Niente riscatto delle case Gescal La Cassazione respinge il ricorso
A 44 anni dall’assegnazione degli alloggi e dopo una battaglia che, solo sul fronte penale, è durata oltre quindici anni, il sogno di un gruppo di inquilini di riscattare le ex case Gescal, oggi Itea, tramonta definitivamente
A 44 anni dall’assegnazione degli alloggi e dopo una battaglia che, solo sul fronte penale, è durata oltre quindici anni, il sogno di un gruppo di inquilini di riscattare le ex case Gescal, oggi Itea, tramonta definitivamente. I giudici della Corte di Cassazione hanno infatti respinto il ricorso presentato da nove cittadini, capeggiati da Sergio Battistata, battagliero portavoce del gruppo, che chiedevano anche un risarcimento per i danni subiti.
Quella approdata davanti ai giudici della capitale è una storia complessa. Protagonisti dodici inquilini, ora Itea, che nel 1972 vinsero il bando per l’assegnazione di case Gescal, ovvero alloggi costruiti con i contributi trattenuti dalle buste paga dei singoli lavoratori. Si trattava di case nelle torri 1, 2 e 3 di Madonna Bianca e della Clarina. La legge istitutiva della Gescal, prevedeva che il 50 per cento degli alloggi (articolo 29 della legge 60 del 14 febbraio 1963) dovessero essere messi a riscatto ma l’Itea, subentrata nella gestione degli immobili nel 1977, non lo ha fatto.
Dopo lettere di protesta e il tentativo di risolvere il contenzioso bussando alle porte di politici per chiedere che venisse sanata quella che giudicano un’ingiustizia («L’Istituto si è intavolato la proprietà di beni pagati con i nostri soldi»), nel 2002 gli inquilini hanno promosso una causa civile contro l’Itea, che ha ereditato le case e contro la Provincia, accusata di non avere applicato la norma (il bando del 1972 prevedeva, infatti che gli alloggi in questione dovessero essere assegnati in locazione semplice, senza diritto di riscatto), chiedendo un risarcimento di un milione. ù
Nel 2007 il Tribunale di Trento, dopo avere passato la palla ai giudici romani perché stabilisse se la competenza fosse della magistratura ordinaria, aveva respinto la richiesta dei ricorrenti per «l’intervenuta prescrizione del diritto azionato». La battaglia era proseguita in Corte d’appello di Trento, ma l’esito non era stato diverso: il 28 ottobre 2009 non solo l’appello era stato rigettato, ma i giudici avevano condannato anche gli inquilini a pagare le spese del secondo grado di giudizio.
Ma gli inquilini non si sono dati per vinti e, attraverso gli avvocati Antonio Coradello e Paolo Dal Rì, hanno presentato ricorso in Cassazione, denunciando la condotta omissiva dell’ente pubblico e ricordando che anche la giunta, con una delibera del 27 dicembre 1978, eveva espresso «la volontà della Provincia di destinare il residuo 50% degli alloggi costruiti all’assegnazione in locazione con diritto di riscatto». Ma i giudici hanno ritenuto infondati i rilievi sollevati.
In primis perché gli inquilini, «non hanno neppure avanzato l’istanza di riscatto degli alloggi assegnati loro in locazione semplice con il bando del 1972. Né il fatto che tale bando prevedesse l’assegnazione in locazione di tutti gli alloggi in esso indicati può ritenersi in contrasto con il quadro normativo suindicato - viene detto - che vincola soltanto l’amministrazione a destinare il 50% dei “fondi” - non degli alloggi, come sostenuto dai ricorrenti - destinati alla costruzione di case per i lavoratori, alla realizzazione di immobili destinati ad essere assegnati in locazione. Sicché - si legge - una volta rispettato siffatto vincolo di destinazione dei fondi, resta affidato alla discrezionalità dell’ amministrazione decidere la concreta assegnazione, in proprietà o in locazione, degli immobili dei singoli bandi». Morale, ricorso rigettato e condanna a pagare 7000 euro di spese di giudizio.