Pronto Soccorso: tra emergenze, violenza e solitudine
Trecento pazienti ogni giorno varcano la porta del Pronto soccorso del Santa Chiara. Sono bambini, anziani, pluritraumatizzati o pazienti psichiatrici, pazienti acuti o semplicemente impauriti e in cerca di una diagnosi
Trecento pazienti ogni giorno varcano la porta del Pronto soccorso del Santa Chiara. Sono bambini, anziani, pluritraumatizzati o pazienti psichiatrici, pazienti acuti o semplicemente impauriti e in cerca di una diagnosi. Doloranti o solo insofferenti. Tutti cercano una risposta e, come è previsto dalla «mission» di questo reparto, tutti vengono accolti. «Siamo un punto di frontiera, un posto caldo dove tutti possono trovare cure e ospitalità 24 ore su 24», dice serafico Nicola Ricci, coordinatore infermieristico che dal 2008 guida 120 infermieri impegnati in tutte le diverse aree del pronto soccorso della città.
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Come è cambiata l’utenza che passa al Pronto soccorso negli anni?
È cambiata nei numeri, che sono in costante aumento, ma sono emersi anche nuovi problemi legati ai cambiamenti della società. Al Pronto soccorso si vede come allo specchio ciò che c’è fuori. Le violenze sessuali, i maltrattamenti, le nuove droghe. Una persona, girando per Trento, può avere l’impressione di essere in una città tranquilla, dove non accade nulla di brutto. E invece lavorando al Pronto soccorso ti rendi conto del rovescio della medaglia. Qui, poi, approdano anche tutti quelli che non riescono a trovare risposte immediate altrove. Vediamo senza fissa dimora arrivare, accomodarsi su una sedia senza chiedere nulla e andarsene dopo aver trascorso le notti più fredde. Ma anche padri di famiglia separati, che lavorano ma che non hanno soldi a sufficienza per pagarsi l’affitto di una casa e passano la nottata qui. Poi sono cambiate le aspettative nei confronti del Pronto soccorso. La maggior parte delle persone vorrebbe essere presa in carico velocemente e a iter finito avere risposte certe, sicure e competenti possibilmente dopo aver svolto tutti gli esami del caso. Questo non è e non può essere l’obiettivo del pronto soccorso.
Con l’introduzione del ticket avete avvertito pressioni da parte dei cittadini per l’assegnazione dei codici, soprattutto di quelli che prevedono il pagamento da parte degli utenti delle prestazioni?
Il triage è un settore delicatissimo. L’infermiere è chiamato, con poche domande ma stando attendo anche a molti particolari legati allo stato dell’utente, ad assegnare un codice di gravità. È evidente che l’infermiere di triage sente anche la pressione dei pazienti che poco volentieri accettano un codice bianco, ma non può fare ciò che vuole solo per evitare scontri o polemiche. C’è infatti un attento sistema di monitoraggio per il quale il lavoro di ognuno viene attentamente analizzato. A scadenze prestabilite vengono verificati i i codici assegnati dai vari operatori e questi più o meno devono rientrare nelle percentuali ritenute standard, ossia 20% di codici bianchi, 60% codici verdi, 20% codici gialli e il rimanente codici rossi. È evidente che se un infermiere del triage ha un’assegnazione di codici bianchi pari al 5%, ad esempio, gli si parla per vedere se c’è una qualche difficoltà nell’affrontare eventuali conflittualità con l’utenza. Il problema è che una variazione giornaliera consistente nell’assegnazione dei codici rischia di mettere in crisi l’organizzazione dell’intero sistema.
Il personale del triage deve quindi avere grandi doti umane ma nello stesso tempo competenze professionali elevate?
Assolutamente sì. Mentre nella sala delle urgenze c’è bisogno di persone con buone competenze tecniche e che sappiano usare tutte le tecnologie all’avanguardia di cui siamo dotati, nel triage c’è bisogno di esperienza, di empatia, della capacità di capire con pochi dati la situazione.
