Due trentini nella Gold Coast: un'isola spaziale
Roberto Bombardelli, nato in Australia e tornato bambino ad Aldeno, e Lionello Ravanelli, di Albiano, sono partiti per un viaggio che è anche un tributo ai tanti che cercarono fortuna in quella terra lontana. Ce lo raccontano con il blog "Effetto Boomerang"
PRIMA TAPPA L'arrivo e le prime pedalate
SECONDA TAPPA La città dell'eterna primavera
TERZA TAPPA Pedalando dall'altra parte del mondo
LA GALLERY/1 A spasso per Sidney
LA GALLERY/2 Brisbane, tuffo nel futuro
LA GALLERY/3 Tra spiagge e campeggi
LA GALLERY/4 Panorami incredibili
FRASER ISLAND. Anche In Australia tutti amano lo smartphone; tanto. Ci sono cartelli di esortazione pubblica del tipo (con il volto di un bel bambino) che recita "Wach me, before the smartphone". Quello che stupisce è la forte presenza di telefoni pubblici rosa, in perfetto ordine, ma che nessuno utilizza. Mistero? La spiegazione che ci siamo dati è la seguente: sebbene ci siano un forte welfare e una ricchezza che si vede dai consumi, non si vuol dare per scontato che tutti possano permettersi una sim. Altra ossessione continentale: i suv.
Fuoristrada potentissimi da 5.000 cc di cilindrata, diesel, con Bull bar da mezza tonnellata, pedane anti insabbiamento, verricello e altri strumenti di sopravvivenza, utilizzati da tutti per andare a fare la spesa al supermercato Coles. E da questo ultimo aspetto vorremmo esordire per il seguito di questo nostro commento di viaggio. Siamo stati a Fraser Island. Abbiamo prenotato un pacchetto da 279 dollari AU, all included. L’isola è già un monumento alla bellezza: patrimonio dell’umanità: centinaia e centinaia di km di sabbia accecante. Fraser Island è l’isola di sabbia più grande al mondo.
Affiorano qua e là strane rocce nere dette Coffee stones, formatesi nella notte dei tempi per sedimentazione di materiale organico. L’interno è colonizzato da una vegetazione “spaziale”, per chi ha memoria dell’antesignano serial “Spazio 1999”, dove ogni centimetro quadrato è occupato da una forma di vita vegetale. Diversa. C’è anche un lago interno di acqua dolce più grande di quello di Santa Colomba. Acqua purissima intrappolata da uno strato di “coffee stone” che impediscono alla sabbia di disperderne le acque. La sabbia è di un bianco da Photoshop (senza sovrasaturazione), ed è così perché incontaminata tanto da essere utilizzata per la lucidatura dei gioielli. Siamo di fronte al lago MC Kenzie. Su un lungomare liscio come il tavolo di un bigliardo, il relitto di una nave arenata sulla spiaggia sembra abbia preso il suo posto naturale nel contesto di questo spettacolo (Maheno Schipwrck). Si aggirano Dingo poco amichevoli, specie con i bambini. Cartelli invitano i turisti a portare rispetto ai proprietari dell’isola e ai suoi antenati.
Proprietari? Antenati? Ma quali? E soprattutto, dove? L’unico nativo che abbiamo incrociato spazzava foglie con una moderna soffiatrice. Fin qui era andato tutto bucolicamente bene. Poi notiamo il resto, piano piano. Infatti, per cominciare, l’isola si chiama K’gari ed era la patria di una etnia aborigena Butchells, che ha vissuto per 40000 anni in questo Eden. Poi: gli inglesi. L’isola è vivisezionata da km e km di piste sabbiose artificiali spianate da enormi trattori con tanto di benna. È la sagra dei Pick up stile sopravvivenza, e il nostro pullman fuoristrada si fa avanti tra la lussureggiante vegetazione in crescita a vista d’occhio. Tra precedenze e sbuffi diesel arriviamo presso un resort stile anni ‘70. Sosta. Poi via verso la magnifica e incredibile spiaggia. C’è pure l’aereo 6 posti per i turisti che a 100 dollari possano sorvolare l’area dell’isola per 15 minuti. Ci fermiamo ad una insenatura dove decine e decine di famiglie con super suv da Safari fanno il bagno con tanto di gonfiabili e frigoriferi pieni di ogni bene. Siamo increduli. Un patrimonio dell’umanità gestito come un parco giochi. L’autista parla un inglese incomprensibile a chi non vive qui da 20 anni. Somiglia al ranger di Yoghi e Bubu. I ritmi delle soste sono stile giapponese.
Non un depliant o brochure o auricolari per i non anglofoni residenti. Siamo perplessi. Pure alcuni tedeschi che bene conosco la lingua che abbiamo incontrato, dicono di non aver compreso nulla. Alcuni Italiani, invece, non si fanno riconoscere quando esprimiamo le nostre rimostranze e l’autista ci risponde con uno smile!…poi per un po’ rallenta l’eloquio. Rientriamo nel nostro Camp Site di Pialba Hervey Bay dove abbiamo incontrato Penny, una signora anziana che si è presa cura di noi, ex insegnante di nuoto, che amorevolmente ci invita in piscina e ci regala una salsa per barbecue fatta da lei. Poi riprendiamo la strada per Childers, su sterrato. Percorso impegnativo e nessuna anima. Fa molto caldo e bisogna razionare l’acqua e le forze. A Childers incontriamo Sonja. Ci accoglie in un campeggio municipale gratuito e ci offre subito da bere. È una donna discreta e simpaticissima. Figlia di un australiano e di madre olandese, è lì, in vacanza, col suo stupendo setter. Ha viaggiato molto. Si sente perché ci comprendiamo benissimo.
Anche lei ci mostra simpatia senza chiedere nulla; una costante dei nostri incontri: la gioia di condividere. La salutiamo con un po’ di nostalgia. “See you later samewere”. Si riparte verso Bundaberg: tragitto bellissimo, ma molto molto impegnativo, tra infiniti paesaggi di canna da zucchero e altre colture autoctone, come macadamia e manghi. Moltissimo sterrato. A volte si spinge. Sabbia e sassi, binari a scartamento ridotto segnano la via dei vagoni della canna da zucchero. Colori intensissimi in un paesaggio pastello. Arriviamo a Bundaberg, storica città della canna da zucchero, all’inizio della grande barriera. Mai bevuto rum così gradevole. Nondimeno la sera si notano scene di marginalità: autoctoni aborigeni in suv, scalzi e poco curati nell’aspetto, confermano i nostri dubbi sul sistema di inclusione dei nativi, anche se il processo dovrebbe essere al contrario. Non abbiamo elementi per giudicare, vista l’estemporaneità del nostro permanere. Domani si fa un salto verso i tropici: Townsville; 14 ore in coach. Poi si riprenderà il nostro “ride” verso Cairns e la grande barriera. Ci attendono 4 giorni di pedalate. Che bello.
A presto
Lio e Bob
(4. continua)