Palazzo passa da 7 a 20 metri Battaglia legale sulla vista
Da 7 metri e 70 centimetri a 19 metri e 75 centimetri. È certo un bel “balzo” in altezza quello autorizzato dal Comune di Trento con un permesso di costruire rilasciato nel maggio scorso: al posto di una casetta gialla, con magazzino, al civico 3 di via Grazioli dovrebbe sorgere un palazzo a sei piani con attico dalla vista mozzafiato. Il condizionale, però, è d’obbligo perché il progetto viene contestato da un vicino di casa che verrebbe di fatto “oscurato” dall’imponente palazzina.
Progetto a cui il Comune avrebbe dato il via libera senza neppure accorgersi che la nuova costruzione andrebbe ad invadere qualche metro del parco monumentale (e soprattutto pubblico) di Piazza Venezia. Un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è stato depositato nei giorni scorsi dall’avvocato Maria Cristina Osele per contro del vicino di casa contro Comune, Provincia, Soprintendenza per i beni culturali, proprietarie della particella edificiale e contro la società immobiliare che ha chiesto il permesso per lavori di “ristrutturazione edilizia con demoricostruzione” (cioè si rade al suolo e si ricostruisce da zero).
La vicenda è complessa da un punto di vista amministrativo, ma anche urbanistico, come dimostra l’articolato ricorso dell’avvocato Osele che solleva anche una questione incidentale di costituzionalità. Naturalmente spetta ora ai giudici esprimersi sulla legittimità o meno di quel permesso di costruire. Sin d’ora, però, ci sono aspetti di sicuro interesse pubblico: a chiunque potrebbe accadere di veder nascere un palazzo invadente davanti alla porta di casa.
È la posizione in cui si trova il ricorrente che difende un bene che incide sul valore del suo immobile ma anche sulla qualità della vita di tutta la famiglia: dalla terrazza di 150 metri quadri ora la vista spazia verso le Dolomiti, la Paganella e gli alberi monumentali del parco di Piazza Venezia. Un bene unico per cui è stata avviata anche una causa civile per “usucapione di panorama”. Tuttavia nessuno può impedire ad un vicino di casa di costruire sul suo terreno, anche se questo può dare fastidio al confinante che vede pregiudicata la vista dalle sue finestre.
E infatti il ricorso non contesta la legittimità di demolire e ricostruire la casetta gialla di via Grazioli 3, ma una serie di scelte progettuali che farebbe crescere oltre misura la palazzina. La contestazione principale, ma non unica, riguarda l’altezza. Come è possibile passare da 7 metri e 70 a quasi 20? Il regolamento edilizio, in una zona già satura come via Grazioli, consente di costruire o ricostruire senza troppi vincoli edifici fino a 16,5 metri di altezza. In questo caso, però, si arriva a 19,70 metri, che significa quasi un piano e mezzo in più, proprio il volume che finirebbe con l’oscurare il vicino.
A questa altezza si arriva grazie alla legge urbanistica provinciale che consente, in caso di costruzioni che soddisfano i parametri dell’edilizia sostenibile, lo scomputo delle solette. Così il progetto contestato ha recuperato un metro. Altri due metri circa sono stati ottenuti grazie al bonus volumetrico: sempre la stessa legge urbanistica provinciale consente un recupero in altezza a fronte di progetti che prevedano ampi spazi comuni. E questo ha permesso di salire di altri due metri ad una quota finale di 19,70 metri. Altezza che cancellerebbe per sempre la vista verso la Paganella dal terrazzo del vicino di casa. La norma però viene contestata perché non pone limiti allo sviluppo in altezza al punto che, in linea teorica, si potrebbe arrivare a costruire in zone già sature edifici alti 30-40 metri, del tutto fuori misura visto che Trento non è Manhattan (e su questo si chiede di sollevare questione di costituzionalità della norma provinciale).
Nel ricorso si contestano numerosi, ulteriori profili di presunta illegittimità come il mancato rispetto delle distanze trattandosi di nuova costruzione. Ma si tratta di questioni amministrative e urbanistiche non di interesse generale. Sorprende invece l’atteggiamento del Comune che, si rileva nel ricorso al Presidente della Repubblica, non si sarebbe accorto che il progetto approvato andrebbe ad invadere la proprietà pubblica (con l’intercapedine ma anche con opere fuori terra) là dove confina con il parco di Piazza Venezia. Anche alcuni balconi della progettata palazzina andrebbero a sbordare sul parco, ostacolo che il Comune prevede di superare con un un futuro, ipotetico contratto di concessione di 29 anni. E poi cosa accadrà? I balconi, che tra 29 anni si presume siano ancora al loro posto con vista sul parco, saranno fatte rientrare per occupazione di suolo pubblico?