Una buona assegnazione dei codici permette anche di avere dei tempi di attesa accettabili e comunque congrui rispetto gravità.
Noi abbiamo buonissimi tempi d’attesa. I rossi e praticamente anche i gialli vengono visti immediatamente. Il vero problema sono i codici verdi e poi i codici bianchi: queste ultime sono persone che si sono rivolte in modo inappropriato al pronto soccorso. Ma noi non mandiamo via nessuno e quindi attendono il loro turno.
A volte però sono le stesse guardie mediche o i medici di medicina generale che inviano al pronto soccorso e poi i pazienti si vedono assegnare codici a bassa priorità?
Perché il codice non dipende da chi invia ma dalla potenziale pericolosità dei sintomi che uno avverte. Se io ho davanti una persona con una cefalea molto forte da 30 minuti mi allarmo di più rispetto alla stessa cefalea avvertita da una settimana. Ma questo a volte le persone non lo capiscono. Recentemente, per cercare di agevolare le pesone con difficoltà o gli anziani, abbiamo introdotto un braccialetto argento, che non è un codice di priorità clinica, ma un modo per segnare i pazienti particolarmente fragili (disabili, dementi, grandi anziani, allettati, o pazienti con particolari patologie) e che quindi, a parità di codici, debbono essere presi in carico prima degli altri. Inoltre, per questi pazienti, viene garantita la presenza di un familiare negli spostamenti.
Lei prima diceva che in Pronto soccorso vedete i fenomeni sociali. Oggi al popolazione trentina è sempre più vecchia e fa sempre meno figli. Un problema per l’assistenza?
Che la composizione delle famiglie sia cambiata lo abbiamo notato da tempo. Spesso arrivano da noi anziani che non hanno nessuno, che hanno figli che lavorano all’estero o magari hanno un unico figlio che deve correre a lavorare o ad occuparsi dei suoi figli.
Lavorare al pronto soccorso può esser fonte di soddisfazione ma anche di grande stress. Come riuscite a superare certe situazioni drammatiche che vivete piuttosto frequentemente?
Qui non c’è continuità di assistenza. Ci sono relazioni molto intense ma di breve durata. Purtroppo spesso, nell’arco di poche ore, siamo anche chiamati a comunicazioni dolorossime alle famiglie. Per questo stiamo effettuando un lavoro per la rielaborazione dello stressa da forte impatto emotivo. Si chiama defusing, ossia disinnesco. In pratica a fine turno, quando accade qualcosa di particolarmente grave, ci si riunisce per esprimere le proprie emozioni e questo normalizza o almeno dovrebbe aiutare a farlo.
Come riesce una persona a vivere sulla propria pelle tante disgrazie altrui e poi riuscire a tornare a casa e fare una vita normale? Non c’è il rischio di sentirsi tutte le patologie addosso o comunque di vedere pericoli ovunque?
Non è diventare ipocondriaci il rischio, ma è inevitabile che questo lavoro influenzi il modo in cui poi affronti la vita. La cosa positiva è uno dà peso a ciò che realmente è importante anche se a volte si tendono a trascurare le relazioni perché, soprattutto alla fine di certe giornate, si vorrebbe isolarsi, chiudere con tutto.
Però questo lavoro in prima linea offre anche grandi soddisfazioni?
Ognuno trova soddisfazioni a modo suo. C’è il cinico che le la trova nella propria performance sull’urgenza, ad esempio. Ma poi ci sono anche tanti pazienti o familiari che tornano per ringraziare. Le persone sanno essere anche riconoscenti.
Quali sono i periodo più critici qui dentro, tenendo ovviamente conto che ogni giorno può accadere e arrivare di tutto?
Questo è il periodo dei grandi anziani, dei cronici con patologie respiratorie, dei traumi da sci piccoli e grandi. Ma il periodo con maggior lavoro, solitamente, è quello tra l’inverno e la primavera. Quei bei fine settimana di sole quando ancora gli impianti da sci sono aperti e gli appassionati hanno già tirato fuori le moto. Allora arriva proprio di tutto e solitamente i motociclisti sono quelli con i traumi più brutti.
