Giornata contro l'Aids, in Trentino il virus non arretra

Oggi è la Giornata mondiale della lotta contro l’Aids, che viene celebrata con iniziative in tutti gli angoli del Pianeta. «Due milioni di nuove infezioni ogni anno nel mondo. In Italia sono 140mila le persone con l’Hiv: siamo il Paese occidentale più colpito. La Giornata contro l’Aids è una cura innanzitutto per la nostra memoria distratta e per la nostra indifferenza. Il primo dicembre è anche l’occasione per manifestare la vicinanza ai malati e alle loro famiglie. Per dire no ai pregiudizi che purtroppo si aggiungono al peso della malattia»,ha commentato la presidente della Camera, Laura Boldrini.

In Trentino sono mediamente trenta i casi di infezione registrati ogni anno. Una tendenza, spiega l'Azienda sanitaria, che non accenna a diminuire, rimasta inalterata negli ultimi dieci anni, con due o tre casi accertati ogni mese.
Va inoltre considerato il numero di casi sommersi, quelle persone, cioè che non avendo fatto il test Hiv non sono a conoscenza della loro situazione sanitaria. Il dato è stato diffuso in occasione della giornata internazionale per la lotta contro l’Aids nel corso di un incontro organizzato nella sede dell’Azienda sanitaria provinciale a Trento.
Nel 2011 sono stati registrati 35 nuovi casi, saliti a 45 nel 2012, 24 nel 2013 e 26 nel 2014 (fino al 30 novembre). Se negli anni Novanta la percezione del rischio era più presente nella popolazione, vi è ora una sottovalutazione del problema, tra le nuove generazioni - che sempre più presto, attorno ai 14 anni, hanno rapporti sessuali - ma anche tra gli adulti tra i 30 e i 50 anni.
Dall’inizio dell’epidemia - nel 1981, anno della scoperta del virus dell’Hiv - i pazienti seguiti in provincia di Trento sono stati 1.651. Nel reparto di malattie infettive dell’ospedale Santa Chiara di Trento sono passati 475 pazienti (102 di questi hanno subìto uno sviluppo del virus, tramutatosi in Aids a tutti gli effetti), di cui 315 maschi e 160 femmine.

Le modalità di trasmissione dell’Hiv avvengono nel 37% dei casi per rapporti eterosessuali non protetti (175 persone contagiate), nel 35% per scambi di siringhe usate e quindi per situazioni legate alla tossicodipendenza (165 persone) e nel 25% dei casi a causa di rapporti omosessuali non protetti (121 persone). Vi è poi una percentuale più bassa, il 3% dei casi, in cui il contagio è avvenuto nel grembo materno (6 bambini), 5 casi per trasfusioni relative agli anni Ottanta e 3 casi in cui non si è riusciti a definire la causa di trasmissione del virus dell’Hiv. Un dato rassicurante è la percentuale delle persone con Hiv in cura, il 91% dei casi diagnosticati, cioè 435 soggetti.

«Il virus si trasmette sempre più per via sessuale, soprattutto in soggetti omosessuali che già hanno contratto altre malattie sessuali, come le epatiti, la gonorrea o il virus Hpv, che è in aumento soprattutto tra i giovani», ha spiegato Franco Urbani, responsabile dell’ambulatorio malattie sessualmente trasmesse dell’Apss. L’Azienda sanitaria provinciale, grazie alla collaborazione della Lila (Lega per la lotta all'Aids) e degli 11 consultori sul territorio, svolge da tempo una campagna di sensibilizzazione e informazione in 87 istituti scolastici, con una copertura del 90% nella scuola secondaria di primo grado (le vecchie medie) e del 70% nella scuola secondaria di secondo grado, ma soltanto fino alla seconda superiore. Allo studio vi è anche un progetto di informazione dedicato alla scuola primaria.

«La disinformazione - spiega il presidente della sezione trentina della Lila, Michele Poli - esiste ancora, purtroppo anche tra gli operatori sanitari: continuiamo infatti a trovare operatori che non hanno informazioni adeguate sull’Hiv e spesso hanno un atteggiamento discriminatorio verso il paziente. Dal 2000, inoltre, c’è più disattenzione e meno facilità di intervento. Quando vado nelle scuole, i dirigenti mi consigliano di non portare i preservativi in classe, perchè i genitori si lamentano. Ci sono poi diagnosi tardive, con persone che non sono affatto consapevoli di che cosa sia un comportamento a rischio. In Trentino c’è poi una informazione poco diffusa sulla possibilità di effettuare il test gratuito, anche da parte dei medici di famiglia. Inoltre vi è difficoltà a trovare materiale informativo negli ospedali e nei presidi sanitari, quando per altre malattie esistono invece brochure e manifesti. Va poi detto che, se i casi sono in aumento dal 2000 ad oggi, l’organico del reparto malattie infettive non cresce affatto».

