Ricordi (personali) di un Degasperi poco noto/2

PRIMA PUNTATA

di Luigi Sardi

Era il 1946 quando Vissarionovič Džugašvili, cioè Stalin, decise che il confine del Brennero, quindi il Sudtirolo tutto, doveva restare all’Italia. Dal 1924 all’ 8 Settembre del 1943 Benito Mussolini prima e poi dal 1945 Alcide Degasperi e KarI Gruber, si trovarono alle prese con quello storico valico in Alta Valle Isarco. Era appena finita la guerra quando tornò immediata la questione del confine e quindi del Sudtirolo. Doveva restare all’Italia o tornare all’Austria?

Ma né Degasperi e il ministro austriaco Gruber potevano interferire, intervenire, protestare o suggerire in quel dibattito che ormai era della Guerra Fredda. Decisero i sovietici. Forse parlò - ma sottovoce - Palmiro Togliatti il leader del più forte partito comunista dell’Occidente. Ma la decisione arrivò da Mosca dal dittatore che si faceva chiamare Stalin, cioè “figlio dell’Acciaio”. C’era stato un fatto risolutivo: le elezioni in Austria del 25 novembre del 1945, le prime dopo il crollo del nazionalsocialismo.

Molti uomini con diritto al voto non erano ancora tornati dai campi di prigionia; le donne furono la maggioranza dei votanti, il Partito Popolare prese 1.602.227 volti e 895 seggi; quello comunista 174.257 con 4 poltrone. Insomma, una debacle per Stalin con la Reuters, l’agenzia di stampa inglese, ad anticipare “un brusco cambiamento della politica nei confronti dell’Austria con la Russia” - ovviamente nulla accadeva senza il volere del despota rosso - “ad appoggiare l’Italia per il confine al Brennero e le rivendicazioni iugoslave in Carinzia” occupata dai soldati di Tito. “La Russia aveva deciso di trattare l’Austria come un paese fascista sconfitto”. L’appoggio dell'URSS a Roma divenne esplicito; Mosca definì inconcepibile che il mondo tedesco potesse acquisire un nuovo territorio dopo aver provocato e perso una terrificante guerra. Alla metà dell’aprile del1946 la “Izvestija” (Известия, Notizie) il giornale stampato dal 1917 a Pietroburgo e organo ufficiale della Russia sovietica, pubblicava: “Per quanto riguarda l’Italia è necessario procedere con sollecitudine ad un trattato di pace e sulla questione del confine del Brennero non vi sarà bisogno di discussioni, mentre per la definizione dei confini per la Venezia Giulia non vi saranno insormontabili difficoltà”. Degasperi intervenne con molta prudenza e nella famosa conferenza stampa con i corrispondenti esteri che vestivano ancora la divisa degli eserciti di appartenenza, domandò “di smorzare i toni della polemica politica contro la Russia per evitare di incoraggiare i movimenti separatisi nella Sicilia” dove il bandito Salvatore Giuliano era un colonnello dell'EVIS, “e in Alto Adige mentre in Austria continuavano a svolgersi manifestazioni per l’annessione”.   Il 30 agosto del 1994 quando a Sella in Valsugana dove Donna Francesca, la moglie di Degasperi si recava ogni estate preferibilmente d’agosto, la intervistai e fu davvero un’esclusiva perché nata a Borgo Valsugana il 30 agosto del 1894 compiva 100 anni. Era un’antica, non vecchia signora; parlava perfettamente inglese, francese, tedesco perché aveva studiato a Londra, in Francia e in Baviera.

Nella Grande Guerra era stata infermiera in un ospedale militare di Genova; in un sol giorno, quello del 4 novembre 1918, lei che era austriaca, si era trovata cittadina del Regno d’Italia, aveva visto nascere il fascismo e il Duce che era stato giornalista a Trento nel quotidiano socialista mentre Degasperi dirigeva quello cattolico, l’aveva fatta arrestare assieme al marito e rinchiudere nel carcere femminile delle Mantellate “dove venni confortata, aiutata, assistita dalle recluse che erano tutte prostitute”. Vide dilagare il nazismo, le guerre di Spagna e d’Abissinia, l’orrore delle legge razziali, la seconda guerra, il marito che diventa Presidente del Consiglio e leader di quel partito che aveva vinto il comunismo di Stalin. Una memoria eccezionale; nell’ intervista mi disse che fin quasi alla fine degli anni Sessanta i missini di Trieste, la città più esposta alle armate di Tito, accusarono Degasperi di avere barattato la Venezia Giulia con l’Alto Adige e anche da Salorno fino al confine, veniva accusato di non aver consegnato il Sudtirolo a Vienna, dimenticando che in quell’epoca, pur con l’appoggio degli Stati Uniti e del Vaticano, la voce di Roma veniva appena ascoltata.

Tempi estremamente difficili anche quelli dopo la fine della Guerra, lunghi mesi di fame, di paura e di odio feroce, ma anche i giorni della rinascita del Trentino con l’Asar, lo sbucare dell’ Autonomia, della presenza di Degasperi nelle piazze di Trento, Rovereto, di Cles nella primavera del 1948, quella delle famose elezioni. C’era l’incubo di un’altra guerra quando Sir Winston Leonard Spencer Churchill aveva detto il 5 marzo del 1946 durante un discorso tenuto al Westminster College di Fulton, nel Missouri, alla presenza del presidente degli Stati Uniti Truman: “Da Stettino nel Baltico a Trieste nell'Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi Stati dell'Europa Centrale e Orientale”. Cominciava il tempo della Guerra Fredda che poteva portare l’ Armata Rossa ben oltre il Brennero con l’esercito di Tito, superata la “soglia di Gorizia”, occupare tutto il Veneto e i carri armati con la stella rossa potevano attraversare la Pianura Padana, superare Bologna, Milano, Torino e arrivare a Parigi e magari a Lisbona.

