Missioni, si è spento a Pretoria monsignor Giuseppe Sandri
Lutto nella Chiesa trentina e nella famiglia missionaria comboniana per la prematura scomparsa di monsignor Giuseppe Sandri, nativo di Faedo, vescovo di Witbank in Sudafrica dal 2010. Aveva 72 anni ed era malato da qualche mese.
Ѐ deceduto questa mattina in ospedale a Pretoria e la notizia è subito rimbalzata in Trentino ai familiari, ai confratelli comboniani nella sede di via Missioni Africane, al vescovo Lauro e negli uffici diocesani di pastorale missionaria.
Padre Giuseppe era nato a Faedo il 26 agosto 1946. Nell’agosto del 1971 la professione solenne con i missionari comboniani, prima di intraprendere gli studi teologici negli Stati Uniti a Cincinnati (USA), conseguendo un Master’s Degree in teologia nel 1971. Venne ordinato sacerdote negli Stati Uniti il 27 maggio 1972, iniziando da subito la missione in Sudafrica. Dal 1999 al 2007 venne richiamato a Roma come Segretario generale dei missionari comboniani. Nel 2008 il ritorno in Sudafrica come Superiore provinciale della famiglia comboniana.
L’anno dopo, nel novembre 2009, la nomina a vescovo e il 31 gennaio 2010 la consacrazione episcopale a Lydenburg, nella Diocesi di Witbank. Alla celebrazione partecipò anche una delegazione della Diocesi di Trento, guidata dall’allora vicario monsignor Lauro Tisi:
«Furono giornate davvero intense, nelle quali – ricorda oggi il vescovo Lauro – sperimentammo una grande comunione tra le nostre Chiese. Esprimo anche a nome della nostra comunità un ringraziamento al vescovo Giuseppe per l’amabilità, l’umanità e la sua capacità di pregare. Tratti che ne hanno accompagnato l’amore viscerale per il Sudafrica e la sua gente, con la quale aveva condiviso ogni piccolo passo del percorso di liberazione dall’apartheid e di riconciliazione sociale. Una strada tuttora in salita per la libertà, la parità di diritti e il riscatto sociale, nella quale, grazie anche al vescovo Giuseppe, la comunità cristiana, pur minoritaria, ha acquisito un ruolo di fondamentale importanza, sostenuta pure dal Trentino».
Ancora non è stata stabilita la data dei funerali di monsignor Sandri che sarà sepolto in Sudafrica. A Faedo si terrà nei prossimi giorni una celebrazione in suffragio presieduta dall’arcivescovo Lauro.
L’ultima visita in Trentino di monsignor Sandri nel maggio 2018. Nel giugno 2015 venne intervistato dai media diocesani insieme al nipote che coordina l’attività dell’associazione Sebenzeni a sostegno della missione nella diocesi di Witbank. Ecco il testo dell’intervista, pubblicata sul settimanale Vita Trentina:
Nelle fatiche del Sudafrica
«Sono come tutti i bambini. Solo che quando giocano a calcio, dopo venti minuti sono stanchi, non ce la fanno proprio più». Il battesimo di una nipotina vale una toccata e fuga in terra natale. Ma negli occhi, sempre impressi, affiorano i bambini malati di Aids del sanatorio di St. John, a Barbeton: «Amo il mio Trentino, ma ormai il Sudafrica mi ha preso il cuore!», sembra quasi giustificarsi. Nei pochi giorni a Faedo, ai primi di maggio, per Giuseppe Sandri, vescovo comboniano di Witbank, c’è il tempo solo per visitare i parenti stretti e poco altro. Come una scappata, quella sì, al Centro missionario e qui al terzo piano di radio Trentino inBlu. Accompagnato dal nipote Federico, presidente dell’Associazione Sebenzeni («che in lingua Zulu significa lavoriamo insieme», premette il giovane, già due volte in Sudafrica per sostenere l’attività dello zio) monsignor Sandri si mostra a suo agio al microfono. Pacato, come lo stile della missione in cui è attivo dal 1972, con una breve parentesi romana a metà anni Novanta, prima di essere scelto vescovo nel 2010.
Mons. Sandri, le va di riavvolgere la memoria e tornare a pensare alla rivoluzione del 1994, fine dell’apartheid?
Era molto difficile per noi lavorare. Servivano permessi ogni sei mesi per andare nelle zone dei neri. Per rendere un’idea di quotidianità: nei bagni pubblici il gabinetto era solo per i bianchi, non c’era per i neri. Nei negozi c’erano reparti separati. Per noi missionari bianchi in mezzo ai neri era tristissimo, ma una volta che ti conoscevano ho sempre trovato gente così accogliente, così buona, aperta al messaggio evangelico.
E dopo quel voto del 27 aprile ‘94, festa nazionale?
Furono fenomenali le giornate dopo le elezioni: c’era una paura diffusa in tutto il Sudafrica e anche tra noi missionari per la possibile reazione dei gruppi nazionalistici che manifestavano con armi. Invece prevalse la gioia della gente per Mandela presidente e la paura scomparve.
Oggi, vent’anni dopo?
Il cambiamento è stato radicale, ovviamente. Ma il razzismo non è scomparso, perché il sistema cambia ma il cuore non è facile da cambiare. La situazione è senz’altro migliorata, con un progresso che dà ottimismo. La gente sta molto meglio di una volta, anche se il 20% della popolazione è molto più povera di prima. Difficile comprenderne le cause. La crisi è stata trasversale, sta pesando il calo di richieste di materie prime di cui il Sudafrica è ricco.
Questa forbice sociale quali conseguenze produce?
In Sudafrica l’industria che cresce sempre è quella della sicurezza: guardie private, cancelli speciali, armi. La sanità pubblica è un disastro e gli ospedali privati sono l’unica soluzione per evitare problemi nelle cure. Anche per la scuola stesso problema, con un rischio di squilibrio sociale molto forte. Mi preoccupa anche la crescente violenza sulle donne. E le lotte tra neri sudafricani e neri immigrati che hanno prodotto anche recentemente gravi scontri con molte vittime.
La classe politica attuale?
Nelson Mandela è stato una personalità eccezionale: se non abbiamo avuto guerre civili è merito suo. I suoi discendenti nell’ANC (African National Congress) deludono per il forte tasso di corruzione e nepotismo.
La Chiesa cattolica quale dimensione e quale ruolo si ritaglia?
Nella mia Diocesi siamo al 3% sul totale della popolazione, il 6% in tutto il Sudafrica. C’è stata crescita enorme di chiese locali, costole del cattolicesimo e delle chiese metodiste, ma legate a leaders locali e a gestioni famigliari. Il nostro lavoro è rilanciare il Vangelo di Gesù Cristo che non serve per accontentare la gente, ma che la sfida. E sfida noi a cercare di esser meno di parola ma più di azione, testimoni di amore e di riconciliazione. Per una società più giusta, meno violenta.
Federico, cosa state facendo con Sebenzeni, attiva dal 2010, sostenuta dalla Provincia?
Stiamo finanziando un centro di cura, il St. John’s Care Center che accoglie decine di bambini orfani, malati di Aids, con la supervisione della Diocesi dello zio vescovo. Obiettivo: ampliare l’attività sanitaria con una formazione professionale personalizzata.
E a noi esigenti (e spesso incontentabili trentini), cosa dire, infine, vescovo Giuseppe?
Come si fa a lamentarsi? Avete, abbiamo, tutto il meglio. Eppure siamo scontenti. Mi chiedo: Dio ha ancora la centralità?