Resto a casa per uscirne prima

Resto a casa per uscirne prima

di Lucio Gardin

Molti mi chiedono come procede la seconda settimana di 41 bis. Abbastanza bene. A forza di portare fuori l’immondizia sono diventato un secchione dell’umido. Per il resto, passo le giornate sul divano. Dormo tutto il giorno. Mi rasserena il fatto che un giorno il mio sacrificio tornerà utile all’umanità. Purtroppo, la convivenza forzata col divano mi sta creando qualche problema; ieri riferendosi a me ha detto alla poltrona “quando el vedo me casca i braccioli”. Per fortuna c’è il lavoro da casa.

Lo smart working è bello, a patto non ti arrivi una videochiamata a mezzogiorno e sei ancora in pigiama, non ti sei lavato, hai lo stuzzicadenti in bocca, la maglietta così sudata che se la togli continua a sudare da sola, e la barba di sei giorni.. perché passi da smart a smarz.

Non so chi disse questa frase, forse nessuno, ma c’è un tempo per correre e uno per allacciarsi le scarpe. Questo è il tempo per pulirle. I diversamente giovani ricorderanno una pubblicità degli anni Sessanta dove l’attore Ernesto Calindri seduto a un tavolino in mezzo al traffico urlava “fermate il mondo voglio scendere”.

Eccoci serviti. Ora il mondo si è fermato. Certo doveva girare molto veloce per fare sessant’anni di frenata. Ma c’è riuscito. Adesso tocca a noi muovere la pedina. Possiamo scegliere se approfittare del pit-stop per guardarci allo specchio e, oltre alla resilienza, metterci anche l’anima, oppure lamentarci per il giro perso.

Negli ultimi anni ci siamo dedicati solo al “core business” perdendo di vista il cuore delle persone. È il momento di rivedere qualche paradigma. Solo dopo una crisi si apprezza il prima. Come diceva Einstein, la crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. Molti usano lo slogan “andrà tutto bene”, ma non andrà tutto bene, perché le cose non vanno bene da sole.

Dobbiamo ristabilire nuove priorità, che poi sono quelle vecchie. Tipo tornare ad ascoltare i silenzi, come facevano i nostri nonni. Tipo dedicare più tempo ad accarezzare visi anziché tastiere. E tornare a dispiacersi quando ci chiedono di portare fuori l’immondizia.

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