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L’orrore dell’Olocausto nelle parole di Marco Dalla Fior

di Luigi Sardi

Il 27 gennaio del 1945 alle 8 del mattino, una pattuglia di soldati a cavallo dell’Armata Rossa, avanguardia nell’offensiva Vistola-Oder che puntava su Berlino, superato un bosco si trovò di fronte ad un esteso campo ricoperto di neve indurita dal gelo con un fitto reticolato che s’allungava a perdita d’occhio e ad un cancello di ferro. Era quello del campo di sterminio nazista di Auschwitz, sormontato dalla scritta “Arbeit macht frei”, il beffardo simbolo del lavoro coatto, della disumana follia, di atroce detenzione, tortura e morte.

Adesso in modo solenne, si ricorda ogni 27 gennaio l’orrore di quella mostruosa strage. In Israele le sirene d’allarme suonano a mezzogiorno in punto e in tutte le località la gente interrompe ogni attività per scendere in strada. Le auto si fermano, conducente e passeggeri escono dai veicoli lasciando le portiere spalancate quale ricordo dell’apertura, così mi è stato detto a Tel Aviv, del famoso cancello di Auschwitz.

Due minuti di silenzio poi il canto dell’inno nazionale, il prolungato suono di clacson e ancora l’urlo delle sirene.

In quel gennaio, lontano nel tempo ma non dalla memoria, dietro la pattuglia dei soldati a cavallo, una colonna di blindati ed automezzi carichi di truppa; gli uomini dll’ Armata Rossa si addossarono ai reticolati, controllarono che non fossero minati e con delle corde spalancarono quella cancellata entrata nella storia della disumanità.

Quel giorno finì ufficialmente il più grande omicidio di massa avvenuto in un unico luogo: ad Auschwitz sono morte più persone che in qualsiasi altro campo di concentramento nazista. Sui numeri non ci sono certezze, ma secondo i dati dell’US Holocaust Memorial Museum, in quel luogo le SS uccisero almeno 960 mila ebrei, 74 mila polacchi, 21 mila rom, 15 mila prigionieri di guerra sovietici e 10 mila persone di altre nazionalità.

A Trento l’avvocato Marco Dalla Fior, già Presidente del Consiglio Comunale, ha scritto nel gennaio del 2005 una pagina davvero importante che dovrebbe venir diffusa nelle scuole. L’avvocato cita Elie Wiesel premio Nobel per la Pace nel 1986, sopravvissuto a quelle atrocità.

“Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso”.

Fra le pagine della Memoria, quella dell’avvocato Marco Dalla Fior è fra le più intense; si rivolge soprattutto ai più giovani, quelli che dovranno portare avanti la memoria e - cito il documento - “per tenere saldi i principi di libertà di uguaglianza di solidarietà reale, di rispetto dell’uomo per l’uomo, che troppo spesso anche ai giorni nostri vengono messi in discussione, quando non addirittura incredibilmente offesi e calpestati”. E ancora: “Non si può e non si deve guardare all’Olocausto come un tragico affresco, che, anno dopo anno, inesorabilmente si scolora. Segna il consapevole martirio ed il sistematico sacrificio di un popolo intero che è stato e rimane una colonna portante dell’ Europa, della sua crescita, del suo sviluppo artistico e socio-economico e che eretto a Stato di Israele in Medio Oriente, identifica a sua volta una parte d’Europa in quelle terre (ma forse l’indicazione geografica potrebbe essere di respiro ancora più ampio) penetrata, sullo slancio di un internazionalismo mai domo, e ormai saldamente ancorata a quei territori”.

