Alle Albere il giorno dopo la terribile tragedia
Alle 13.20 due ragazzi si avvicinano al civico numero 17 di viale della Costituzione. Si guardano intorno, controllano i campanelli, guardano le cassette della posta e poi decidono: quello è il punto giusto. Allora alzano un grande mazzo di fiori, gialli, rosa, arancioni e bianchi. Lo appoggiano, cercando di essere delicati, in cima alle cassette e si guardano complici, con un cenno di approvazione. Poi fanno un passo indietro e guardano il mazzo. Si fermano qualche secondo in silenzio e poi se ne vanno. Loro sono Enrico e Alessandro, hanno diciotto anni e venti minuti prima erano in classe, al Da Vinci. Non conoscevano i piccoli Alberto e Marco e nemmeno la loro sorella più grande. Non avevano mai visto Sara Failla e nemmeno Gabriele Sorrentino. Però, usciti da scuola, hanno voluto mettere insieme qualche euro, sono andati dal fioraio e hanno chiesto un mazzo. «Abbiamo saputo quanto accaduto e ci è parso un gesto da fare. Ce lo sentivamo e l’abbiamo fatto. Tutto qui, solo per quei due...». E lo sguardo va un po’ verso l’alto, verso il cielo azzurrissimo, verso Alberto e Marco.
Un gesto bellissimo e spontaneo, rispettoso e silenzioso, che ieri ha ridato per qualche secondo un po’ di speranza. Due giovani che hanno portato umanità in un’area che nelle ultime ore aveva visto solamente dramma e dolore, oltre al passaggio di polizia scientifica e investigatori, senza dimenticare la costante presenza di giornalisti, televisioni e fotografi.
Poco dopo quella stessa umanità tornerà a «bussare» al civico 17: questa volta ha il volto di Lorenzo, bresciano, studente a Lettere. Ha letto. Sa. Allora arriva con una rosa bianca, la appoggia a fianco di altre due rose portate da qualcuno la mattina presto. Fa il segno della croce, abbassa il capo e, probabilmente, recita una preghiera. «Ho una sorellina di cinque anni e quello che è accaduto mi ha scosso. Passo spesso in questa zona per andare a studiare alla Buc e mi sembra assurdo venirci oggi con una rosa».
Due momenti di tenerezza in una giornata surreale: in viale della Costituzione, la mattina, il via vai di forze dell’ordine e presenza fissa e stantia di mass media. Nella strada parallela, viale Olivetti, la vita «normale» che va avanti: alcuni gruppi di studenti vanno al Muse, altri verso la Buc. Giovani che rompono il silenzio di un quartiere poco rumoroso. Nei bar si beve il caffè o si mangia un panino, ma l’occhio non può non cadere sui quotidiani, che in prima pagina riportano tutti fotografie scattate pochi metri più distante e fatti accaduti pochi metri più distante.
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Nel pomeriggio si passa dagli studenti ai bambini, che vista la giornata di sole si fanno accompagnare da mamme, papà, nonni o zii nel parco, per una corsa o quattro calci al pallone, per un giro in altalena o un’avventura sul castello. E vedendoli passare, sorridenti e felici, non si può non pensare. Non si può non avere il groppo in gola. Non si può non sospirare. Squarci di quotidianità e di normalità, anche se il pensiero di chiunque sia passato alle Albere ieri è andato a quando accaduto ventiquattro ore prima.
Una giornata nella giornata, nel quartiere, avviene sotto i piedi di tutti: alle Albere privacy e riservatezza sono garantite, ci si può muovere senza essere visti e senza vedere nessuno. Gli ascensori interni portano direttamente ai parcheggi sottorranei, da dove si può prendere l’auto e andare. Lì sotto avviene gran parte del «day after» di una famiglia distrutta dal dolore. Lì sotto si muovono i familiari di Alberto e Marco, per recarsi in cimitero e in questura. Poi tornano negli appartamenti. Dolore e tende chiuse. Comprensibile. E da rispettare.
