All'Italia serve più di un vaccino

All'Italia serve più di un vaccino

di Alberto Faustini

Visti dalle pagine di decreti e ordinanze, sembriamo... indecisi a tutto. La situazione non aiuta, ma ai governi, che talvolta sembrano prendere "indecisioni" da un'altra galassia, si chiede chiarezza. Che non vuol dire libertà di fare qualsiasi cosa. Vuol dire - banalizzo - non considerare Pergine e Roma alla stessa stregua. L'Italia ha fin troppe sfumature e serviranno anche regole generali, ma basta parlare con chiunque per scoprire che non c'è un caso specifico sul quale si sia presa una decisione univoca.

Ci si stupisce se i treni sono già pieni di persone in fuga verso Nord o verso Sud, prima che accada chissà cosa. Ma non si coglie che si scappa prima di tutto dall'incertezza. C'è chi da mesi ha prenotato biglietti non certo per gozzovigliare, per andare a fare vacanze sulla neve o in qualche luogo esotico, ma solo per riabbracciare la propria famiglia: un popolo che oggi fra quarantene e limitazioni teme la solitudine più del covid. 

Vista con gli occhi del Censis, l'Italia di oggi considera la salute più importante della libertà, ma, temendo il peggio, cerca di mettere soldi da parte, evitando i debiti. La pandemia, per il direttore del Censis Massimiliano Vallerii, «ha rappresentato uno straordinario fattore di accelerazione di alcuni processi che erano già in atto, squarciando il velo su vulnerabilità strutturali». Un rapporto pieno di paura, «una ruota quadrata che non gira», quello presentato venerdì. Un rapporto dal quale emerge che la percezione sulla vulnerabilità dei più deboli è ben altro che una sensazione. Quasi un italiano su quattro ha ricevuto il reddito di cittadinanza ed è davanti a tutti la frattura sociale fra la sicurezza di chi ha un posto pubblico e l'insicurezza di chi lotta (finché può) nel privato. Un tempo c'era il posto di lavoro sicuro. Oggi si teme di perderlo, il lavoro: il 53,7 per cento dei dipendenti delle piccole imprese s'aspetta che accada il peggio. Va un po' meglio nelle grandi aziende, dove comunque quasi trenta dipendenti su cento (28,6) non si sentono più in una botte di ferro.

Il radar dei ricercatori, di fatto non intercetta poi oltre cinque milioni di italiani: quelli dei lavoretti, per intenderci. A chi pensa che il Covid-19 sia la causa di tutti i mali il Censis risponde con un pugno: «Il virus non ha creato nuovi problemi; è stato uno straordinario fattore di accelerazione di alcuni processi che erano già in atto». Una sentenza: differenze sociali, denatalità, bassa crescita e scarsa produttività c'erano già. Come il divario fra Nord e Sud e quello, acuito dalla crisi, fra donne e uomini. Giorgio De Rita, segretario del Censis, ribadisce quanto detto da Bernabè: più che mai serve un progetto e una classe dirigente capace di metterlo in atto, «una nuova azione sistemica della mano pubblica». Conosciamo il male da tempo, ma non siamo capaci di curarlo. In questo caso, non basterà un vaccino.

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