«L'accoglienza trentina è un esempio da difendere»
«Prima i trentini? Per me ha lo stesso significato di sempre. Vuol dire che i trentini sono i primi ad arrivare, quando c’è da aiutare».
Ma “Prima i trentini” ora è il manifesto politico della Lega.
«Io spero invece che anche in Trentino le persone continueranno a pensare che saranno sempre più felici nell’aiutare gli altri».
Mario Marazziti, 67 anni, storico portavoce della Comunità di Sant’Egidio, ha compiuto un lungo viaggio nell’«Italia che non ha paura». Dal Piave a Palermo, con una deviazione agrodolce in Trentino, è andato a toccare con mano le migliaia di persone che hanno deciso di impegnarsi nell’accoglienza degli immigrati, con una particolare attenzione all’esperienza dei corridoi umanitari. Marazziti ha messo tutto nero su bianco nel libro «Porte aperte. Viaggio nell’Italia che non ha paura» (Editore Piemme, 382 pagine), che oggi, venerdì 8 novembre, verrà presentato alla Libreria Ancora di via Santa Croce, a Trento (inizio alle 17).
Marazziti, che Italia è emersa dalla sua inchiesta?
Come dice il titolo, ho compiuto un viaggio nell’Italia che non ha paura. Sono andato alla ricerca di aria buona, convinto che in Italia di aria buona ce ne sia tanta. Non credevo a un Paese che ha perso pietas ed empatia verso chi soffre.
Quella pietas non è andata persa? La politica ci fa una narrazione diversa.
Guardare un bambino che soffre su un barcone e dire che la colpa di questa situazione è di chi l’ha mandato in mare vuol dire stravolgere la radice cristiana e umanista del nostro Paese. L’Italia è conosciuta per la dolcezza della vita.
E che Italia ha trovato, nella sua ricerca?
Ho trovato gli italiani. L’esperienza dei corridoi umanitari rappresenta una grande occasione per ritrovare la nostra anima. Ho conosciuto persone motivate, dai pensionati ai quarantenni un po’ inquieti, da giovani donne a coppie sposate da quarant’anni e abituate a viaggiare all’estero. E ho verificato i tanti vantaggi dei corridoi umanitari: oltre a chi si impegna in prima persona nell’accoglienza si attiva una bella rete di contatti, da chi aiuta a iscrivere i bambini a scuola a chi organizza i corsi di italiano. E ho visto rinascere comunità, attorno a questi progetti.
Lei dice che di fatto l’accoglienza e l’umanesimo sono caratteristiche tipiche degli italiani. Ma cosa è successo a questo Paese, così incattivito verso gli altri?
Io credo che ci sia prima di tutto un problema gigantesco di narrazione, amplificata dall’alto. L’immigrazione è diventata la causa principale dei nostri problemi, ma non è così. Paghiamo la sovraesposizione dei cosiddetti leader e l’immensa crescita di messaggi senza la verifica di dati reali. La paura è diventata fondamentale, come se l’arrivo di 100 persone su una nave di disperati potesse condizionare i nostri posti di lavoro o lo sviluppo di un Paese, che invece vive un vero e proprio inverno demografico.
Più volte parla nel suo libro della felicità provata dai volontari e dalle persone che accolgono i profughi.
Certo, perché chi pensa solo a sè è triste. Ma una delle malattie del contemporaneo è l’individualismo, che tocca anche i cristiani: per fortuna l’esempio di papa Francesco aiuta molto.
Lei dedica un capitolo del suo libro al Trentino.
Sì. E mi è sembrato di ritrovare il Trentino delle origini, quello delle cooperative e delle valli che si assumono le responsabilità.
Però sottolinea con preoccupazione tutte le decisioni del governo provinciale guidato da Maurizio Fugatti sull’immigrazione: «Le politiche di accoglienza diventano un percorso ad ostacoli», scrive.
Mi auguro che il sistema non venga smantellato. C’è un modello che continua a funzionare e ho visto tante energie importanti. L’arcivescovo Lauro Tisi in prima persone dà l’esempio e questo rincuora chi si chiede: come facciamo a restare umani, a restare trentini rinnovando l’antica tradizione? Guardate che questa è la domanda di fondo dell’Europa.
In che senso?
La scommessa vera è sulla capacità di proseguire nel solco della democrazia umanistica. Senza inclusione non c’è futuro. Ricordiamoci che se rinuncia all’immigrazione e all’integrazione l’Italia è già nel passato: senza la presenza degli immigrati, ad esempio, il sistema pensionistico non è più sostenibile.
L’Europa non trova un accordo sulla redistribuzione degli immigrati. E in questo modo dà fiato a chi sostiene che l’Italia è stata lasciata sola.
L’Europa ha la responsabilità della lentezza. Ma il Parlamento europeo ha approvato una soluzione intelligente, mentre gli Stati membri tengono tutto bloccato. La responsabilità della mancata redistribuzione è dei governi sovranisti europei, che sono alleati dei sovranisti italiani.
Con i corridoi umanitari tante famiglie vengono strappate dalla guerra e dalla fame e quando arrivano in Italia c’è una comunità che si farico delle loro esigenze.
L’esperienza dimostra che in un anno e mezzo dall’arrivo dei profughi si giunge all’autonomia e all’integrazione. Far venire in maniera regolare interi nuclei familiari, con storie verificate prima della loro partenza, comporta solo vantaggi. Se ci sono persone stabilizzate e integrate in Italia è meglio per tutti.
Vanno aumentate le quote annuali di arrivi in Italia?
Sì. Le quote sono state praticamente azzerate. E se non ci sono canali legali è chiaro che molti cercano quelli illegali. L’Italia non si deve spaventare: dall’immigrazione regolare può trarre grandi vantaggi.
In Veneto, nelle aree a più alto tasso d’impresa, perdere lavoratori immigrati è un brutto colpo. Le zone dei Benetton, dei De Longhi, dei Stefanel e dei Moretti Polegato si contendono quella forza lavoro.
Infatti. In Veneto tanti immigrati con permessi di soggiorno, lavoratori regolari e qualificati finiscono in altri paesi. Molti sono spaventati dal clima che si è venuto a creare, sono preoccupati per il futuro dei loro figli e vanno via: perdiamo gli immigrati più stabilizzati di tutti, sui quali abbiamo investito, a vantaggio di altri paesi.
Vince la speranza, nel suo libro?
Io dico di sì. Il libro racconta alcuni esempi positivi e fa venire voglia di seguirli. Certo, ognuno poi vota chi vuole, anche se io credo che il cattivismo alla fine non vincerà. Ma nessuno che ha iniziato un progetto di accoglienza immaginava la bellezza delle esperienze che ha vissuto.