Il papà di Gabriele Sorrentino, Alberto, verso sera esce di casa. Una boccata d’aria, seduto da solo su una panchina nel parco. Dà le spalle ai bambini che giocano sulle altalene e non si può non pensare a quante volte ci abbia portato i nipotini. Di fronte a lui la funivia di Sardagna. E non si può non pensare. Al suo fianco viale della Costituzione. E non si può non sospirare. Restano dolore e rispetto.
Poi la notte cala lentamente sulle Albere, le telecamere si spengono sugli umani mazzi di fiori, i pullman di studenti ripartono dal Muse e in viale della Costituzione resta solo il dolore. Da rispettare.
«I BIMBI ADORAVANO I NOSTRI BISCOTTI»
Quei due bimbi si vedevano spesso trotterellare tra le fontane e i vialetti ordinati delle Albere. Mano della mano con i genitori o con i nonni, andavano a giocare al parco o al bar. Lunedì, però, quelle stesse strade sono state prese d’assalto dalle auto della polizia e dalle ambulanze, per una tragedia inspiegabile.
«La nonna entrava spesso nel nostro locale al mattino, accompagnata dal nipote più piccolo mentre il fratellino era alla scuola materna. Un frugoletto alto così, sempre sorridente. Quello era un bambino felice», racconta la commessa del Mercante, impegnata dietro al bancone dove vengono proposti molti prodotti tipici che piacciono a piccoli e adulti.
«L’ultima volta che ho visto il bimbo era sabato», ricorda la donna, che istintivamente si avvicina allo scaffale dei biscotti. La spiegazione arriva subito.
«Gli piacevano quelli caserecci e la nonna glieli comprava per viziarlo un po’, come fanno tutte le nonne. Proprio sabato ho chiesto al piccolo come si chiamasse, e lui battendo le mani sul petto mi ha risposto “Marco”, mentre la nonna, orgogliosa, gli accarezzava il capo».
Il piccolo aveva solo due anni e mezzo e chi gli voleva bene non avrà la fortuna di vederlo crescere.
«Vengono i brividi al solo pensiero della terribile fine che hanno avuto quei bambini», racconta ancora la commessa, che la sera vedeva spesso la famiglia passeggiare nelle vie di ciottoli del quartiere dove abitavano da qualche anno.
«Spesso qui intorno c’era la famiglia al completo, inclusa la ragazzina più grande».
Il quadretto di una famiglia bella, unita e felice, come tutti gli esercenti della zona credevano.
«Ora rimane solo una grande tristezza. Questo è il momento di rimanere in silenzio per non aggiungere dolore al dolore» commentano le bariste del caffè Dolcemente.
È sotto choc e incredula di quanto è accaduto nell’attico della palazzina al civico 17 anche la signora Grazia del Caffè Dersut, che ricorda bene la famiglia Sorrentino.
«La mamma è una cliente abituale. Beveva volentieri qualcosa mentre i suoi bambini si divertivano nello spazio giochi riservato ai più piccoli che abbiamo nel locale: si divertivano soprattutto con le costruzioni e con le macchinine» spiega l’esercente. Mentre parla, però, riesce a nascondere a fatica la commozione: «Sono veramente sconvolta per ciò che è accaduto lunedì. Anch’io ho una figlia piccola e penso a quella mamma che al mattino ha lasciato i suoi cuccioli mentre ancora dormivano nei loro lettini, e al suo ritorno ha capito che la sua famiglia era stata distrutta per sempre».
È provata dalla tragedia che ha scosso il quartiere pure la parrucchiera del salone Liubliù, che si trova al piano terra della casa in cui vivevano i Sorrentino.
«Dispiace per ciò che è accaduto, anche perché conosco personalmente la signora Sara, il marito e i figlioletti. La loro era una bella famiglia affiatata».
Una famiglia che i residenti non vedranno più camminare tra i viali alberati disegnati da Renzo Piano.
I piccoli Alberto e Marco non gironzoleranno più sotto lo sguardo amorevole della sorella maggiore e dei genitori. La loro nonna non potrà più viziarli con i biscotti caserecci. Il nonno non li spingerà più sull’altalena. E la mamma non li accompagnerà più a mangiare il gelato.