Le statistiche rivelano che gli incidenti automobilistici gravi negli ultimi tempi sembrano essere calati.
Abbiamo sicuramente meno di quelle che vengono chiamate stragi del sabato sera, mentre sono aumentati i traumi da sport estremi. E poi c’è tanta violenza, fisica e sessuale. Noi vediamo solo la punta dell’iceberg. Abbiamo una quindicina di reperti per la procura di presunte violenze sessuali relative a fatti accaduti l’ultimo anno, ma tanti non denunciano, come tante donne maltrattate arrivano qui dicendo di essere cadute da sole. Stiamo lavorando anche formando gli operatori affinché si riescano a rompere questi silenzi, ma non è facile. E poi la droga, di ogni tipo. Purtroppo è tornata anche l’eroina e qui ce ne siamo già accorti.
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TROPPI CODICI BIANCHI
La vera emergenza al Pronto soccorso sembrano essere i codici bianchi, ossia i pazienti non gravi che si rivolgono impropriamente in ospedale in quanto avrebbero potuto andare dal proprio medico di medicina generale o dalla guardia medica. Va premesso che questo non è un problema solo Trentino, ma riguarda gli ospedali di tutta Italia, e che anche l’introduzione dei ticket non ha risolto e men che meno frenato il fenomeno. Quei 75 euro previsti per chi effettua visita e accertamenti diagnostici non sono evidentemente un deterrente sufficiente. Nel 2014 c’è stato un grosso balzo in avanti nei numeri di questa fetta di pazienti.
Ma analizziamo le cifre. I codici bianchi sono passati da 35.664 nel 2012, a 38.613 nel 2013, a 41.833 nel 2014. In questi sono compresi gli accessi al pronto soccorso pediatrico (8.692), al pronto soccorso ortopedico (4.834), a quello oculistico (4.688), a quello ginecologico (1.742) e infine la grande fetta del pronto soccorso degli adulti dove la parte del leone la fa Trento con 8.634 accessi bianchi. Rispetto al 2013, solo nella città capoluogo, ci sono stati ben 1.300 accessi in più, in pratica una media di quasi quattro persone in più al giorno che hanno fanno richiesta di essere visitate per patologie non gravi.
L’analisi dei dati permette però di vedere che non ovunque c’è stato un aumento. Arco, Borgo, Cavalese, Cles e Rovereto, infatti, hanno fatto registrare una diminuzione di accessi. Lieve aumento per Tione e poi tutto il grosso dell’aumento è concentrato su Trento con tutti gli ambulatori specialistici, pediatria innanzitutto a conferma che i genitori sono sempre più «ansiosi». Questo per i codici bianchi. Se invece guardiamo gli accessi in generale, ossia tutti i codici, un lieve aumento è registrato in tutti i pronto soccorso della Provincia. Si è passati da 210.434 accessi nel 2012 a ben 217.335 accessi nel 2014.
Ma torniamo ai codici bianchi, il vero problema dell’emergenza perché assorbono energie, ma anche occupano spazi e risorse che dovrebbero essere destinati ad altri. C’è una sorta di identikit a livello di orari e di giorni di questi pazienti. Coloro che vengono classificati con i codici bianchi prediligono il mattino, dalle 9 alle 12, per chiedere la loro consulenza. Raramente si hanno accessi dopo le 21 e i numeri restano bassissimi fino alle 6 del mattino. Giorno «preferito» sembra essere il lunedì che supera addirittura il sabato e la domenica. Ma mentre nel fine settimana l’accesso al pronto soccorso potrebbe essere giustificato dall’assenza dei medici di medicina generale o del pediatra, il lunedì «suona» di scorciatoia, di voglia di tagliare attese.
