Il disastro sul fronte greco

Il disastro sul fronte greco

di Luigi Sardi

E’ domenica 3 novembre del 1940, anno XIX dell’Era Fascista e il titolo de “Il Brennero”, il “Quotidiano Fascista Tridentino” è più grande del solito perché annuncia vittorie sul fronte greco-albanese. ”Azioni in corso nella valle del Kalamas – in direzione di Giannina e sulle alture del Pireo”. In evidenza, secondo il dettato del MinCulPop, il ministro della cultura popolare che indicava ai giornali cosa si doveva scrivere e aveva lo scopo di accrescere il “mito del Duce”, il Bollettino n.148 diramato dal Quartiere Generale delle Forze Armate. Lo scritto e’ pieno di entusiasmo raccontando bombardamenti su arsenali militari, baraccamenti di truppe, stazioni ferroviarie e l’abbattimento di due quadrimotori Sunderland presso l’isola di Malta.

Il giorno dopo si legge che sul fronte dell’Africa Orientale una pattuglia di autoblindo inglesi è stata costretta a ripiegare, che nel Mediterraneo centrale c’ è stato uno scontro fra aerei dell’Ala Fascista e velivolo decollati, forse, da una portaerei inglese. Insomma un finimondo. Ma nel testo non c’ è traccia di avanzate e poi, accanto alla notizia che il conte Galeazzo Ciano di Cortellazzo è stato promosso tenente colonnello dell’Arma Aeronautica, c’ è un trafiletto inquietante intitolato “Il generale bluff” dove si legge, riportando testi di quotidiani inglesi – ma il giornale assicura che tutto è falso – che le armate greche resistono bravamente a quelle fasciste. Questo è stato detto anche dalle radio inglesi ascoltate, nonostante la proibizione, da molti italiani, e così si apprende che gli inglesi stanno già aiutando i greci mentre l’agenzia “British Press” ricostruisce il bombardamento su Napoli durato 45 minuti. Tutti i napoletano aveva visto gli aerei della Royal Air Force volare a bassa quota, il fumo degli incendi, le distruzioni causate, i morti, i feriti. “Spacconate donchisciottesche” scrive “Il Brennero” ma la realtà è nei messaggi telegrafici conservati anche alla stazione di Trento ad annunciare l’inagibilità dei nodi ferroviari di Napoli perché centrati dai bombardieri.

Gli inglesi operavano da basi aeree in Grecia e sul “News Chronicle” si legge: “Abbiamo la possibilità di prendere l’Italia sotto il nostro fuoco da un territorio molto vicino e questa occasione non ci deve sfuggire. L’Italia, e ciò deve essere sempre ripetuto, è il nemico più vulnerabile dell’Asse”. Insomma, solo pochi mesi di guerra per convincersi, a dispetto dei titoli roboanti dei quotidiani, che il Regio Esercito non fa più paura, che gli otto milione di baionette sono solo un chiassoso annuncio. Soprattutto si è capito che l’inutile guerra alla Grecia aveva portato gli aeroporti inglesi a ridosso della penisola e le città del centro Italia erano minacciate dall’aviazione britannica. “Non è vero” ruggisce “Il Brennero” che sabato 9 novembre abbassa i toni. Il titolo è meno vistoso dei precedenti: un banale “Proseguono le operazioni sul fronte dell’Epiro” e il sabato successivo il titolo è ancora più laconico: “Gli obiettivi militari greci bombardati” notizia accompagnata da un nota intitolata: “Badoglio e Keitel – si incontrano ad Innsbruck”. Fu facile capire che l’abboccamento tra i capi di Stato Maggiore dei comandi supremi delle forze armate d’ Italia e della Germania aveva lo scopo di chiedere l’intervento in Grecia della Wehrmach per salvare il Regio Esercito dalla disfatta finalmente annunciata dal “Brennero” con il titolo: “Aspri combattimenti nella regione di Korcia” con il Bollettino n.168 diramato dal Quartiere Generale che rintoccava a morto a precisare: “Le nostre truppe di copertura, formate da due divisioni che all’inizio delle ostilità si erano attestate in difesa del confine greco-albanese di Korcia, si sono ritirate dopo 11 giorni di lotta durissima su una linea ad ovest della città, che è sta evacuata. Le nostre perdite sono sensibili….”

