L'amaro destino di mio marito Un malato si merita rispetto
La lettera al direttore
L’amaro destino di mio marito
Gentile direttore,
ho accompagnato mio marito in 15 mesi di malattia, dalla diagnosi a fine giugno 2018, l’ho accompagnato ad ogni visita, ogni esame, ogni chemioterapia, ogni ricovero che fossero a Trento o in giro per l’Italia. L’ho accompagnato e ogni volta ci prendevamo per mano, stretti stretti e gli dicevo «sempre al tuo fianco».
L’ho accompagnato lasciando anche un po’ in disparte il nostro piccolo bimbo di 3 anni, che lasciavo ad amici e baby-sitter, cercando comunque di fargli vivere i momenti in cui il papà stava meglio.
L’ho accompagnato anche nel momento finale promettendogli che avrei fatto di tutto per farlo stare innanzitutto sereno e soprattutto senza dolore, nel momento più difficile, restandogli vicino giorno e notte all’hospice, fino all’ultimo respiro.
Mio marito è volato in cielo lo scorso 23 settembre a 47 anni.
Chi ci ha accompagnato in questi mesi, oltre alla mia angoscia per un tumore diagnosticato già all’ultimo stadio, alla mia disperazione per le cure che non funzionavano, alla nostra preoccupazione per un futuro incerto, è stato il sorriso di mio marito.
Non ha mai perso né il sorriso nell’affrontare la malattia né la fiducia nei medici.
Aveva solo rabbia quando pensava al dolore che provavamo io e nostro figlio.
Mio marito aveva bisogno di essere accompagnato, aveva bisogno di una persona che lo aiutasse a seguire una dieta rigidissima (e mio marito non cucinava), aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse quando stava male e doveva correre in bagno, aveva bisogno di aiuto nel regolarsi con le infinite pastiglie e farmaci che doveva prendere, aveva bisogno di aiuto per fare punture o attaccare e staccare flebo.
Io c’ero insieme alle infermiere delle cure palliative.
Lla burocrazia ci ha accompagnato opprimendoci e qui mio marito perdeva il suo sorriso.
Mio marito aveva tanta rabbia quando doveva scontrarsi con una macchina burocratica opprimente, quella stessa macchina che in due richieste e due ricorsi gli ha negato di avere diritto ad un assegno di accompagnamento, nonostante la situazione stesse precipitando... nonostante il suo licenziamento dal lavoro, concordato con l’azienda per poter garantire un minimo di pensione di reversibilità a me e nostro figlio.
A una settimana dal decesso ho ricevuto una raccomandata in cui l’APSS diceva che finalmente mio marito aveva diritto all’assegno di accompagnamento.
Mi permetto di dire, troppo tardi…. però dico anche «finalmente ci viene riconosciuto qualcosa!».
Ma di nuovo tanta rabbia.. verifico con il patronato e mi dicono che non potremo avere alcun arretrato perché gli è stato riconosciuto il diritto solo per alcuni giorni nel mese di settembre e la richiesta dovrebbe essere inoltrata dal mese di ottobre ma è deceduto prima.
Credo che un malato oltre a meritare le cure migliori, e noi le abbiamo cercate ovunque, a meritarsi conforto e amore, ed ho fatto di tutto, si meriti rispetto.
Un malato mantiene sempre una propria dignità e sentirsi negato quello che ritiene essere un proprio diritto fa male.
Cinzia Birolini