Se al numero dei codici bianchi (41.833) aggiungiamo i codici verdi (140.145), ossia i pazienti poco critici e a bassa priorità, si supera l’83% degli accessi complessivi. Infine un’analisi dei tempi di attesa. Oltre il 40% dei pazienti viene visto nell’arco di 10 minuti dopo aver effettuato l’accettazione. Un altro 21,6% nell’arco di 30 minuti e il 27,7% nel giro di due ore. Residuale la percentuale di coloro, e sono in gran parte codici bianchi, che devono aspettare 4 ore (7,9%), 6 ore (1,6%) o più di 6 ore (0,5%).
TICKET: CHI PAGA E COSA SI PAGA
Il ticket al Pronto Soccorso per i codici bianchi e parte dei verdi è in vigore dall’ottobre del 2011. Per quanto riguarda i codici bianchi è previsto un contributo di 25 euro per la sola visita e di 75 euro quando vengono poi effettuati altri accertamenti.
Per i codici verdi, invece, nulla è dovuto per la semplice visita mentre vengono richiesti 50 euro nel caso di accertamenti successivi effettuati direttamente dal pronto soccorso. Sono sempre esclusi dal pagamento del ticket i traumatismi, gli avvelenamenti, gli infortuni sul lavoro, gli accessi seguiti da ricovero o decesso del paziente, i pazienti accolti in osservazione breve e poi tutti quelle esenti vuoi per età come i minori di 14 anni o per malattie o per reddito.
Per quanto riguarda invece i codici, il rosso viene assegnato quando le funzioni vitali sono alterate, con pericolo di vita; il giallo quanto le funzioni vitali sono mantenute, ma esiste il pericolo di un aggravamento dei sintomi; il verde quando l’utente presenta situazioni meritevoli di controllo ma le condizioni non sono critiche né acute. Infine il codice bianco, assegnato in situazioni che dovrebbero essere affontate altrove.
IN PERIFERIA I CASI MENO GRAVI
Già da alcune settimane il direttore di Trentino Emergenza, Alberto Zini, per cercare di distribuire il lavoro anche negli altri ospedali di Valle, sia a livello di pronto soccorso che di reparti, ha emanato una disposizione nella quale è previsto che non tutte le emergenze debbano necessariamente essere portate a Trento.
Per i grossi traumi, i problemi cardiologici legati a sospetti infarti, per i probabili ictus e per le patologie più complessi Trento rimane naturalmente il centro di riferimento che grazie alle professionalità e alle attrezzature presenti è in grado di gestire al meglio l’emergenze più difficili.
Ma ogni giorno sono centinaia le chieste di aiuto al 118 per questioni minori. Così, per evitare che il pronto soccorso di Trento sia sempre troppo carico di lavoro e così anche molti reparti, in Azienda sanitaria hanno deciso di far portare direttamente in periferia i pazienti che hanno bisogno di cure a bassa intensità.
È stato così predisposto un protocollo aziendale con tutte le nuove regole. È sempre il medico di centrale, valutata la situazione, a decidere volta per volta. In linea generale, per i casi meno gravi, da Mezzolombardo in su l’ambulanza porta a Cles, tutti i pazienti della valle di Cembra vanno a Cavalese e da Pergine si va Borgo. Poi naturalmente dipende anche dalla disponibilità delle ambulanze in quanto in molti casi Trento sarebbe più vicina e quindi, per allungare i tragitti, è necessaria la disponibilità del mezzo e degli operatori. Inoltre, altro fattore discriminante, è l’ora in cui arriva la chiamata in quando di notte è più facile che tutto venga fatto convogliare su Trento. Le nuove disposizione hanno sicuramente mutato i carichi di lavoro soprattutto dei pronto soccorso degli ospedali di valle oggi chiamati ad un maggior impegno visto anche l’afflusso di turisti e tanti interventi legati a traumi minori che oggi vengono visti e gestiti direttamente dalle ortopedie di Cles, Cavalese, Borgo e Tione.
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