democratica, antifascista e libertaria che si pone in antitesi a un moderno stato di diritto”.
Appunto Milano. Il clima nella metropoli risente necessariamente di quello del resto d’Italia, e di questa situazione internazionale, con l’aggravante del ruolo di Milano di laboratorio politico e civico che amplifica le tensioni e spesso ne delinea le tendenze. Le bandiere israeliane bruciate in centro a Milano, al grido di «intifada», o la periodica contestazione alla Brigata Ebraica durante pressoché ogni sfilata del 25 Aprile, da parte di giovanissimi rei della più crassa ignoranza, sono spie di una situazione generale preoccupante. L’importane articolo aggiunge. “ Deve essere chiaro che non si tratta di un problema ebraico, ma di un problema di coscienza civile, di diritti di tutti, che si possono mantenere vivi soltanto attraverso il coraggio della memoria e il rifiuto di un osceno “populismo delle idee” che vorrebbe rendere irriconoscibili storia e verità.
(Fine)
.
.