Il Sudtirolo nella storia delle guerre e dell’Europa

di Luigi Sardi

Per Adolf Hitler era di gran lunga più importante l’amicizia e l’alleanza politico-militare con Benito Mussolini che incorporare nel Terzo Reich “i contadini altoatesini”.

Questo, in rapida sintesi, il concetto espresso da Gustavo Corni, già docente di storia contemporanea all’Università di Trento, presentando a Baselga di Pinè il suo libro “Weimar, la Germania dal 1918 al 1933”, la storia di un’ epoca, purtroppo breve, che non fu soltanto l’anticamera della nascita del nazismo, ma come scrive lo studioso di storia tedesca, “una fase di grande rigoglio culturale e di sperimentazione della modernità sul piano sociale ed economico”.

Invece il Duce temeva di vedere la Wehrmacht varcare con la scusa di liberare il Sudtirolo dal giogo italiano, il confine del Brennero, dilagare nel nord Italia occupando il lago di Garda, la Pianura Padana, insomma quell’ Italia a nord del Po. Del resto l’ Anschluss era stato salutato con gioia anche nel Trentino e nell’Alto Adige aveva evidenziato il fallimento della forzata e spesso brutale fascistizzazione. Compresso da quell’ assillo, si piegò ad Hitler, cercò di imitarlo, seguendolo in ogni nefandezza fino all’ ultimo minuto della tragedia della guerra. Dunque il Sudtirolo fra la pace e la guerra dal 1930 al 1943 come possibile inciampo fra l’Italia fascista e la Germania nazista. Nel 1946 diventerà ancora una volta nodo cruciale nel nuovo assetto di quell’ Europa che la follia di

Hitler e Mussolini aveva ridotto in macerie. L’Austria reclamava il territorio fra il Brennero e Salorno dove si parlava, si parla e si parlerà il tedesco e quello fu un momento molto difficile per la neonata Repubblica italiana.

Però veniva una voce definita da Giulio Andreotti “confortante” da parte dei sovietici che dicevano di non capire perché l’ Austria potesse accampare diritti sull’Alto Adige. “Degasperi – scrisse il giovane leader democristiano – mi spiegò questo punto importante dicendo che il risultato elettorale austriaco del novembre del 1945 portava l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche a dimostrare ad un Paese che aveva quasi ridicolizzato i comunisti alle elezioni quando gli austriaci congelarono il partito comunista messo in piedi dalla Russia nel loro Paese, che non poteva contare sul suo sostegno. In più per favorire al massimo la Jugoslavia nelle sue rivendicazioni – Stalin e il maresciallo Tito erano ancora alleati fedeli – Mosca voleva avere la mano leggera sul confine del Brennero”, nella convinzione, probabilmente suggerita da Palmiro Togliatti, che milioni di italiani reduci dalla Grande Guerra avrebbero decisamente voltato le spalle al Pci se alla questione di Trieste e della Venezia Giulia con gli iugoslavi minacciosamente accampati ad Est dell’Isonzo, si fosse assommata anche l’ipotesi di una consegna del confine del Brennero, quindi del Sudtirolo, all’Austria. Fu facile dimostrare che la sicurezza dell’ Italia del Nord – il Brennero e l’ Isonzo – significavano anche la sicurezza strategica della Francia mentre a Parigi l’ “Humanuté” organo dei comunisti francesi, non esitava a scrivere “Trieste deve ritornare alla Jugoslavia”.

Nel negoziato interalleato, la data del 24 giugno 1946 fu molto importante perché Viaceslav Molotov, il ministro degli esteri dell’Urss sopravvissuto con Togliatti alle tragiche purghe di Stalin, aveva dichiarato esplicitamente che “il caso della Jugoslavia che preme su Trieste era diverso perché si trattava di una nazione alleata” mentre l’Austria era stata terra del Reich di Hitler. Appunto Molotov chiese formalmente la reiezione delle pretese di Vienna che”, anche questo lo scrisse Giulio Andreotti, l’uomo che più di tutti conobbe Degasperi e lo seguì pedissequamente, “per fortuna esagerò.

Il Governo austriaco tentò di suggerire l’indizione di un plebiscito non solo in tutta la provincia di Bolzano, ma anche nelle valli trentine di Fiemme e Fassa, e in provincia di Belluno nell’alta valle di Cordevole e nell’Ampezzano. Al diniego, gli austriaci ripiegarono chiedendo la Pusteria, l’alta valle dell’Isarco e la città di Bressanone al fine di avere comunicazione diretta tra le due parti del Tirolo” ma anche questa richiesta viene accantonata. Il presidente degli Stati Uniti Harry Truman, già alle prese con la Guerra Fredda, volle dare – come si legge negli scritti di Andreotti – “una piccola soddisfazione a Vienna comunicando che il rifiuto al plebiscito non significava che in futuro l’Austria non potesse risollevare la questione in sede internazionale per soddisfare i desideri” del popolo tirolese. Da ricordare che né Degasperi né l’austriaco Karl Gruber potevano solo “chiedere con il cappello in mano” quando venivano ammessi al tavolo dei vincitori.

C’era un rischio. L’ Armata Rossa era accampata in Austria; se il Brennero e il Sudtirolo fossero passati a Vienna, c’era la possibilità di vedere una pattuglia di soldati russi passeggiare per Salorno e questo avrebbe imposto la presenza di una pattuglia di militari americani a Cadino mentre le armate di Tito erano a Trieste, Pola, Zara, Rovigno e qua e là si sentiva parlare dell’ orrore delle foibe. Gli Italiani, alle prese con una crisi economica ben più grave di quella del 1917 si allarmarono e Degasperi scrisse a Truman: “Perché solo l’Italia dovrebbe essere costretta a fare sacrifici territoriali mentre tutti gli altri Paesi interessati stanno prendendo le precauzioni più severe contro la rinascita di una minaccia tedesca?” Dunque Degasperi fu fra artefici della consegna definitiva del Brennero all’Italia.

