Papà e mamma Renzi ed altri 17 indagati sugli «affari di famiglia»
Cooperative usate per aumentare il volume di affari della società di famiglia, la «Eventi 6», e poi portate dolosamente al fallimento omettendo di pagare imposte e oneri previdenziali. È quanto contestato a Tiziano Renzi e Laura Bovoli dalla procura di Firenze, che oggi ha notificato ai genitori dell’ex premier e ora leader di «Italia Viva», Matteo Renzi, l’avviso di chiusura indagini dell’inchiesta che li vede accusati di bancarotta fraudolenta e dichiarazione fraudolenta per utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Insieme a loro la procura si accingerebbe a chiedere il rinvio a giudizio di altri 17 indagati, fra legali rappresentanti delle coop di servizi volantinaggio e pubblicitari, membri dei cda e imprenditori. C’è anche Mariano Massone che il febbraio scorso fu messo ai domiciliari per un periodo, così come arrestati furono gli stessi Tiziano Renzi e Laura Bovoli.
L’inchiesta, coordinata dal procuratore Giuseppe Creazzo e dall’aggiunto Luca Turco, avrebbe scoperchiato un modus operandi usato dai Renzi per far sì che la loro società, la «Eventi 6» che dal 2014 ha visto crescere il volume d’affari da uno a 7 milioni di euro, potesse operare avendo sempre a disposizione la manodopera necessaria senza gravami di oneri previdenziali ed erariali. Oneri che invece finivano tutti nelle cooperative da loro create, i cui amministratori di fatto, dicono gli inquirenti, erano sempre Tiziano Renzi e Laura Bovoli.
La prima a fallire in ordine di tempo è stata la Delivery, dichiarata tale nel giugno del 2015. Il crac, hanno ricostruito gli investigatori delle Fiamme gialle, fu provocato dall’omissione sistematica del pagamento di oneri previdenziali e imposte. A chiederne il fallimento furono alcuni dipendenti quando il controllo era passato a Mariano Massone, da tempo in affari con Tiziano Renzi, e che già aveva acquisito, nel 2010, la Chil post, la vecchia società della famiglia Renzi fallita nel 2013. Poi è stata la volta della Europe Service, e infine di Marmodiv, l’ultima a essere dichiarata fallita, su richiesta della procura fiorentina, con sentenza del tribunale del 20 marzo 2019. Tiziano Renzi e Laura Bovoli, anche per Marmodiv ritenuti amministratori di fatto, secondo la procura avrebbero contribuito a causare il dissesto della società facendo figurare nel bilancio di esercizio 2017 crediti per fatture da emettere, in realtà inesistenti, per un importo di oltre 370mila euro, in modo da mascherare le perdite. Per questo, oltre ai genitori dell’ex premier, sono indagati il presidente del cda Marmodiv Giuseppe Mincuzzi e Daniele Giorgio, amministratore di fatto della coop dal 15 marzo 2018.
Secondo quanto accertato dalla procura, durante la procedura pre-fallimentare Tiziano Renzi, con l’aiuto di Mariano Massone e Giuseppe Mincuzzi, avrebbe stipulato un contratto di cessione di ramo d’azienda di Marmodiv alla società Dmp Italia - il cui titolare Massimiliano Di Palma figura tra gli indagati - al quale però non fu mai dato seguito, ritardando però in questo modo la dichiarazione di fallimento della società. Sarebbero decine le fatture per operazioni inesistenti emesse verso Marmodiv facendo figurare costi fittizi e per permettere a questa coop di evadere imposte e Iva. La Marmodiv inoltre sarebbe stata usata per fare fatture gonfiate per operazioni inesistenti per un totale di oltre 200mila euro nei confronti di Eventi 6. Tra i 19 indagati persone molto vicine ai Renzi come l’avvocato Luca Mirco e Roberto Bargilli detto Billy che fu l’autista di Matteo Renzi alle primarie per la segreteria Pd.
Intanto per i difensori di Tiziano Renzi e Laura Bovoli, gli avvocati Federico Bagattini e Lorenzo Pellegrini, la chiusura indagini è solo «un atto atteso»