La ferrovia del futuro sui terreni inquinati
«Cloro al clero, diossina alla Dc e piombo tetraetile all'Msi». Era il Sessantotto e il più micidiale dei tre veleni, appunto quello prodotto dalla Sloi di Campo Trentino, veniva consegnato al partito di Giorgio Almirante, il movimento discendente dal fascismo.
Dunque la velenosità del "pt" - appunto il piombo tetraetile, l'antidetonante della benzina - era ben nota anche per grido di piazza oltre mezzo secolo fa poi conclamata da inchieste giudiziarie, da indagini universitarie, da migliaia di articoli di giornale, libri, lavori teatrali, filmati, dibattiti politici ed ecologici tutti concordi nel riaffermare un pericolo reale, mostrato dai pozzi piezometrici ficcati nei terreni di Trento nord dove si vuol far passare in galleria la progettata linea ferroviaria. Che, sia ben chiaro, si dovrà fare per congiungere il Mare del Nord al Mediterraneo. Ma si dovrà scegliere un percorso diverso. Perché un progetto che durerà almeno due secoli non deve nemmeno sfiorare quella «bomba ecologica innescata che non possiamo consegnare ai nostri figli».
Come disse nel 1995 l'allora sindaco Lorenzo Dellai che conosceva molto bene il disastro ambientale della Sloi e degli altri stabilimenti che sono ancora una spina velenosa nella nostra città. E la Sloi lo è dal 1939 data di inizio della produzione del piombo tetraetile, fino al 14 luglio del 1978 l'anno dell'incendio che minacciò di trasformare Trento in un cimitero. Inquinamento ben noto a quell'imprenditore che, proprietario di un pezzo di terreno si è opposto a concedere l'accesso ai tecnici incaricati di un sondaggio, in verità l'ennesimo dopo quelli diretti dall'architetto Alverio Camin; se non ci fosse un conclamato inquinamento non si sarebbe messo di traverso al cantiere detto pilota che, pare, un cantierino cioè uno specchietto per le allodole, cioè per tranquillizzare noi cittadini. E chissà se un domani chiederà di edificare ovviamente su palafitte un grande quartiere.
«È questa la giornata di conferma» ha detto il sindaco di Trento Franco Ianeselli presentando i risultati dell'assemblea che nel Palazzo della Provincia e nel giorno della festa dell'Autonomia ha sancito il disco verde del passante ferroviario. Ma, per esempio, dove sarà trasportato il terreno scavato, impregnato di una sostanza trenta volte più micidiale del gas usato dagli austrotedeschi nell'ottobre del 1917 a Caporetto? L'attuale tracciato della ferrovia, che ha il pregio di portare la stazione sulla porta di casa, non era piaciuto nel 1927 a quell'Antonio Pranzelores l'ideatore della Trento Alta che doveva trasformare il Monte Bondone in un quartiere della città vocata, così si sognava, ad una realtà di alpinismo e turismo. Ma è stato anche - questo lo aveva scritto il sindaco architetto Adriano Goio nel marzo del 1990 - «divulgatore della toponomastica cittadina e studioso delle memorie storico-artistiche e del folklore della nostra terra». Scriveva appunto nel Ventisette, che «gli affrettati lavori del trasferimento del fiume Adige dal borgo di San Martino, Torre Verde e Torre Vanga all'attuale alveo per dar posto alla Ferrovia Meridionale che servì inizialmente per il conflitto del 1859» - la seconda guerra d'indipendenza italiana - «furono intrapresi tenendo pochissimo calcolo dei bisogni della città e le locomotive sbuffanti vennero ad intralciare i bisogni di Trento impedendo la realizzazione dei suoi attesi destini» uno dei quali era un futuro fluviale.
Si legge sempre nello scritto di Pranzelores: «La ferrovia invade la valle nel bel centro, stozzando con una brusca svolta verso i colli della Malvasia e di Pietrastretta lo sfogo naturale di quello che per eccellenza si chiama proprio il Campo Trentino a nord della città». E intervenendo nel dibattito cominciato in quegli anni sul futuro della città divisa in due dalla ferrovia aggiungeva: «Due progetti mirerebbero alla risoluzione dei gravi inconvenienti» e trascurando oggi l'idea di un viadotto ad arcate simile a quello della Valsugana, proponeva «di trasportare tutto il corpo ferroviario a settentrione del Dos Trento, praticando una galleria sotto di questo». Una idea ricomparsa alla fine degli anni Cinquanta quando l' Italcementi di Carlo Pesenti aveva proposto di scavare l'interno della Verruca per trasformare il materiale in cemento e in cambio avrebbe contribuito a realizzare la nuova tratta ferroviaria ad ovest della città con la stazione nell'interno del Dos Trento.
E poiché quella era anche epoca della Guerra Fredda, si era fatto capire che lo scavo sarebbe servito come rifugio. All'occorrenza anti atomico considerando il rischio reale di un conflitto nucleare. Non se ne fece niente per una catena di opposizioni fra le quali primeggiò quella di Bice Rizzi, l'ultima donna del Risorgimento, che dichiarò intoccabile quel colle perché sacro alle memorie della Patria italiana.