C'era una volta il salvatore della patria
Crisi di governo, l’editoriale del direttore dell’Adige Alberto Faustini
Il Paese reale - a cominciare da un capo dello Stato che anche in questo contesto ha cercato d'essere prima di tutto un buon padre di famiglia - gli chiedeva di restare. Il Paese virtuale, quello che in Senato ieri più che mai ha dimostrato di rappresentare un mondo che non c'è più, l'ha invece di fatto mandato a casa, nascondendo la manina.
Abbandonando l'aula prima che bruciasse (come hanno scelto di fare Forza Italia e la Lega) e prima che una minoranza gli votasse una paradossale fiducia. Penso che Mario Draghi - arrivato a Palazzo Chigi per salvare un Paese da sempre abituato a cambiare idea molto in fretta - non meritasse un finale del genere. E non lo meritava nemmeno l'Italia. Ma interrogarsi sulla qualità e sul contenuto dei titoli di coda, a questo punto, serve a poco. L'esito infatti non cambia: è caduto, pur senza un reale voto di sfiducia, l'ennesimo governo.
E anche Draghi - colpito da fuoco "amico" come molti suoi predecessori - finisce nella collezione dei campioni che quasi tutti ci invidiano ma che noi, dopo un periodo più o meno breve, abbattiamo senza tanti complimenti e senza un grazie. Un nonno prestato alla patria e dalla patria (politica) pestato. L'espressione del presidente del consiglio, alla fine del dibattito, era quella di molti italiani: occhi bassi e socchiusi, mani giunte e una buona dose di amara incredulità. Draghi, chiamato a guidare un governo d'alto profilo e ad affrontare - come lui stesso ha ricordato ieri - tre grandi emergenze (la pandemia, la crisi economica e quella sociale), sembrava il predestinato: qualcuno si immaginava (e sperava) che potesse restare a Palazzo Chigi ben oltre la fine della legislatura; altri lo consideravano già al Quirinale al posto di Mattarella.
Il finale è noto. E molto diverso. E adesso - anche se non sarà facile spiegarlo a un'Europa e a un mondo che ci guardano come se fossimo degli Ufo - c'è un'unica prospettiva: il voto. E c'è persino una data (anomala, perché d'autunno non si vota mai, per le politiche): il 2 ottobre. Difficile capire come ci arriveremo, all'autunno. Facendoci del male come sempre, vien da immaginare.