Itas, Consoli: nessuna estorsione Il testimone «salva» Grassi
È improntata a un pragmatico equilibrismo la deposizione resa da Giuseppe Consoli davanti ai carabinieri del Ros
Conferma le tensioni ai vertici di Itas (ma le ridimensiona), salva Grassi dall'accusa di estorsione (l'obiettivo - conferma - non era Di Benedetto, ma una dipendente di Itas); ammette di aver saputo delle investigazioni private decise dall'ex direttore generale (ma dice che la questione fu interamente gestita da Grassi). È improntata ad un pragmatico equilibrismo la deposizione resa da Giuseppe Consoli davanti ai carabinieri del Ros il 13 aprile del 2017, giorni di fuoco per i vertici di Itas dopo che una misura interdittiva aveva appena colpito l'ormai ex dg Grassi accusato di estorsione, truffa, calunnia e appropriazione indebita e per questo dimissionario e allo stesso tempo licenziato.
Il vicepresidente vicario di Itas Mutua, presidente di Itas Vita e attuale dg facente funzioni viene sentito come testimone due volte nello stesso giorno. I carabinieri del Ros convocano il testimone una prima volta alle 9 del mattino e una seconda alle 12 e 50 di quel 13 aprile. In entrambe le occasioni Consoli dice in sostanza che nel mirino dell'investigatore privato ingaggiato da Grassi non c'era Giovanni Di Benedetto, ma una dipendente Itas accusata di seminare veleni.
All'inizio del 2016 - riferisce Consoli al Ros - Grassi mi informò che aveva intenzione di valutare la possibilità di affidare ad un'agenzia investigativa l'osservazione di (omissis), una dipendente di una sede esterna che non conosco, la quale era sospettata di «fare falsa informazione direttamente con il presidente Di Benedetto». Consoli precisa che Grassi temeva che le notizie diffuse dalla dipendente potessero «creare malcontento all'interno dell'azienda». Questo è proprio quanto Grassi ha detto ai giudici nell'interrogatorio di garanzia.
Il testimone, però, di fatto si smarca sulla questione spinosa dello 007 privato. Consoli racconta che dopo circa un mese Grassi gli confermò di aver ingaggiato un investigatore privato per controllare la dipendente, ma non essendo emerso nulla di rilevante a danno di Itas, aveva deciso, «autonomamente» precisa Consoli, di archiviare la vicenda ma «senza condividere con me alcun particolare». E qui le versioni di Consoli (testimone) e Grassi (indagato) divergono sensibilmente. L'ex dg sostiene di aver sempre tenuto al corrente il vicepresidente vicario degli sviluppi delle indagini private anche quando queste avevano imboccato una direzione diversa, invadendo la sfera della vita privata di Di Benedetto. A conferma di ciò la difesa di Grassi ha depositato anche una consulenza tecnica che ricostruisce le telefonate intercorse tra l'odierno indagato e Consoli. Ma quest'ultimo nega: «Dopo questa affermazione - dice ai carabinieri - non sono stato più interessato della questione».
Il teste poi conferma che non ci sarebbe stato alcun tentativo di estorsione da parte di Grassi: «a mio avviso, e per quanto mi consta, non sono state poste in essere azioni estorsive di alcun genere verso la figura di Di Benedetto». A riprova di questo il vicepresidente di Itas ripete che i premi assegnati dal Cda a Grassi ed altri il 21 marzo scorso erano già stati decisi. Di più, «erano perfettamente in linea con la volontà di tutto il cda». A questo punto l'accusa di estorsione contestata a Grassi rischia di traballare. L'ex direttore generale ora indagato nega il ricatto a Di Benedetto (ma questo era scontato). Il presidente di Itas, vittima della presunta estorsione, a sua volta in una memoria depositata in procura nega (e questo era meno scontato). Ora si apprende che anche Consoli ritiene che non ci fossero azioni estorsive.
Richiamato dai carabinieri nella stessa giornata, Consoli di fatto ribadisce quanto aveva detto solo tre ore prima. I carabinieri chiedono al vicepresidente di Itas come mai non informò Di Benedetto (con cui lavorava «in stretta relazione», parole di Consoli) della decisione di Grassi di mettere un investigatore privato alle costole di una dipendente. Il teste risponde che Di Benedetto «non era l'obiettivo» e «per questo non mi sono sentito in dovere di avvisare il presidente».
Consoli infine tocca, anzi sfiora, anche il tema della "guerra" ai vertici di Itas: I carabinieri chiedono al testimone: rispetto alle ipotesi che Grassi abbia concordato con lei l'opportunità di avviare un'indagine nei confronti del presidente di Itas avendo condiviso come inadeguata l'azione gerarchica del presidente, cosa dice? «Che ci fossero tensioni, anche a volte pesanti - è la risposta di Consoli - questo è indubbio, sapevo della circostanza delle iniziative di Grassi ma non vi ho partecipato, il resto è un eccesso».