Da quel giorno il fronte greco scomparirà dalle prime pagine dei giornali italiani, “Brennero” compreso; i greci erano entrati in Albania e il Regio Esercito combatteva con il mare, l’Amarissimo Adriatico secondo il verbo di D’Annunzio, alle spalle. Una tragedia, la fine delle glorie mussoliniane e ai sogni di facile gloria di Galeazzo Ciano Ministro degli Esteri e genero del Duce che spinse con estrema incoscienza all’avventura guerresca gonfiando a dismisura la questione della Ciamauria regione davvero desolata, contesa fra albanesi e greci: Si legge nelle pagine del diario di Ciano: “15 novembre, le notizie dall’Albania (non più dal suolo greco, abbandonato dagli italiani: nda) si aggravano. La pressione continua e la resistenza è più difficile. Mancano i cannoni mentre l’artiglieria greca è moderna e ben maneggiata” e ancora: “Non è da escludere un eventuale ripiegamento”. Due giorni dopo il ministro incontrerà a Salisburgo il ministro degli esteri germanico Ribbentrop e il conte Ciano annota: “I tedeschi vedono nero e non è difficile rendersene conto… Hitler è pessimista e considera la situazione molto compromessa nei Balcani. Le sua critiche sono aperte, serrate, definitive e pone sul tappeto la questione di Trieste”. Par di capire che gli ungheresi vorrebbero uno sbocco al mare preferendo Trieste a Fiume; forse il Führer voleva barattare l’intervento tedesco in Grecia con il porto sull’Adriatico, ma questo aspetto resta molto sfumato. Poi il 20 novembre Hitler scriverà al Duce “una lettera assai severa circa la campagna di Grecia iniziata senza consultare Berlino e giunta dopo solo tre settimane a risultati catastrofici per l’Italia”. Si legge sempre nelle pagine del diario di Ciano la reazione di Mussolini: “Ha qualificato Badoglio come nemico del regime e traditore. Epiteti abbastanza forti per il proprio Capo di Stato Maggiore in guerra”. Da quel momento, Badoglio venne indicato come responsabile della disfatta.

Disastro in Grecia con un numero impressionante di morti, feriti, congelati, dispersi e con i greci ridotti ad una fame disperata. Che però resistono. Disastro in Libia, con Gabriele De Rosa grande storico, uno dei padri nobili della nostra Repubblica, dopo il conflitto senatore e poi deputato, autore di un importante studio su Alcide Degasperi, sottotenente del primo reggimento Granatieri di Sardegna, collega d’ armi di Edo Benedetti che sarà Sindaco di Trento, a scrivere che “siamo stati mandati a combattere con le armi e la mentalità dei nostri nonni, con il fucile modello 91 contro i carri armati fabbricati negli USA”.

Disastro anche sui mari dove la Regia Marina davvero possente per numero di navi e sommergibili, ma senza portaerei, radar e con pochissimo carburante, subì la notte dell’ 11 novembre una devastante sconfitta nella rada di Taranto attaccata dalla Royal Navy. Il comandante della Mediterranean Fleet, ammiraglio Andrew Cunningham ripescò un progetto di attacco al porto di Taranto, perfezionando un piano di incursione con aerosiluranti studiato già nel 1935 nei mesi dell’ aggressione fascista all’Etiopia, dall'ammiraglio Lumley Lyster. Un  progetto molto rischioso, imperniato sul fattore sorpresa. La portaerei “Illustrious” doveva portarsi a sole 130 miglia dalla costa italiana, con il rischio di essere scoperta dai pattugliatori. Inoltre, qualche minuto prima dell’ attacco si doveva illuminare la rada con un fitto lancio di bengala, mentre gli aerosiluranti avrebbero dovuto volare a pelo d’acqua per eludere le batterie contraeree ed evitare che i siluri affondassero nel fango del basso fondale. Pur con tutte queste precauzioni, se le navi italiane, colpevolmente radunate in un unico ancoraggio e per colpa dell’autarchia scarsamente protette dalle reti antisiluri, avessero steso le cortine fumogene l’operazione sarebbe certamente fallita.

