Giacomo Matteotti: 100 anni fa il delitto di regime che svelò il vero volto del fascismo/5
Da decenni sappiamo che il capo dei sicari aveva raccontato, la sera stessa del delitto, come il rapimento si era trasformato in omicidio; il fatto era stato riferito al Duce che, probabilmente, avvertì i suoi ministri che gli assassini erano fascisti
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Quando con la fine della guerra e dopo il 1945 si tornò a dibattere se l’ordine di uccidere Matteotti o di dargli “solo” - si fa per dire - una lezione fu dato da Mussolini, Indro Montanelli sulla figura di Marinelli scrisse: “Condannato a morte dal tribunale di Verona assieme agli altri traditori del 25 luglio, Marinelli confidò a Pareschi e a Cianetti, suoi compagni di prigione, che l’ordine lo aveva dato lui, convinto di esaudire i desideri del Duce”.
Aveva tradotto lo scoppio di furore di Mussolini dopo il discorso di Matteotti che aveva scoperchiato gli errori - e gli orrori del fascismo e di molti fascisti, in un ordine di castigo e da ottuso burocrate della violenza, carrierista ambizioso, assolutamente privo di qualità sia politiche che umane, organizzò il rapimento. Forse si voleva dare una punizione esemplare come era nello stile squadrista: con l’olio di ricino da far ingollare all’ostaggio per poi trascinarlo in qualche piazza della Capitale per mostrarlo alla gente. Con il fascismo, e questo lo si legge su Wikipedia, l'olio di ricino venne utilizzato dalle camicie nere: sequestravano gli avversari politici e li costringevano a bere una grande quantità di quel liquido di effetto immediato quanto nauseante, in quella che veniva chiamata la "purga del sovversivo", causando al malcapitato una violenta scarica di diarrea.
La vittima veniva costretta a defecarsi addosso, imbrattando in modo evidente i suoi pantaloni (spesso veniva legata una corda all’indumento della vittima affinché non potesse tentare di sfilarseli durante gli attacchi). Successivamente veniva costretta a girare in una zona centrale del luogo dove il malcapitato era stato catturato, in quelle umilianti e indignitose condizioni, con le camicie nere che lo schernivano.
E molto spesso, se era sposato, il malcapitato veniva mostrato alla propria moglie, rendendo l'esperienza ancora più degradante e umiliante. Il messaggio simbolico di quel gesto, legato a quell'epoca storica, era chiaro: "l'avversario se la fa addosso, quindi non è un vero uomo". Inoltre, negli anni Venti, non era facile lavare i vestiti, e ciò rendeva ancora più traumatica quella forma di furore: il fine ultimo di questa azione era di spaventare, umiliare l'avversario e di ridicolizzarlo. Sembrerebbe che l'idea dell'utilizzo dell'olio di ricino come strumento di punizione sia stata di Gabriele D’Annunzio, ma si trovano riferimenti anche nella corrispondenza dal fronte di alcuni ufficiali italiani, i quali utilizzavano quel sistema con i soldati poco disciplinati.
Ma quanti imponevano quel gesto correvano un grave rischio: quello di venire uccisi dai fanti così umiliati, nella terribile, tragica confusione degli assalti alle postazioni nemiche. Rimase celebre e fece paura un po’ a tutta la gente della Pianura Padana, la bastonatura e l’olio di ricino fatto ingollare a Cesare Forni, già Ardito sul Montello, decorato al Valor Militare, squadrista, ras (dall’ arabo signore, per i fascisti capo bastone, nda), fascista certo, ma dissidente, o meglio avversario del Duce. Il 12 marzo 1924 Forni venne assalito nell’atrio della stazione ferroviaria di Milano da alcuni squadristi comandati da Dumini fra i quali c’erano Volpi, Malachia e gli altri figuri della “Ceka Fascista” gli stessi che avrebbero ucciso Matteotti. Forni non era un camerata qualunque, ma l’espressione forse più bellicosa, comunque molto autorevole dei soldati smobilitati dalla fine della Grande Guerra. Faceva parte dei reduci piemontesi, aveva fondando un giornale, “Il Trincerista”, si era trasferito a Mortara per mettesi a capo di un esercito personale composto da centinaia di squadristi, quasi tutti reduci dal Piave, dal Montello, dal Monte Grappa.
Era stato subito riconosciuto come “ras” dell'intera provincia di Pavia, zona con un’agricoltura molto ricca e centri urbani politicamente vivaci. I reduci avevano un credo di estrema destra per fronteggiare, armi alla mano, i socialisti che su posizioni neutraliste, venivano accusati di disfattismo e, quel che era peggio, di bolscevichismo. Ma anche i bolscevichi erano reduci, però odiavano la guerra e gli ufficiali che li avevano obbligati a compiere azioni terribili quanto inutili. Ammiravano Lenin del quale avevano sentito, ma solo raramente, parlare, la Russia, la Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre chiamata anche Rivolta d' Ottobre, Ottobre Rosso o anche Grande Ottobre. Ma quanti si erano schierati ai piedi delle bandiere nere dei gagliardetti coi teschi ghignanti, erano i vincitori; però dopo le giornate di parate, di gloria che li avevano visti ospiti fissi e altezzosi, ma quasi mai paganti, nelle trattorie e nei bordelli, non riuscivano a riprendere la vita dei borghesi e non avevano un lavoro.
E Cesare Forni era il loro capo. Sicuramente nella zona di Pavia era un capo popolo rispettato. Violento, veniva visto come un personaggio scomodo, un dissidente e in un duello alla sciabola sfidò allora segretario politico beniamino del Duce. Nel febbraio del 1924 venne espulso dal Partito e nelle elezioni del 6 Aprile si presentò con una lista si fascista, ma dissidente dal dettato mussoliniano. Presente solo in Piemonte e Lombardia sfidò il famoso “Listone” e venne eletto deputato, unico del suo schieramento, che però dava fastidio al fascismo ortodosso. Così quando nella stazione di Milano venne bastonato e costretto a bere la maleodorante mistura, le città di Cremona, Mantova, Ferrara restarono con il fiato sospeso.
Forni avrebbe scatenato le sue milizie? Avrebbe vendicato con sanguinose rappresaglie l’onta subita? E’ documentato che i fascisti del bresciano si radunarono armati perché un conto era aggredire e purgare chi portava il nero cravattino degli anarchici, o i capilega, i socialisti; ma un altro era prendere di mira, e per giunta pubblicamente, un personaggio come Forni, per giunta un deputato, Probabilmente tornati a Roma, quelli della “Ceka” vennero elogiati da Mussolini e dagli altri caporioni che, ancora, nonn si chiavano gerarchi Probabilmente compresero che se avevano vituperato un “ras” dissidente sì, ma fascista, ex combattente e addirittura un Ardito e soprattutto comandante di schiere di uomini pronti a tutto senza subire conseguenze, avrebbero potuto malmenare quel socialista che più di altri aveva osato coprire di critiche politiche il Duce in Parlamento. Galvanizzati dal successo prepararono l’impresa. Il rapimento di Matteotti.
(5. continua)