«Calvario di sei mesi dopo l'intervento»
Doveva essere un banale intervento di rimozione dei calcoli alla cistifellea effettuato in laparoscopia. Pochi buchi nella pancia, dolore ridotto e un recupero in tempi rapidi. Questo in teoria. In realtà le cose sono andate diversamente. A distanza di quasi due mesi dall'intervento un imprenditore di 61 anni di Pergine è ancora all'ospedale con gravi complicanze. La moglie ha presentato denuncia
BORGO - Doveva essere un banale intervento di rimozione dei calcoli alla cistifellea effettuato in laparoscopia. Pochi buchi nella pancia, dolore ridotto e un recupero in tempi rapidi. Questo in teoria. In realtà le cose sono andate diversamente. A distanza di quasi due mesi dall'intervento un imprenditore di 61 anni di Pergine è ancora all'ospedale con gravi complicanze. L'uomo si è dovuto sottoporre a un secondo intervento e nel frattempo la moglie ha presentato denuncia ravvisando responsabilità a carico dei medici dell'ospedale di Borgo che hanno operato il consorte.
«Mio marito, T. Z., è stato sottoposto ad un intervento chirurgico presso il reparto di chirurgia dell'ospedale di Borgo Valsugana, per l'asportazione della cistifellea. Il 27 gennaio, ad intervento concluso, i sanitari ci hanno informati che tutto era andato per il verso giusto tanto che mio marito è stato dimesso senza particolari prescrizioni il 3 febbraio».
A neppure 7 giorni dalla data delle dimissioni, però, l'uomo ha iniziato ad accusare dei fortissimi dolori all'addome tanto che il 10 febbraio è stato trasportato d'urgenza all'ospedale di Trento dove è stato ricoverato nel reparto di chirurgia 2. «Inizialmente sembrava si trattasse di un problema di sanguinamento interno - spiega la moglie - ma poiché le condizioni non miglioravano è stato deciso di sottoporlo ad un nuovo intervento chirurgico, peraltro rivelatosi lungo e delicato, che ha messo in evidenza una grave lesione del condotto della bile con una totale rottura dello stesso, causa questa di un significativo versamento in addome; inoltre è stato appurato che una parte della cistifellea era ancora inesplicabilmente attaccata al fegato, mentre un'altra parte della stessa, già staccata, è stata trovata in addome con dentro ancora i calcoli».
A distanza di più di un mese da quell'intervento l'uomo è ancora ricoverato. Ora la febbre alta, è dimagrito 16 chili, ed è ovviamente affranto per le sue condizioni di salute e per i lunghi mesi di terapie che i medici gli hanno già prospettato. La moglie, invece, chiede venga fatta chiarezza.
«Sono venuta a conoscenza, dal semplice esame della cartella clinica, che, pur avendo rilevato nel corso dell'intervento una difficoltà nell'afferrare la colecisti e dato atto di non essere riuscito ad identificare le normali strutture anatomiche, il chirurgo ha comunque proseguito l'operazione in laparoscopia senza optare per un intervento tradizionale». Risultato della difficoltà incontrata nel corso dell'intervento sarebbe stata la rottura del dotti biliari senza che nessuno se ne accorgesse e il fatto che parte della colecisti è rimasta attaccata al fegato.
Può capitare che durante un intervento con tecnica laparoscopica possano realizzarsi le condizioni che comportino l'impossibilità a continuare l'intervento in laparoscopia, per difficoltà legate alla disposizione ed anomalie anatomiche della colecisti e delle vie biliari, per sanguinamenti, per insorte instabilità emodinamiche o respiratorie del paziente. In questi casi il chirurgo decide solitamente di convertire l'intervento in laparotomia, aprendo l'addome del paziente, e portando così a termine l'intervento senza le limitazioni che l'altra tecnica comporta. Cosa che nel caso del paziente di Pergine non è però avvenuta.
La donna, sconcertata e arrabbiata per il trattamento ricevuto dal marito, ha chiesto un incontro con l'assessore Donata Borgonovo Re che l'ha ascoltata e le ha promesso di verificare personalmente la situazione. «Sono venuta a sapere che quello di mio marito non sarebbe l'unico intervento chirurgico andato male a Borgo. Quindi, se ciò è vero, ed ammettendo che un chirurgo possa incontrare delle difficoltà, e che queste ultime non dipendano da un errore diagnostico, viene spontaneo chiedersi quale sia il limite di ammissibilità delle stesse. Tutti cittadini hanno il diritto di pretendere da comunque struttura sanitaria lo stesso livello di sicurezza, a maggior ragione per gli interventi chirurgici».
Alla luce di quanto accaduto la donna chiede che venga condotta un'inchiesta sull'attività del reparto di chirurgia dell'ospedale di Borgo Valsugana. «Fermo restando la mia intenzione di vedere tutelati al meglio i diritti miei e di mio marito nelle sedi più opportune». Sull'episodio al momento la direzione dell'Azienda sanitaria mantiene il più stretto riserbo. Fa sapere comunque che, come accade quando viene presentata una richiesta risarcitoria, è stata aperta una istruttoria interna ed è stata chiesta ai medici interessati dalla vicenda una relazione sull'attività svolga in modo da appurare se quanto accaduto al paziente è una complicanza legata a qualche inadempienza o errore medico oppure semplicemente si tratta di un evento imprevedibile e fa parte dei rischi che ogni paziente corre quando viene portato in sala operatoria. Rischi che prima di ogni intervento anestesista e chirurgo fanno presente in quanto purtroppo per nessun intervento invasivo può essere garantita la perfetta riuscita o l'assenza di rischi.