Ancora un cenno alla figura di Italo Balbo grazie allo spunto di Michele Moser che lunedì 7 settembre ha scritto: “Ricordiamo comunque che Balbo venne indicato come mandante dell’assassinio di don Minzoni,” quel Giovanni Minzoni parroco di Argenta, medaglia d’argento nella Grande Guerra per aver guidato sul Piave, nel giugno del 1918, una pattuglia di Arditi contro un caposaldo austriaco, uomo del Partito Popolare di don Luigi Sturzo e di Degasperi. Deciso antifascista, il 23 agosto del 1923 venne aggredito e ferito mortalmente da due picchiatori legati al fascio di Casumaro. Gli aggressori vennero facilmente identificati dai Carabinieri Reali e indicati come il braccio violento di Italo Balbo il “ras” di Ferrara che aveva proposto al sacerdote, ricevendo un secco no, di diventare cappellano capo della nascente Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Don Minzoni era un uomo coraggioso e forte, si difese, ma venne steso dalla violenza della bastonata alla testa e morì poche ore dopo l’aggressione.

Le indagini sui responsabili dell’omicidio vennero archiviate tre mesi dopo ma nell’anno successivo sull’onda della rivolta politica conseguente al delitto Matteotti il socialista ucciso dalla violenza fascista, il quotidiano “La Voce Repubblicana” e subito dopo “Il Popolo” accusarono Balbo di aver ordinato di bastonare taluni antifascisti e di essere stato il mandante dell’aggressione commessa ad Argenta. Una campagna di stampa molto intensa alla quale Balbo reagì con una denuncia per diffamazione a mezzo stampa che mandò assolti i direttori dei giornali querelati condannando Balbo a pagare le spese processuale. Dunque c ’era, e non solo a Berlino, un giudice anche a Ferrara. L’ esito del processo costrinse il “ras” a dimettersi dalla prestigiosa carica di Console della Milizia.

Poi Balbo, pur non abbandonando il fascismo cominciò ad urtarsi con Mussolini mentre ideava la “Crociera aerea del Decennale” della Regia Aeronautica sulla rotta, per l’epoca quasi impensabile, Orbetello – Chicago – New York – Roma. Ben 25 idrovolanti Savoia-Marchetti S.55X si presentarono sulla verticale di Chicago in perfetta sincronia con il momento dell’ inaugurazione della Century of Progress, la grandiosa “esposizione universale” destinata a celebrare il secolo di fondazione di Chicago. I piloti italiani, Italo Balbo, il fascismo, Mussolini, le macchine aeree entusiasmarono gli americani e i trasvolatori furono impressionati dai grattaceli, dal traffico automobilistico, dall’enormità dei complessi industriali rendendosi conto che la nostra retorica si cullava nella millenari superbia dei monumenti di Roma mentre gli americani erano spinti verso un futuro tecnologico. Che Balbo comprese però portando nella Capitale solo la gloria del trionfo che, forse, lo spinse a tentare di scavalcare, era l’estate del 1933, il Duce.

Mussolini stava arrivano al culmine del suo prestigio di leader populista violento se ferisce, erotizzato se seduce, che si materializzava nel filmati davvero eccellenti dell’istituto LUCE, in un Italia travolta dal mito della vittoria nella Grande Guerra, tesa a diventare una grande potenza non per forza dell’industria ma travolta dal mito delle armi. Il Duce donò alla metropoli dell’Illinois una colonna romana trasferita negli Usa dall’antico porto di Ostia. Insomma un connubio fra l’Impero romano e la più giovane fra le nazioni del mondo mentre a Chicago veniva inaugurata la via Balbo Drive che attraversa il Grant Park. Via Balbo c’ era anche a Trento e nel pomeriggio del 26 luglio del 1943, il giorno dopo la caduta del fascismo, Toni Maestri, l’attore, il rocciatore, il padre di Cesare che abitava ai Casoni, decise di mutare il nome a quella via e a Piazza Littorio. Prese una scala a pioli, due cartoni e la via divenne via don Minzoni e la piazza Giacomo Mattotti.

Dieci anni più tardi, a Chicago, Via Balbo non fu un inciampo per Alcide Degasperi in quel famoso viaggio in Usa compiuto nel gennaio del 1947 – la guerra era finita da soli 20 mesi – destinato a rivoluzionale la storia dell’Italia, dell’ Europa, della Guerra Fredda e in parte, quella degli Stati Uniti. Scrisse nelle sue note Giulio Andreotti: “Dopo Washington, grande calore fu registrato a Chicago dove un giornalista gli chiese se fosse sorpreso di trovare una via intitolata ad Italo Balbo. Gli rispose: Se avesse fatto solo crociere aeree ne loderei anche io la memoria. Tralasciò quell’ accusa che indicava Balbo come mandante del delitto commesso ad Argenta.

È difficile trovare nei discorsi di Degasperi parole di odio ai servi del regime fascista, persino a quello Starace che gli aveva promesso due ceffoni, se lo avesse incontrato; cercò sempre di far distinguere le responsabilità del regime da quelle dell’intera nazione e la crociera aeronautica di Balbo aveva suscitato una eco straordinaria nei giornali di Chicago e New York che avevano sostenuto Mussolini e nel 1947 bisognava fare in modo che gli americani dimenticassero le immagini delle folle oceaniche in piazza Venezia in quel di Roma e le nefandezze del fascismo.

(14, continua )

[nella foto, incontro di Hitler e Mussolini al Brennero il 18 marzo del 1940, per discutere dell'entrata in guerra dell'Italia]

comments powered by Disqus