In bici attraverso l'Islanda: deserti, vapore, storie
In questa stagione sono pochi coloro che si avventurano nell’interno innevato. Servono mezzi speciali, tempo e anche budget
LA GALLERY/1 Una natura spettacolare
LA GALLERY/2 Tra geyser e cascate
LA GALLERY/3 Ghiaccio
LA GALLERY /4 Tra puffin e balene
PRIMA PUNTATA Di nuovo in sella
SECONDA PUNTATA «Ma che ci facciamo qui?»
TERZA PUNTATA Verso sud-est sulla A1
QUARTA PUNTATA Aurora boreale
QUINTA PUNTATA Gli islandesi
In questa stagione la A1, ad eccezion fatta delle strade vicino ai centri urbani importanti come la capitale Reykjavík (139.000 abitanti) e Akureyri (18.000 abitanti), è spesso deserta.
Non stupisce, perché i censiti della nazione sono all’incirca 393.000; meno della popolazione della nostra provincia. A parte alcuni mezzi pesanti e i possenti fuoristrada dei locali, una buona parte dei mezzi incrociati sono noleggiati da turisti.
Un esercito di auto bianche tutte uguali, van e camper battono il territorio e sono noleggiati presso compagnie dagli strani nomi come Indie, Indi, Kuku Campers, o anche “Be sexy”. Non è chiaro. Quando arriviamo ai campeggi, alcuni più simili ad aree di sosta per disperati, di solito siamo i primi.
Deserti nel deserto.
Lentamente arrivano tutti e il sito si riempie di van e camper variopinti che al mattino si disperdono lungo la A1. Così ogni tanto ci si rivede. In questa stagione sono pochi coloro che si avventurano nell’interno innevato. Servono mezzi speciali, tempo e anche budget. Tuttavia, abbiamo incontrato un gruppo di ciclo-simili, super coraggiosi tedeschi con bici e tenda a meteo -2, neve e intemperie varie: ci pervade un senso di ammirazione. Chissà se stanno ancora bene. Speriamo bene. Al Vogar Camping Ground di Hafnargata arriviamo nel pomeriggio del 14 maggio, dopo un viaggio durante il quale è piovuto di tutto.
È una zona di vulcani (fortunatamente spenti); incredibili fiumi di lava, crepacci e fumarole ovunque. Il Krafla ha eruttato l’ultima volta nel 1985, ma vedendo il territorio sembra che abbia eruttato da poco. Brivido. Krafla è definito un cratere Víti, che in islandese significa inferno. Vedendo la zona non ce ne stupiamo. Sarebbe un’ottima location per un colossal dantesco o meglio una serie tv, perché i vulcani quassù sono tanti. Krafla ha un lago ghiacciato all’Interno e la zona è piena di soffioni dall’odore sulfureo. C’è pure una enorme centrale idroelettrica.
Vapore ovunque.
Piove e tira un vento polare, a tratti neve, quando arriviamo col camper fino in cima all’immensa caldera. Ci siamo solo noi. Due foto veloci e siamo praticamente congelati. Fuggiamo nel camper. Arriviamo al campeggio che il cielo si apre e sbuca il sole. Lo Skútustaðagígar è un immenso vulcano spento. Il cratere è smisurato. C’è un sentiero percorribile. Sulla sommità ci si può arrivare spingendo la bici.
Paesaggio lunare.
Lì vicino un bellissimo specchio: il lago Mývatn, meta di turisti. Il giorno dopo c’è ancora un sole che non ti aspetti. Roba da maniche corte. Caldissimo: anche 14 gradi. Il lago Mývatn ha le rive frastagliate. Molto bello perimetrarlo in bici. Una incredibile fauna di molte specie di uccelli vi staziona. Tantissime oche selvatiche e cigni (Cygnus Cygnus), un po’ più piccoli di quelli che da bambini si vedevano nella compianta piazza Dante di Trento, oggi territorio da attraversare di corsa. Ad Akureyri facciamo provviste in un discount, poi via verso Grundarfjörður, luogo dove si erge maestoso l’iconico Monte Kirkjufell. Location usata per produzioni hollywoodiane, il monte è da paura. Composto di strati di roccia di diversa natura, sembra un paesaggio artificiale come i dintorni di Albiano. Impossibile staccare lo sguardo.
Foto su foto.
Macchine di turisti incatenati, fermi con le loro auto a bordo strada, si dimenticano anche di mettere le 4 frecce, ipnotizzati dalla vista della montagna il cui nome, Kirkjfuell, tradotto in italiano significa incendio della chiesa… Ripartiamo per l’ultima meta: Reykjavik. Sul percorso ci pare di aver dimenticato qualcosa da non perdersi in extremis: foche laggiù! Le troviamo che stazionano al sole e giocano a gruppetti incuriosite dai visitatori, lungo una spiaggia sulla strada nazionale. Sembrano attente e giocherellone.
Bob non si spiega perché foca sia sinonimo di ingenuità e scarsa perspicacia. Ora via davvero verso l’ultima tappa: Reykjavík. Il giro nella città inizia con un pellegrinaggio. Per la generazione degli anni ‘60, questo è un luogo importantissimo: qui si sancì l’inizio della fine della guerra fredda. Ottobre 1986: il vertice fu un bilaterale tra il Presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, ed il Segretario generale del PCUS, Michail Gorbačëv. Le due delegazioni non raggiunsero un accordo. Ma fu dato il LA ad un processo storico epocale. Corre ancora un brivido lungo la schiena nel ricordare la paura d’una imminente distruzione termonucleare; sensazione che si provava allora e invano si tentava di esorcizzare con bandiere colorate e musica new wave.
Che storie. Il summit si tenne ad Höfði, bella villa non molto grande sul lungomare di Reykjavík, storica ambasciata britannica in Islanda. Si tenne lì, perché geograficamente equidistante tra le due superpotenze. Una sede tutto sommato ordinaria e informale per quel tipo di eventi. Il mondo stava recuperando senno, in extremis. Bob quasi si commuove, compiaciuto del fatto di aver camminato su quel sito. Con l’età si diventa sempre più dei sentimentali. Il giro per la città è gradevole, ma il paesaggio non regge il confronto con le meraviglie dei paesaggi naturali. Foto di rito sull’asfalto arcobaleno che scende dalla cattedrale verso il centro e poi Lio si getta nelle acque termali che si buttano nel mare.
Gli altri guardano, fanno foto, pensano e muoiono di freddo Si rientra. Giornata proficua. Al mattino sveglia all’alba e via verso l’aeroporto internazionale di Keflavík. Riconsegniamo il camper e prepariamo le bici all’interno dell’aerostazione. Fra poco si vola e pensiamo che ogni giorno potrà diventare una nuova avventura.
Grazie a tutti per averci seguiti in questo viaggio.
Tridentina Avanti!