Si diceva che la zona in vista di Gorizia, presidiata dalle Forze Armate italiane, fosse minata con la bomba atomica di fattura ovviamente americana. Sarebbe stata una strage impensabile. Appunto da Stettino nel Baltico a Trieste nell'Adriatico. Quando sul finire del 1946 i rapporti con l'Unione Sovietica diventarono ostili e Harry Truman enunciò la famosa “Dottrina” per contenere il comunismo, il confine del Brennero, come tutti gli accessi dall’Austria all’Italia, tornarono ad essere strategici. L’Unione Sovietica appoggiava ancora il compagno Tito, ma si stava rendendo conto che non poteva ostacolare il prestigio e la crescita del Partito comunista italiano. Togliatti e Molotov si conoscevano molto bene; raffinati diplomatici, uomini di grande cultura, superstiti delle tragiche purghe staliniane, sapevano che in Italia erano migliaia i reduci della Grande Guerra che non avrebbero accettato il distacco di Trieste e l’Alto Adige restituito all’ Austria non potendo sapere che quel territorio era stato consegnato a Roma dal Patto di Londra del 26 aprile 1915. Un accordo segreto stipulato dal governo italiano con i rappresentanti della Triplice Intesa in cui l'Italia si impegnava a scendere in guerra contro gli Imperi Centrali in cambio di cospicui compensi territoriali. Il Patto restò segreto sino alla sua pubblicazione, alla fine del 1917, da parte dei bolscevichi giunti al potere in seguito alla Rivoluzione russa. I rivoluzionari diedero la massima pubblicità ai patti diplomatici segreti rinvenuti negli archivi zaristi. Due doverosi cenni. Nel 1915 il Regno d’Italia era legato alla Germania e all’ Austria-Ungheria dalla Triplice Alleanza, un patto militare difensivo che risaliva al 1882, periodicamente rifirmato, in contrapposizione della Triplice Intesa anglo-franco-russo. Con il Patto di Londra del 26 aprile 1915, il Regno d’Italia - all’insaputa degli italiani tutti - fu alleato di Francia, Inghilterra, Belgio, Russia da una parte e di Vienna e Berlino dall’altra. Un tradimento senza precedenti e ignorato, o quasi, da tutti i libri di storia. Poi si raccontava che le origini di Tito siano state in un borgo della Vallarsa che vide il padre di Joseph Broz - questo il nome del dittatore - partire nella seconda metà dell'ottocento in cerca di fortuna verso la Bosnia. Invece è certo che nel 1905 Stalin si era rifugiato a Venezia e faceva il campanaro nell’Isola degli Armeni.

Ma torniamo al Brennero. Quel confine era stato fin dal 1924, l’angoscia del Duce, terrorizzato dall’idea di vederlo attraversato dalle armate di Hitler. Tutto era cominciato, lo si legge nei diari di Galeazzo Ciano, nei giorni più cupi della tragedia di Giacomo Matteotti. Ogni qual volta veniva a sapere che la Grande Germania aveva piazzato la svastica su quel confine e minacciava di varcarlo, a Palazzo Venezia sbraitava urlando che avrebbe preso le armi contro Berlino. Era il 6 febbraio del 1926 e davanti all’aula gremita della Camera, il capo del governo ribatteva alla polemica sollevata dal governatore bavarese Heinrich Held, ribadendo l’inviolabilità del confine sancito dalle trattative di pace del 1919, scandendo: “Il confine del Brennero si può in verità affermare che sia stato tracciato dall’infallibile mano di Dio”. Intanto Berlino ribadiva che per Adolf Hitler “era di gran lunga più importante l’amicizia e l’alleanza politico-militare con Benito Mussolini che incorporare nel Terzo Reich i contadini altoatesini”. La storia del Brennero si fissa il 25 giugno del 1946 quando “Liberazione Nazionale” il giornale stampato a Trento dal 4 maggio del 1945, intitola “L’Italia repubblicana inizia il suo cammino - Tutto l’Alto Adige resterà all’Italia”. Ecco il un frammento del testo: “I ministri degli esteri delle quattro potenze hanno deciso che la zona di frontiera dell’Alto Adige resti all’Italia. Il ministro degli esteri sovietico Molotov ha dichiarato che non si possono accettare le richieste austriache”.

Questo era l’ordine di Stalin; Vjačeslav Michajlovič Molotov (in russo Вячеслав Михайлович Молотов) lo aveva puntualmente eseguito. E aveva aggiunto: “Non dubitiamo che il grande popolo italiano supererà le difficoltà presenti e sceglierà l’ampia strada della sua rinascita”. La controversia sul confine dell’Est finì per favorire l’Italia nella questione del Brennero. Tornava nella storia quel 13 ottobre 1921 quando, alla presenza del re d’Italia Vittorio Emanuele III, venne inaugurato il cippo confinario in marmo bianco, simbolo del nuovo “sacro confine” della patria. Che venne definito sacro e inviolabile ma venne travolto l’8 Settembre del 1943 quando le armate germaniche invasero l’Italia, l’alleata del famoso quanto tragico “Patto d’ Acciaio”.

(2. continua)

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