Causa di lavoro tra vicini di casa Lei accusa: facevo la badante Lui: mi comprava il pane per favore
Un pensionato 75enne di Trento è stato citato in giudizio dalla vicina di casa. Quelle che l'uomo, invalido per problemi di deambulazione, riteneva fossero delle cortesie, disinteressate - come andare a comprare il pane e il latte - ora sono gli ingredienti di una particolare causa di lavoro.
La vicina chiede infatti al Tribunale che sia riconosciuto il rapporto di lavoro subordinato per oltre un anno, con il relativo pagamento da parte del pensionato di emolumenti, ferie non godute, tredicesima mensilità per circa 6.000 euro. Una richiesta,arrivata per raccomandata a cui il pensionato, difeso dall'avvocato Claudio Tasin, si oppone. Sarà il giudice a chiarire i contorni di una vicenda che le parti in causa ricostruiscono in modo radicalmente differente.
La vicina di casa sostiene che non di cortesie si trattava, ma di una vera e propria prestazione lavorativa in favore del pensionato.
La donna sottolinea di aver lavorato per 16 mesi tra il 2015 e il 2016, per due ore con orario 9-11, per sette giorni alla settimana. Un impegno gravoso che andava ben al di là di qualche cortesia in favore del vicino invalido. La donna, difesa dall'avvocato Giacomo Gianolla, sostiene di essere stata di fatto una dipendente pagata in nero 200 euro al mese. La vicina dice di aver fatto attività di domestica, anzi di factotum: pulizia dell'appartamento e delle stoviglie, lavaggio e stiratura di capi di vestiario, cura delle piante e talvolta si premurava anche di preparare il pranzo. Insomma, la vicina di casa sostiene di essere stata una sorta di governante in servizio tutti i giorni della settimana.
Il rapporto si sarebbe concluso all'improvviso alla fine di agosto del 2016, quando, inaspettatamente, il pensionato avrebbe avvisato la donna che dal giorno seguente non doveva più presentarsi per asserite mancanze rispetto alle mansioni che le erano state affidate. Di fatto dunque la colf in nero sarebbe stata "licenziata" in tronco. E così, a tre anni di distanza, la donna si è decisa a promuovere una causa di lavoro nei confronti del vicino chiedendo il pagamento pieno per le 60 ore mensili lavorate nell'arco di 16 mesi in qualità di collaboratrice domestica, livello B.
Il conto è salato: 2.507 euro per retribuzione diretta, 505 per la tredicesima, 505 per ferie non godute, 237 per festività non godute, 1.616 per aver lavorato senza godere del riposo settimanale.
Fin qui tutto normale: le collaboratrici domestiche hanno diritto ad essere pagate fino all'ultimo euro e di essere inquadrate con regolare contratto di lavoro.
Il pensionato però dà una versione dei fatti molto diversa. Nega di aver pagato in nero la colf, nega che questa lavorasse per lui tutti i giorni, nega che facesse pulizie a casa sua. Il 75enne sostiene che, viste le sue difficoltà di movimento, la vicina si era offerta occasionalmente di acquistare il pane e il latte fresco per il pensionato.
Attività che lui aveva percepito essere una cortesia fatta in modo disinteressato. L'uomo, assistito dall'avvocato Claudio Tasin, è ben deciso a resistere alle richieste avanzate dalla vicina. Il pensionato sostiene che un aiuto nei lavori di casa lo davano le sue figlie o altri familiari. La necessità era comunque ridotta perché l'uomo avrebbe abitato in modo saltuario nell'appartamentino di Trento dove invece la vicina pretende di aver lavorato per 7 giorni su 7. Sarà ora il Tribunale a stabilire se si trattava di lavoro in nero mal pagato o di cortesie (con scortesia finale sotto forma di causa di lavoro) tra vicini di casa.