Gli aerei inglesi giunti sull’obiettivo pochi minuti prima delle 23 furono accolti da un intenso fuoco di sbarramento; due aerei cominciarono a lanciare i bengala sulla sponda orientale del Mar Grande per illuminare i profili dei bersagli mentre sei aerosiluranti Fairey Swordfish  iniziarono a scendere a quota di siluramento. Un primo velivolo, poi abbattuto, sganciò un siluro contro la Regia Nave “Conte di Cavour”, squarciandone la fiancata sinistra, altri due mirarono contro l’ “Andrea Doria”, senza colpirlo.

Quattro bombardieri danneggiarono i cacciatorpediniere “Emanuele Pessagno” e “Libeccio”, colpirono i depositi di carburante e distrussero due idrovolanti. Alle 23.15 due aerosiluranti attaccarono contemporaneamente la super corazzata “Littorio”, colpendola sia a dritta che a sinistra, mentre l'ultimo Swordfish sganciò inutilmente un siluro contro la “Vittorio Veneto”, entrata i servizio nel giugno di quell’anno.

Alle 23,20 gli aerei della prima ondata sparirono dal cielo di Taranto e alle 23.30 arrivarono gli aerei della seconda ondata. Nonostante il fuoco di sbarramento, un primo Swordfish sganciò un siluro contro il “Caio Duilio” colpendolo a dritta, mentre due aerosiluranti centrarono ancora la “Littorio”. Un altro aereo mirò l’ enorme “Vittorio Veneto” che anche questa volta fu risparmiato, mentre un secondo Swordfish venne abbattuto nel tentativo di attaccare l’incrociatore “Gorizia”.

Infine un ultimo attacco danneggiò seriamente l'incrociatore “Trento”. Gli ultimi aerei lasciarono il cielo di Taranto alle 0.30 del 12 novembre: l'attacco era terminato. In 90 minuti gli aerosiluranti della Royal Navy avevano prodotto danni enormi in quanto metà delle navi da battaglia italiane erano state messe fuori combattimento. Vi furono 58 morti e 581 feriti; sei navi da guerra furono gravemente danneggiate (3 corazzate le più moderne di quell’epoca, il “Cavour” in maniera tanto pesante che non riprese più servizio, 2 incrociatore e 2 cacciatorpediniere affondati) e diversi danni alle installazioni terrestri. Laconico il bollettino di guerra del Comando Supremo nº 158 del 12 novembre 1940: Si legge che l’attacco inglese era fallito. Poi a ristabilire, almeno sulla carta da giornale, gli equilibri ci pensò “Il Brennero”, scrivendo sabato 16 novembre: “Corazzata nemica centrata da tre siluri nella notte dal 9 al 10” cioè quella precedente al disastro di Taranto. Nel testo si legge: “Sarebbe interessate conoscere le informazioni che sono pervenute al signor Churchill sul glorioso episodio e come, eventualmente, illustrerà alla Camera dei Comuni questi nuovi successi”. Si legge nel diario di Ciano: “Giornata nera. Gli inglesi hanno attaccato la flotta alla fonda”. Poi l’elenco delle navi “che per molti mesi saranno messe fuori combattimento. Credevo di trovare il Duce abbattuto. Invece ha incassato bene il colpo. Anche a Durazzo il bombardamento inglese ha fatto danni gravi… la difesa antiaerea è scarsa”.

