Infermiere di famiglia, una figura da potenziare
La voglia di farsi ascoltare, il desiderio di vedere riconosciuto, a chi svolge già quella professione senza però avere la titolarità, l'impegno quotidiano e costante verso le persone che necessitano di un aiuto.
La figura dell'infermiere di famiglia, o di comunità, non è semplicemente quella del medico. Si occupa infatti di seguire passo dopo passo le esigenze di chi soffre di malattie gravi, croniche e per le quali occorre seguire il paziente in modo costante. In particolare, la categoria degli ultra-novantenni sta crescendo in modo esponenziale. Sono infatti tra i duecento ed i trecento coloro che superano addirittura i novantacinque anni di età, un cambiamento che apre nuove strade e metodologie di cura. Queste ultime, però, sono ancora in fase di sviluppo, proprio perché la categoria è relativamente nuova, frutto di un aumento della qualità della vita, dello sviluppo delle tecnologie e tecniche di cura stesse, ma anche e soprattutto merito di chi segue queste persone e non le lascia mai sole.
Un primo accordo con l'assessore alla salute Luca Zeni era stato siglato dalla presidente del collegio Ipasvi Luisa Zappini nel 2016, un impegno per riconoscere la figura dell'infermiere di famiglia.
L'impegno fondamentale era quello di avviare una sperimentazione dell'inserimento di questa tipologia di ruolo nel mondo dell'infermieristica, al fine di riconoscere in toto le abilità e le capacità dell'infermiere di famiglia, per renderla una vera e propria professione. In più, percorsi di formazione continua avrebbero dovuto garantire l'istruzione di questa categoria. «Ora attendiamo una delibera su questa tematica - sottolinea Luisa Zappini, - dato che abbiamo portato avanti questo tema con continuità e costanza. Siamo al fianco di coloro che quotidianamente si prodigano in questa attività, e dovremmo forse porre tutti l'attenzione anche ad altri problemi e non solo all'attuale chiusura dei punti nascite. Possiamo chiamarli «facilitatori competenti», persone che una volta finito il loro turno non si tolgono mai la divisa, restando attivi e pronti ad ogni ora del giorno. Ulteriore obiettivo sarebbe quello di riuscire a proporre qualcosa di concreto alla politica».
Ad oggi, spiega la direttrice dell'area di cure dell'Azienda Sanitaria Simona Sforzin, le persone impegnate costantemente senza vedersi però riconosciuta la titolarità di infermiere di famiglia sono 200 circa, compresi anche 30 coordinatori. «Il tema - prosegue la direttrice - è ampio ma offre coperture complete, grazie anche a quella che la presidente della Consulta provinciale alla salute Annamaria Marchionne definisce come una forte sinergia tra gli attori coinvolti al fine di garantire promozione e prevenzione della salute, sostenendo una figura fondamentale come quella dell'infermiere di famiglia».