In bici attraverso l'Islanda: «Ma che ci facciamo qui?»
Luca, Lio, Enrico e Bob sono sbarcati e inizia la grande avventura. Si pedala al gelo e sotto la neve: è la primavera islandese
LA GALLERY Una natura spettacolare
PRIMA PUNTATA Di nuovo in sella
Questa volta siamo in quattro con l’intenzione di pedalare fino al 66° parallelo. Esattamente, la decisione di scegliere l’Islanda come meta per un breve tour non è stata così chiara; perché non le Canarie che sembrano altrettanto lontane, ma con un clima più consono ad evergreen bikepackers da primi di maggio?
Cercheremo di darci questa risposta pedalando. La preparazione per il viaggio è stata complessa.
Logistica a parte, nella pianificazione dei siti da visitare, durante questi 15 giorni, è risultato paradossale l’impossibilità di impararne i nomi. Impronunciabili. Così ci si accontenta di descriverli ognuno a modo suo indicandoli sulla mappa. Diversamente dal tour australiano qui abbiamo dovuto selezionare, visto il tempo delia permanenza; è un problema, per curiosi viaggiatori, escludere luoghi; ma pazienza. Semmai ritorneremo. Quattro bici in quattro scatoloni. Un ingombro notevole. Ce ne rendiamo conto all’arrivo a Keflavik, unico aeroporto internazionale dell’Islanda.
Siamo accolti dal silenzio. Nell’aerostazione si sarebbe sentita camminare una volpe artica, notoriamente silenziosa nei suoi spostamenti. Pochissime anime vi si aggirano. Duty free deserti senza neanche una musichetta lontana stile Upim.
A qualcuno di noi viene in mente di cantare Romagna mia… sembra ci guardino con sospetto mentre ci avviciniamo all’uscita con i nostri “ingombranti”. È sera ma all’uscita c’è il sole. Tutto ok se non fosse per i pochi gradi celsius e il Blizzard pungente che ricorda cima Palon delle nostre sciate giovanili a qualsiasi costo e con qualsiasi clima in dicembre.
Una domanda si insinua in noi: cosa ci facciamo qui? Primo degli attesi imprevisti: i vari tentativi di trovare un mezzo per il trasferimento verso l’appartamento prenotato per la prima notte vanno male. I capienti van dei taxisti ci sono, ma hanno i sedili fissi e le bici non ci stanno. Al desk della compagnia di trasporto ci dicono che non possono aiutarci.
Soluzione? Si montano 3 bici e si caricano di bagagli. Luca caricherà solo la sua su un taxi van insieme agli imballaggi che ci serviranno per il ritorno. Cartoni e masserizie sparsi in una parte della hall degli arrivi. Occhi curiosi ci quadrano ma nessuno dice nulla. Ci siamo.
È sera tardi. Lio, Enrico e Bob pedalando controvento, si ricongiungono con Luca al randez vous, dopo vari km di paesaggio siberiano; perché no Tenerife? In fondo è terra vulcanica pure quella! Meno male che non piove.
Al bed and breakfast speriamo di trovare un sorriso di benvenuto. C’è solo una cassetta di sicurezza. La apriamo con un numero che ci hanno inviato 0000 e veniamo accolti da una ondata di caldo come se qualcuno avesse dimenticato il riscaldamento acceso. Non si vede nessuno ma si odono dei rumori al piano di sotto.
Però non manca nulla e pian piano ci sistemiamo per la notte che fuori c’è ancora il giorno. Domani ritireremo il camper che ci servirà come campo base per le nostre escursioni. Visto il clima notturno perché no, talvolta sottozero, la tenda l’abbiano lasciata a casa anche se ha fatto qualche storia perché voleva venire pure lei. Dormiamo con una visione iconica della mappa negli occhi. Per i nomi, c’è tempo… si spera. Il giorno successivo, una perlustrazione alla cittadina in un clima che definire imprevedibile è poco. Questione di minuti e si cambia scenario; cielo terso, poi nuvole improvvise e pioggia si alternano continuamente.
È domenica. Ma dove sono i cittadini di Keflar? Ah, laggiù, eccone uno… poi due, massimo una decina. È mattina inoltrata che piano piano dalle case escono gli abitanti. Passeggiano lungo mare, lentamente. Il paesaggio urbano è gradevole, ordinato, soprattutto colorato, dal rosso e dai colori sgargianti di alcune abitazioni; ai più giovani di noi (età totale equipaggio 243) fa venire in mente Pippi Calzelunghe.
Ritiriamo il camper e via per il Parco nazionale di Thingvellir, un luogo particolarmente interessante: al suo interno, infatti, si trova la faglia di Silfra, punto di divisione fra le placche tettoniche del Nord-America e dell'Eurasia. Appena usciti dall’unica grande arteria islandese, il panorama si presenta bellissimo: laghi, pianure di tundra quasi desertiche su uno sfondo di montagne imperiose che si stagliano all’orizzonte. Poca neve qua e là e tratti scoperti di ghiaia nera. Il paesaggio ci mette allegria e si fanno tante foto mentre il camper procede a velocità ridotta per non perdersi nulla. Il camping, ok che è sera, c’è scritto nel sito: h24, ma nessuno alla reception.
Un ragazzo che incontriamo ci dice che non serve registrazione. Basta prendere posizione, collegare la luce e il resto si farà domani. Tre oche presidiano il campeggio. Dormiamo. La faglia di Silfra è a due passi. Camminiamo lungo percorsi ben tracciati allo scopo di non danneggiare il soffice tappeto di muschio che dipinge di un giallo ocra l’immensa profondità del paesaggio. Ci incamminiamo in mezzo alla faglia che sembra una versione arcaica dell’insenatura della morte nera del quarto episodio di Star Wars, 1977…eravamo già grandicelli ma quella scena archetipa l’abbiamo ancora dentro. Ci scusiamo per la chiosa e ritorniamo alla faglia di Silfra, beh! che impatto! Indimenticabile e quasi paradossale. Qui tutto, pianissimamente è in movimento. Luna park dei geologi. Per non parlare poi di Geysir, che Bob ed Enrico raggiungono nel pomeriggio mentre Luca e Lio se la fanno in bici. Partono che nevica. Bardati alla palombara. Due gradi. Mi viene in mente da parafrasare una citazione dell’alpino Pilon (mi pare da Bedeschi): lassù dove volano gli spiriti alati gli alpini ci arrivano a piedi.
Geysir è da sballo. Tutti con un naso all’insù, o meglio, con gli smartphone in su e le mani assiderate ad aspettare l’eruzione. Nel grigio azzurro di un pittoresco clima da primo disgelo, nuvole di vapore e odore di zolfo. Aria attiepidita. Un piacere per tutti i sensi. Tutto free, parcheggi ed ingresso all’area. Ottima politica. Tourist centre pieno di famiglie. Una renna imbalsamata all’ingresso ha poco di islandese. Procediamo con gli occhi pieni di bellezza naturale verso Gullfoss. Un altro spettacolo ci attende.