Prelievi non autorizzati per 100mila euro
Condannate due sorelle per la truffa al fratello
Loro sostengono di avere utilizzato il denaro prelevato per conto del fratello. Una versione che non ha convinto il diretto interessato, che ha chiesto la restituzione di quelle somme, ma nemmeno i giudici. La Corte di Cassazione ha infatti posto la parola fine - almeno dal punto di vista giudiziario - sul contenzioso che vedeva contrapposti tre fratelli, dichiarando inammissibile il ricorso presentato dalle due donne, che pertanto dovranno mettere abbondantemente mano al portafoglio. Il conto è salatissimo: 70 mila euro da pagare in solido e, altri 31.500 euro a carico di una sola delle due sorelle.
La vicenda approdata sul tavolo dei giudici capitolini ruota attorno ad una serie di prelievi e ad una procura speciale per la gestione del rapporto bancario con un istituto del Primiero che l'uomo aveva conferito ad una delle sorelle. Al momento della revoca del mandato, infatti, sarebbero emersi - come ricostruito in sentenza - «prelievi non autorizzati» da parte della donna autorizzata ad operare sul conto, oltre ad un bonifico in favore dell'altra sorella, ritenuto privo di giustificazione. I giudici della corte d'appello di Trento, nel maggio 2017, avevano respinto il ricorso presentato dalle due donne, contro la decisione del Tribunale, che aveva accolto la domanda fatta dal fratello per ottenere la condanna delle due donne al pagamento di circa 100 mila euro (di cui 70 mila in solido). Le due donne, va detto, hanno sempre respinto le accuse, sostenendo di avere operato solo nell'interesse del famigliare. Una tesi che la corte d'appello aveva però ritenuto non provata, «mediante l'esibizione di quietanze o ricevute di pagamento» che dimostrassero l'impiego del denaro. Così come non sarebbero stati provati i pagamenti per conto del fratello.
Le due sorelle, come detto, hanno impugnato la condanna davanti ai giudici della Cassazione, sollevando cinque motivi nel ricorso. In primis lamentando il fatto che non si fosse tenuto conto della documentazione depositata, che proverebbe l'impiego delle somme di denaro «ad esclusivo interesse» del fratello. La difesa denunciava anche che la corte d'appello avesse sbagliato non ritenendo che le somme prelevate dal conto corrente di una delle donne fossero finite su quello dell'uomo e che, pertanto, i 70mila euro fossero stati in parte restituiti. Inoltre c'era stato un contenzioso su un prestito fatto al fratello di 20mila euro, credito che era stato però dichiarato prescritto dai giudici di secondo grado.
Sta di fatto che la tesi delle due sorelle non è stata accolta e tutti i motivi sollevati nel ricorso sono stati ritenuti inammissibili. Le due sorelle avevano contestato anche la condanna al pagamento delle spese di giudizio, ma anche questa questione è stata respinta. I giudici hanno dunque ritenuto il ricorso inammissibile e condannato anche le ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate in 5.600 euro.