E un'indagine condotta dalla Lila indica che in fatto di Aids gli italiani mostrano ancora parecchia confusione e ignoranza. Sei su 10 non sanno che il termine per considerare definitivo l’esito del test è 3 mesi e non più 6. E c’è ancora un 6% che crede che i rapporti sessuali non siano un veicolo di contagio.

Dall’indagine, emerge anche che solo 1 persona su 3 conosce la TasP (Treatement as Prevention), cioè l’uso dei farmaci antiretrovirali per diminuire il rischio di trasmissione dell’hiv da parte di chi è già sieropositivo. E sebbene la quasi totalità dei partecipanti dica di non credere più ai classici miti sull’aids (come quello che l’infezione può essere rilevata dall’aspetto non sano), ci sono altre ‘leggendè che continuano a sopravvivere. Quattro su 10 infatti sopravvalutano il rischio di contagio accidentale, 1 su 10 crede che la puntura delle zanzare possa trasmettere il virus e che lo scambio di siringhe sia la modalità di trasmissione più diffusa in Italia. Il 4-6% inoltre considera non a rischio i rapporti penetrativi anali e vaginali. I più informati sono le persone sieropositive, chi ha rapporti con le associazioni che si occupano di hiv o chi conosce una persona sieropositiva. Tendenzialmente sono i giovani con meno di 30 anni ad avere le conoscenze meno accurate, e una visione delle conseguenze dell’hiv ancora più negativa di quello che è in realtà.

«Questi dati, insieme al fatto che il nostro Paese è all’ultimo posto in Europa nell’uso del profilattico e che a essere particolarmente esposte al rischio di infezione sono le donne - commenta Alessandra Cerioli, presidente della Lila - la dicono lunga su quanto ancora occorra mantenere alta l’attenzione su informazione e prevenzione». Per questo fino al 7 dicembre Lila ha avviato una campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi con Sms solidale al 45508 per sostenere il Progetto Donna-prevenzione al femminile.


Che la Giornata mondiale di lotta contro l’Aids in Italia «continua a essere celebrata con abbondanti dosi di retorica e ipocrisia» è l'opinione di Aurelio Mancuso presidente di Equality Italia.
«Nei fatti, a parte le associazioni che da anni si battono per la prevenzione e la dignità delle persone, lo Stato non promuove alcuna azione concreta che impedisca un continuo aumento delle infezioni. È invece colpevolmente prestata attenzione, particolarmente dal Miur, alle posizioni politiche dei gruppi estremisti reazionari che vogliono impedire ogni urgente coordinata opera di informazione e formazione nel sistema scolastico di educazione alla salute, alle sessualità, alla conoscenza di se. Le campagne sui media - prosegue Mancuso - sono sporadiche, legate appunto alla ricorrenza del 1 dicembre, per lo più generiche e non influenzano i target su cui bisognerebbe, come avviene nel resto del mondo civile, puntare per diminuire l’incidenza del contagio. Da decenni inutilmente si chiedono l’abbattimento dei costi del preservativo, la predisposizione nei luoghi di alta aggregazione giovanile di macchinette distributrici. Manca la volontà politica di affrontare la questione dell’Aids e delle malattie sessualmente trasmissibili (in enorme espansione) con il rigore scientifico necessario, con politiche socio sanitarie coerenti con tutte le indicazioni internazionali. Anche quest’anno, quindi, assisteremo alle solite manfrine istituzionali, che in realtà coprono una volontà di assoluta inazione».


Buone notizie, infine, arrivano dall’Unicef per quanto riguarda i piccoli sieropositivi nel mondo: secondo i nuovi dati dell’agenzia Onu per i minori, diffusi in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids, dal 2005 al 2013 sono state evitate 1,1 milioni di infezioni tra i bambini con meno di 15 anni. Nella stessa forbice di tempo, i nuovi casi sono diminuiti del 50%. Secondo Unicef, questo straordinario progresso è il risultato dell’aumento dell’accesso di milioni di donne in gravidanza con l’Hiv ai servizi per la prevenzione della trasmissione madre-figlio.
«Se siamo in grado di evitare 1,1 milioni di nuove infezioni da Hiv nei bambini, siamo anche in grado di proteggere ogni bambino dal virus», ha detto il direttore esecutivo di Unicef, Anthony Lake. «Dobbiamo colmare il divario ed investire di più per raggiungere ogni madre, ogni neonato, ogni bambino e ogni adolescente con la prevenzione e con i programmi per la cura della malattia, che sono in grado di salvare e migliorare la loro vita». Tuttavia, l’obiettivo globale di ridurre le nuove infezioni da Hiv nei bambini del 90% tra il 2009 e il 2015 è ancora lontano.

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