Attentato di Berlino novità dalle indagini
Anis Amri ha sparato alla testa dell’autista polacco del tir con cui è stato compiuto l’attentato a Berlino «tra le 16.30 e le 17.30».
È quanto scrive la Bild, citando risultati dell’autopsia.
Lukasz Urban ha perso molto sangue e può anche essere stato ancora in vita quando Amri si è lanciato contro la folla al mercatino di Natale, ha proseguito la Bild, «ma i medici escludono che sia stato in grado di agire con consapevolezza» e quindi «di aggrapparsi al volante durante l’attentato».
Una prima ricostruzione della dinamica aveva invece lasciato intendere che Urban avesse lottato fino all’ultimo, aggrappandosi più volte al volante e, forse, costringendo il tir a sbandare, salvando così molte altre persone.
Nel frattempo ha raggiunto 37.000 adesioni una petizione online lanciata da alcuni cittadini per la consegna dell’onorificenza della croce federale al merito a Lukasz Urban proprio per aver combattuto fino all’ultimo momento nell’obiettivo di evitare la strage. Circostanza che ora l’autopsia escluderebbe.
Le firme raccolte verranno consegnate al presidente Joachim Gauck.
Per parte loro, alcuni politici tedeschi spingono per conferire un’onorificenza, come la Croce federale al merito, ai due poliziotti italiani che hanno fermato la fuga di Anis Amri, l’attentatore di Berlino. Lo scrive la Bild, riportando l’opinione favorevole di due esponenti della maggioranza di governo e del capo del sindacato di polizia, Rainer Wendt.
«I due poliziotti italiani meritano un’onorificenza per la loro azione decisiva», ha detto l’esperto di politica interna del partito di Angela Merkel, Hans-Peter Uhl. E il suo collega della Csu Michael Frieser ha aggiunto che ai due agenti italiani potrebbe essere dato «un riconoscimento attraverso il presidente o la cancelliera». Esclusa invece la ricompensa di 100.000 euro: una ricompensa in denaro è «esclusa per chi persegue reati professionalmente, come poliziotti o procuratori», conclude Bild.
Sul fronte delle indagini, si conferma che Anis Amri è arrivato in Italia dalla Francia apparentemente da solo. Che il tunisino non sia però un ‘lone wolf’, ma sia stato supportato da una rete nella sua azione a Berlino appare sempre più evidente. E mentre proseguono gli accertamenti della Digos, un’altra tappa della sua fuga dalla Germania verso Sesto San Giovanni viene rivelata: la stazione di Lione, dove il tunisino ha comprato il biglietto per il treno che, via Chambery, l’ha portato a Torino. In Tunisia, intanto, è stato arrestato il nipote, che sarebbe stato convinto dallo zio a raggiungerlo in Germania per arruolarsi in una cellula tedesca dell’Isis. La Procura di Milano potrebbe chiedere all’autorità giudiziaria tunisina notizie a riguardo.
Dalla Tunisia alla Germania, dalla Francia all’Italia, sono diversi dunque i Paesi coinvolti nel percorso del 24enne e costanti gli scambi informativi tra chi indaga. Gli investigatori tedeschi sono stati a Milano per un confronto. È la pistola calibro 22 usata a Sesto uno degli elementi da chiarire; l’ipotesi prevalente è che sia la stessa usata per uccidere l’autista polacco del camion usato a Berlino.
Ma dalla Germania non sono ancora arrivati a Milano i dati sui proiettili per la comparazione. Si stanno poi passando al setaccio gli altri oggetti trovati addosso all’uomo: i biglietti ferroviari utilizzati e la scheda sim, che sarebbe ‘pulità. Una preziosa miniera di informazioni è naturalmente il cellulare trovato nel camion, dal quale si può risalire ai contatti di Amri ed alle utenze chiamate negli ultimi giorni.
All’attenzione ci sono poi i filmati delle telecamere nelle stazioni di Milano, Torino e Sesto per verificare i movimenti del tunisino. Finora, però, non sarebbero emersi elementi che indichino la presenza di persone che si siano avvicinate all’uomo.
Le telecamere francesi hanno inquadrato Amri giovedì scorso, nella stazione Part-Dieu di Lione. Lì ha comprato un biglietto in contanti per Milano, con cambio a Chambery. Il tunisino è poi sceso dal Tgv a Torino, forse per paura di controlli, per la salita di agenti sul convoglio. È rimasto quindi alla stazione di Porta Nuova per tre ore e poi con un nuovo treno ha raggiunto la stazione Centrale di Milano e, con un bus (informazioni sono già state chieste all’autista), la sua ultima destinazione: Sesto San Giovanni.
Le domande sono sempre le stesse: perchè il killer è arrivato in Italia? Perchè proprio a Sesto? Si sta quindi scavando nel suo passato da detenuto in diversi carceri siciliane, dove ha passato 4 anni, dal momento del suo sbarco a Lampedusa nel 2011.
Si stanno passando al setaccio i nomi dei suoi compagni di cella (ne ha cambiati molti, visto anche che il soggetto era turbolento e veniva spostato di frequente) per capire se qualcuno risiede ora nell’area di Sesto. L’ipotesi è che l’uomo sia arrivato in Italia per procurarsi documenti falsi, che aveva già ottenuto in passato. Accertamenti e perquisizioni nelle prossime ore probabilmente interesseranno l’hinterland milanese, negli ambienti vicini al radicalismo islamico.
E spunti importanti arrivano dalla Tunisia. Nel corso di un’operazione delle forze di sicurezza è stata smantellata una cellula terroristica composta da tre persone. Una delle tre è il nipote di Amri. Nell’interrogatorio il giovane avrebbe riferito che lo zio - con cui comunicava tramite Telegram - lo ha reclutato inviandogli anche una somma di denaro ed un documento falso per raggiungerlo in Germania ed arruolarsi nella rete tedesca dell’Isis, guidata dal salafita iracheno Abu Walaa, arrestato lo scorso 8 novembre.
Tanto, dunque, come si vede, il materiale a disposizione di chi indaga. La difficoltà è quella di mettere insieme tutti i segmenti in possesso di forze di polizia di Paesi differenti e unire i punti per avere un quadro più chiaro su chi era Anis Amri, di quali complicità ha goduto e che tipo di appoggi riteneva di poter trovare in Italia.