Spia i conti dei parenti: condannata Quattro mesi a ex dipendente banca
Per anni, in maniera ossessiva, approfittando del suo ruolo di dipendente di un istituto di credito aveva «sbirciato» i movimenti del conto corrente dei parenti con cui poi erano anche sorte delle questioni di vicinato. Quei 400 e più ingressi non motivati da ragioni d'ufficio sono costati all'ex dipendente di banca una condanna per accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico. La donna, 34 anni residente a Canal San Bovo, è stata condannata a 4 mesi di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena. Il giudice Giovanni De Donato, al termine di un processo celebrato con rito abbreviato, ha condannato l'imputata a risarcire le due parti civili, difese dall'avvocato Liuba D'Agostini. Ai coniugi, i cui conti correnti vennero illegalmente «spiati», sono stati riconosciuti 1.500 euro a testa di danni morali oltre al rimborso delle spese legali per la costituzione in giudizio.
I fatti sono successi in Primiero, tra il 2010 e il 2012, quando l'imputata lavorava (il contratto poi non le venne rinnovato) per la banca di cui erano clienti anche marito e moglie che hanno sporto denuncia. L'imputata avrebbe monitorato, con cadenza quotidiana, entrate e uscite dai conti corrente bancari dei parenti. Non che ci fosse nulla da nascondere, ma la contabilità di una famiglia dovrebbe restare comunque nella sfera della riservatezza. Gli accessi registrati in poco meno di tre anni sarebbero stati in totale 434.
La donna controllava i movimenti dei conti monitorati anche più volte al giorno, in un caso sarebbero stati registrati addirittura 6 accessi in poche ore.
Il movente di tutta questa morbosa curiosità non è chiaro. L'attività di «pionaggio» iniziò poco dopo - pare il 12° giorno di lavoro, cioè appena si era concluso l'affiancamento ad un collega esperto - dopo l'assunzione in banca dell'odierna imputata. Quest'ultima avrebbe verificato i movimenti anche di un conto che le parti lese avevano oscurato temendo accessi indesiderati da parte della parente appena assunta.
È stata una querela per diffamazione a dare indiretta conferma che i sospetti erano fondati. Il fascicolo per frasi pesanti postate su Facebook dalla donna venne archiviato, ma nell'ambito di quelle indagini venne acquisita - su sollecitazione della parte lesa - la documentazione bancaria da cui emerse l'abnorme numero di accessi. L'attività di monitoraggio dei conti sarebbe iniziato nel febbraio 2010 quando l'imputata ancora non viveva nella stessa casa con i parenti di cui controllava i movimenti bancari. Solo in seguito sorsero attriti per questioni di vicinato. Una situazione che portò alla rottura di ogni rapporto, anche se l'impiegata di banca ancora per parecchio tempo continuò a «sbirciare» - illegalmente ha stabilito il giudice - i conti.