In pochi mesi l’Italia aveva subito un disastro nel deserto libico e fra le nevi delle montagne di Albania dove il “vittorioso” attacco italiano si era trasformato in una disfatta e i soldati travolti da quella sciagura cominciarono a voltare le spalle al fascismo; la flotta era dimezzata e gli inglesi circondavano la penisola cominciando a bombardare le città come riposta a Mussolini che, nonostante il parere dei tedeschi aveva inviato l’ Ala Fascista a Bombardare Londra. Umiliato dal fallimento della sua guerra-lampo in Libia, in Grecia e a Taranto il Duce pronunciò il 18 novembre nella sala regia di Palazzo Venezia e davanti ai gerarchi provinciali un discorso che nascondeva l’imbarazzo sotto una valanga di slogan. Ricordava il giornalista Indro Montanelli la famosa, tragica frase: “Vi dico con assoluta, ripeto assoluta, certezza che spezzeremo le reni alla Grecia” senza rendersi conto che nell’Epiro in soli 10 giorni, l’esercito italiano era in piena crisi, la marina dimezzata. “Siamo di nuovo a Caporetto” disse un generale reduci della Grande Guerra. Attorno a Palazzo Venezia si suggerì di chiedere l’armistizio alla Grecia. Mussolini disse: “Piuttosto è preferibile partire per l’Albania e farci uccidere sul posto”. Non partì per il fronte. Si rivolse a Hitler e in quel momento si decise il destino dei due dittatori

Mussolini era ossessionato che la potenza armata della Germania potesse sopraffare ogni altra forza al mondo; aveva un sordo rancore nel rendersi conto che dopo l’invasione della Francia non era diventato l’arbitro della pace nell’Europa che tornava a rivivere ogni orrore della Grande Guerra e aveva il timore di vedersi sopraffatto militarmente e politicamente da Hitler rendendosi conto che non poteva sopravvivere senza di lui. Da aggiungere la sua totale ignoranza del mondo del quale voleva essere il personaggio più importante, l’ incapacità di comprendere la passione degli uomini per la libertà e il suo disprezzo per il popolo italiano che lo riteneva incapace di emulare quello tedesco che nel 1909 nel suo breve ma intenso soggiorno a Trento, aveva imparato a conoscere. Appunto in quell’ inizio di secolo fu uno dei pochi italiani a soggiornare per un  lavoro vivace qual è il giornalismo nel Trentino all’epoca fedelmente austriaco. Così poteva scrivere: “Gli irredentisti italiani sappiano che il Trentino è austriaco: austriaco dai montanari che inneggiano a Franz Joseph agli ignoti che pochi giorni fa gettarono nell’ Adige le corone votive disposte ai piè del monumento a Dante; austriaco dagli operai che hanno ottenuto riforme importantissime come la cassa ammalati, il suffragio universale, fra poco anche pensioni di invalidità e vecchiaia”. E’ certo che a Trento il compagno Mussolini non divenne un irredentista anche se alla fine del luglio del 1909 (a Trento era arrivato il 6 febbraio) in occasione delle celebrazioni del centenario dell’eroe tirolese Andreas Hofer e la visita che, in quell’ occasione, doveva compiere ad Innsbruck Francesco Giuseppe, le autorità di polizia pensarono di farlo espellere. Ma all’espulsione si arrivò solo a settembre. Da quel momento la vita di quel rivoluzionario che nel 1902 doveva andare a lavorare nel Madagascar, nelle piantagioni di cacao che i francesi stavano coltivando, cambiò radicalmente, condizionato dall’esperienza trentina. Purtroppo cambiò anche quella degli italiani e dell’Europa intera.

Oggi conosciamo gli obliqui e perversi preparativi perpetrati dal governo fascista prima per occupare l’Albania, una terra di sassi e capre dove si pensava di trovare chissà quali ricchezze e quelli messi in atto nel sleale tentativo di invadere la Grecia. Certo, il Regio Esercito issò il Tricolore sull’Acropoli, ma solo in forza dell’intervento dell’ alleato germanico. Lo scricchiolante impero del Duce non era in grado di condurre la guerra e Mussolini, scosso e umiliato dalle disfatte in Egitto, in Grecia e a Taranto dovette rivolgersi al Führer. Negli ultimi giorni di vita, Hitler indicherà la campagna di Grecia come quella che ritardando di alcune settimane l’invasione all’Urss gli fece perdere la guerra.

(16. Fine)

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