Giovanni Falcone e l'Italia migliore

di Alberto Faustini

In parte ha ragione Angelo Corbo: «È la sagra dell’ipocrisia, l’Italia si ricorda di Falcone solo per pulirsi la coscienza, perché si dimentica di lui per tutti gli altri 364 giorni dell’anno».

Corbo è un sopravvissuto. Uno degli uomini che il 23 maggio del 1992 sono morti e rinati per una coincidenza insieme incredibile e atroce: Giovanni Falcone aveva infatti voglia di guidare e chiese all’uomo della scorta che era al volante (Giuseppe Costanza), di spostarsi sul sedile posteriore.

Francesca Morvillo, a quel punto, si spostò davanti, accanto al marito, in quella Fiat Croma che abbiamo ormai visto mille volte, dilaniata, in quell’autostrada trasformata in campo di guerra. Ebbene Giuseppe Costanza si salvò, come Angelo Corbo, che era con altri due uomini della scorta sull’auto che seguiva quella di Falcone, auto che rallentò perché il magistrato frenò per dare un mazzo di chiavi a Costanza. Per qualche ora, l’Italia sperò che anche Giovanni Falcone e Francesca Morvillo ce la facessero. Ma morirono quella sera, unendosi tragicamente ai tre uomini della scorta che avevano già perso la vita nell’attentato: Rocco Dicillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro.

La strage di Capaci resta però un tarlo che scava ogni giorno nella memoria. Perché Falcone e Borsellino (ucciso due mesi dopo, in via D’Amelio) sono le nostre torri gemelle: due colonne che si possono abbattere, lanciando un devastante messaggio di potenza (della mafia) e fragilità (dello Stato), ma anche due monumenti che la storia l’hanno cambiata. Rendendo potente la fragilità di uno Stato che da quel 1992 non ha più smesso di combattere. In fondo è proprio di questo che ha parlato ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, rivolgendosi ai giovani: «I mafiosi, nel progettare l’assassinio dei due magistrati, non avevano previsto un aspetto decisivo: quel che avrebbe provocato nella società. Nella loro mentalità criminale non avevano previsto che l’insegnamento di Falcone e di Borsellino, il loro esempio, i valori da loro manifestati, sarebbero sopravvissuti, rafforzandosi oltre la loro morte: diffondendosi, trasmettendo aspirazione di libertà dal crimine, radicandosi nella coscienza e nell’affetto delle tante persone oneste».

Le lenzuola immacolate che ieri, comparendo su molti balconi, hanno idealmente rimesso insieme i cocci dell’Italia che non dimentica, dicono proprio questo. Che a fronte di un Paese legato alla mafia, ai favori, alla quotidiana corruzione, c’è un’Italia - molto più grande - che gira a testa alta, che combatte ogni giorno il nemico, che si chiami mafia, covid-19 o in qualunque altro modo. Un’Italia che una certa mentalità, una certa cultura, un certo modo di fare, non smetterà mai di combatterli. L’Italia migliore.

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