Ecco l’accenno al libro della giornalista Emanuela Zuccalà con il titolo “Sopravvissuta ad Auschwitz” con l’intensa prefazione del Cardinale Carlo Maria Martini e l’accenno a quella Fiorella Calò di 4 mesi subito uccisa per mano di quegli orribili in divisa che non meritano neppure l’orrendo e disprezzato appellativo di carnefici. Lo studio dell’avvocato, pagina di storia emersa dal mio vasto ma imperfetto archivio, spiega che “in realtà il razzismo allignava in Italia, sia pure in nicchie comunque bene individuabili; si pensi ai giornali estremisti come il “Tevere”, il “Giornale d’ Italia” e il “Regime Fascista”. Tra gli antisemiti emergono il lugubre Roberto Farinacci esponente di primo piano dello squadrismo e segretario del PNF dal 1924 al 1926. Nel 1938, fu il gerarca fascista che accolse con entusiasmo le leggi razziali e l’alleanza con la Germania nazista con Teresio Interlandi penna di punta del giornalismo fascista, vero leader dell’antisemitismo in Italia, direttore del “Tevere”, autore del volume “Contra yudeos” e direttore del quindicinale “La difesa della razza” che ebbe come segretari di redazione Giorgio Almirante e Giovanni Preziosi incaricato dal Gran Consiglio del Fascismo di coadiuvare Ettore Tolomei a stendere i Provvedimenti per l’Alto Adige miranti alla fascistizzazione della Provincia di Bolzano. Sempre dal libro della Zuccalà, uno stralcio della tragedia di Liliana Segre che era una bambina di 13 anni assieme a 650 ebrei italiani. Marco Dalla Fior è stato colpito da una “Milano che lasciò partire in silenzio quel delicatissimo fardello umano. Solo due voci lacerarono quella gelida e tragica atmosfera. Le urla dei carcerieri italiani cariche di odio ottuso e bestiale e le voci coraggiose, profondamente umane dei detenuti che incoraggiarono quella massa di essere umani destinati a morire”.

E narra il racconto del Cardinale Martini a ricordare “che al momento della sua liberazione, Liliana Segre con la pistola dei suoi aguzzini ai suoi piedi avrebbe potuto compiere un gesto di vendetta. Non lo fece perché avevo sempre scelto la vita e con questa frase perdonò i suoi aguzzini”. Aggiunge Dalla Fior: “Se fu perdono non fu certo segnale di comprensione, men che meno di giustificazione. Rinunciare alla vendetta significa staccarsi e volare in alto rispetto a chi ha offeso. La vittima che rinuncia alla vendetta sul suo carnefice mostra di scegliere con determinata consapevolezza una strada diversa da quella percorsa dall’aguzzino; appunto la strada della vita rispetto a quella della morte, fermo in ogni caso il giudizio degli uomini e per chi crede, quello di Dio; anche se sulla giustizia dell’uomo lasciatemi nutrire seri dubbi”.

Scrive Laurence Rees nel suo “The nazy and final solution” che “delle 6.500 SS operanti ad Auschwitz solo 750 furono sottoposte a giudizio e ciò avvenne ad opera dei polacchi. La circostanza mi fa rabbrividire, sol pensando a quella che viene definita la giustizia degli uomini. In ogni caso per chi crede nell’uomo e nel rispetto dell’uomo, quale condanna morale è più severa della rinuncia alla vendetta da parte della vittima? La semplice e pur nobilissima lezione morale di Liliana Segre non può non essere ripresa; essa non ha tempo: oggi è più significativa che mai, mi guida in terra di Israele e in Palestina e mi fa dire a voce alta: vogliamo la vita, per questo cerchiamo con forza la pace. Se io fossi oggi in Palestina (questo testo è stato scritto nel gennaio del 2005, nda) sarei a fianco di Abu Mazen presidente della Palestina dal 2005 e presidente dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e dell'Autorità Nazionale Palestinese per un dialogo senza cedimenti contro ogni forma di terrorismo, perché anch’ io e milioni come me sono per la vita, ma la vita non si difende senza la pace e la pace non la si può perseguire e raggiungere nel sangue”. A questo punto irrompe impetuoso l’insegnamento di Elie Wiesel, Premio Nobel per la Pace del 1986.

“Sono molte le atrocità nel mondo e moltissimi i pericoli. Ma di una cosa sono certa: il male peggiore è l’indifferenza. Il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza; il contrario della vita non è la morte ma l’indifferenza; il contrario dell’intelligenza non è la stupidità ma l’indifferenza. E’ contro di essa che bisogna combattere con tutte le nostre forze. E per farlo, un’arma esiste: l’educazione. Bisogna praticarla, diffonderla, condividerla, esercitarla sempre e dovunque. Non arrendersi mai”. Dalla Fior aggiunge: “Bisogna stimolare l’attenzione dei giovani verso le istituzioni e verso le occasioni di incontro e di confronto” come è il Giorno della Memoria, “data molto importante perché offre un grosso contributo alla crescita democratica delle nuove generazioni e alla diffusione sempre più capillare dei principi di libertà, uguaglianza, solidarietà reale dell’uomo per l’uomo, che troppo spesso anche ai giorni nostri vengono messi in discussione, quando addirittura offesi e calpestati”.

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