L'autista senegalese dell'autobus voleva fare strage di bambini. Salvi per il piccolo egiziano
Non si è pentito di avere terrorizzato 51 bambini per oltre un’ora, salvati solo grazie a uno di loro che è riuscito a dare l’allarme e alla prontezza dei carabinieri. Anzi, Ousseynou Sy, ormai ex autista e «lupo solitario» che da mercoledì è rinchiuso in carcere dopo aver dirottato il bus che guidava e avergli dato fuoco mentre i ragazzini si lanciavano fuori dai finestrini, spera che il suo folle «segnale» sia arrivato a destinazione. «L’ho fatto per l’Africa, perchè gli africani restino in Africa e così non ci siano morti in mare», ha ripetuto a chi l’ha incontrato a San Vittore, aggiungendo che l’ultima tappa della sua delirante corsa sarebbe stata l’aeroporto di Linate: «Volevo prendere un aereo e tornare in Africa e usare i bambini come scudo».
In attesa dell’interrogatorio davanti al gip, oggi pomeriggio, l’avvocato Davide Lacchini ha annunciato che è pronto a chiedere una perizia psichiatrica, mentre il procuratore aggiunto Alberto Nobili e il pm Luca Poniz passano in rassegna il suo passato e i suoi contatti, anche quelli in Senegal, escludendo però collegamenti con l’Isis o gruppi jihadisti. Gli investigatori puntano ad acquisire integralmente e analizzare quel «video-manifesto», partito dal suo canale privato su YouTube, nel quale Sy aveva presentato quel «gesto eclatante». E stanno cercando di capire se ce ne siano altri in circolazione, oltre ad aver sequestrato materiale informatico nella sua casa a Crema.
«Questa cosa l’avevo in mente da un po’», ha ribadito il 47enne, confermando la premeditazione e come fattore «scatenante», come ha messo a verbale davanti ai pm, il caso della nave Mare Jonio, «la goccia che ha fatto traboccare il mio vaso». Per gli inquirenti, però, Sy mente quando sostiene che non voleva fare del male, che l’incendio è divampato in modo accidentale dopo l’ultimo speronamento di un’auto dei carabinieri e che il suo fine era andarsene in Senegal con un aereo. Non aveva un biglietto, non aveva niente con sè. I bambini, invece, lo ricordano bene con quell’accendino in mano, lo brandiva «minacciando di darci fuoco». E le fiamme in quel mezzo che lui aveva cosparso di benzina si sono sprigionate proprio mentre i primi ragazzi riuscivano a saltare fuori. Un rogo da lui appiccato, secondo le indagini, proprio in quel momento. Nella carcassa del pullman è stato ritrovato anche il suo coltello bruciacchiato.
Strage (che nell’ipotesi senza vittime prevede una pena massima di 15 anni) con l’aggravante della finalità terroristica, sequestro di persona, resistenza e incendio, le accuse contestate nella richiesta di convalida dell’arresto e di custodia in carcere. Per quell’uomo all’apparenza tranquillo, cittadino italiano da 15 anni (divorziato e con due figli), che continuava a guidare i bus della Autoguidovie, malgrado due precedenti. Aveva già mentito all’azienda più di una decina d’anni fa quando gli era stata sospesa la patente per guida in stato d’ebbrezza e lui si era dato malato, mentre nell’ottobre scorso era stato condannato a un anno per molestie ad una 17enne a bordo di un autobus nove anni fa. Era sempre lui il conducente. E il perchè fosse ancora alla guida di un bus con degli studenti è la domanda che in queste ore si pongono in tanti.
Sull’altro fonte - quello dei ragazzi - emerge intanto l’eroismo di un bambino di origini straniere, che ha dato l’allarme con il telefono ed ha salvato probabilmente tutti i suoi compagni: non è cittadino italiano, ma da ieri si moltiplicano gli appelli affinché la cittadinanza gli venga attribuita direttamente per «alti meriti» dal Quirinale.
«Scusi signore chiamate le mamme, ci stanno rapendo in un pullman per gli studenti, ci minacciano con il coltello. Subito, subito, veloce. Il prof è davanti, è in ostaggio», dice il ragazzino.
Il carabiniere prima indirizza subito una pattuglia sul posto, poi chiede altre informazioni. «Chi vi sta tenendo in ostaggio?».
Ragazzo: «Il guidatore, ha un coltello in mano, veloce, c’è per terra della benzina, non respiriamo più».
Carabiniere: «Mi servono delle altre indicazioni».
Ragazzo: «Certo, certo signore però la prego chiama qualcuno. Non è un film questo. Non possiamo perdere la vita in 50» Carabiniere: «Sì, sì stai tranquillo».
È una telefonata concitata, il ragazzo che è sul bus sequestrato dal 46enne senegalese Ousseynou Sy ha la voce affannata dall’emozione ma non si interrompe mai, anzi, fornisce precise indicazioni: «Ecco ora sta uscendo verso la campagna...».
Al telefono uno dei due ragazzini eroi che hanno dato l’allarme chiamando il centralino dei carabinieri dall’interno dell’autobus. Dall’altro capo del telefono c’era Maurizio Atzori, che dalla centrale di Lodi ha capito subito che non si trattava di uno scherzo. «Quei ragazzini sono stati incredibili - ha raccontato all’ANSA - Uno in particolare ha mantenuto la calma e mi ha fornito tutte le indicazioni per individuare il loro autobus. Hanno avuto grande sangue freddo».
Il ragazzino straniero, Ramy Shehata, lo ha incontrato ieri mattina alla caserma di San Donato Milanese. Si sono stretti la mano ma al 13enne di origini egiziane stavolta è mancato il coraggio per confessargli qual è il suo sogno: «Da grande vorrei fare il carabiniere. Sono piccolo ma ho già in mente da tempo cosa vorrei fare da adulto. L’idea di fare il carabiniere ce l’ho da prima che succedesse tutto e questa vicenda ha rafforzato ancora di più il mio desiderio. In alternativa, se non dovessi farcela, mi piacerebbe fare il farmacista». Di lui colpiscono la maturità e l’altruismo: «Ho pensato solo ai miei compagni, volevo salvarli, ho cercato di tranquillizzarli, non mi importava cosa poteva succedere a me».
Il momento più difficile? «Quando ha messo il coltello addosso ad un nostro compagno, già solo vedere il coltello ci ha fatto paura. Poi ci ha spaventati gettando la benzina per terra. Io ho temuto il peggio proprio quando sono arrivati i carabinieri perchè lui era molto nervoso, aveva in mano l’accendino e ci minacciava dicendoci che era pronto ad accendere il fuoco. Ma i carabinieri sono arrivati al momento giusto e quando hanno spaccato i vetri abbiamo capito di essere salvi». Timido ed educato, resta sempre accanto al padre Khalid, che approfitta dei microfoni dei giornalisti per esprimere anche la sua speranza: «Mio figlio ha fatto il suo dovere, sono molto fiero di lui. Ora mi piacerebbe se ottenesse la cittadinanza, spero che questo gesto possa servire per garantirgli un pò di sicurezza nel Paese in cui è nato. Amiamo l’Italia, sono arrivato nel 2001 e il nostro futuro è qui».
In pochi minuti le sue parole arrivano a Roma e nel pomeriggio vengono accolte dal vicepremier Luigi Di Maio: «Ramy ha messo a rischio la propria vita per salvare quella dei suoi compagni. È la cittadinanza per meriti speciali che si può conferire quando ricorre un eccezionale interesse dello Stato.
Sentirò personalmente il presidente del Consiglio in questo senso». Il Viminale è pronto a velocizzare al massimo le procedure per riconoscere la cittadinanza. «L’auspicio - dicono al ministero dell’Interno - è attribuire la cittadinanza a Ramy e toglierla al conducente del bus».
Khalid Shehata ringrazia: «È una bellissima notizia, sono contentissimo. Se avessi la possibilità vorrei incontrare il ministro Di Maio, lo ringrazierei tantissimo per quello che ha fatto per noi».