Bressan: «I miei 80 anni a servire le persone»
L'intervista all'arcivescovo di Trento dal 1999 al 2016
Monsignor Bressan, lei domani compie 80 anni. Se guarda indietro cosa vede?
«Ringrazio il Signore che mi ha concesso una vita in pienezza. Ho potuto mettere in pratica il mio ideale - servire le persone - in campi che non mi aspettavo di percorrere. Ho raggiunto dei risultati accompagnato dalla preghiera, con la collaborazione di tante persone. Ho avuto una vita molto varia, non mi aspettavo certo di diventare vescovo! ma ho sempre obbedito».
L'appartamento è appollaiato in cima alla casa dietro la chiesetta di Santa Chiara. È appoggiato alla chiesa, praticamente. E non ci sono due stanze sullo stesso livello, così per passare dall'una all'altra c'è sempre qualche gradino. È tutto un saliscendi. Luigi Bressan, arcivescovo di Trento dal 1999 al 2016, e oggi "emerito", è in formissima. E ti credo! Oggetti dalle mille forme alle pareti e sui tavoli: maschere africane, statuette, quadri. E un mare di libri.
Lei ha girato il mondo, monsignore.
«Non lo avrei mai pensato».
Cosa pensava?
«Ero portato per la matematica, la teologia, la filosofia speculativa, l'insegnamento».
Avrebbe voluto insegnare?
«Me lo avevano proposto, ma non mi piace ripetere le cose dette l'anno precedente».
Ricorda il giorno in cui decise di farsi prete?
«Avevo 17 anni. Ero al penultimo anno di liceo».
Credevamo avesse deciso prima.
«Alle medie era normale lasciare il seminario. Papà lo ripeteva sempre: quando vuoi torna a casa».
Ma lei non tornò.
«Ero soddisfatto quando aiutavo le persone. Allora mi chiesi: perché non potresti essere un moltiplicatore di servizio? Un ispiratore di persone che servono gli altri».
Così fu.
«Molti anni dopo, senza pensare a queste riflessioni liceali, avrei scelto la parola "servire" come motto vescovile».
La nomina ad arcivescovo di Trento fu uno choc. Lei stesso la definì così.
«Lo choc non fu lasciare la Thailandia: sapevo che prima o poi sarebbe successo. Ma avevo sentito che avevano chiesto lo disponibilità a un prete trentino e credevo avessero altri progetti su di me. Invece mi chiamarono... Papa Giovanni Paolo ll desiderava così; insistette, anche».
E lei?
«Chiesi qualche giorno per riflettere. Ero a Bangkok. Non avevo mai fatto neppure il parroco!».
Un giorno chiedemmo a un prete: cos'è per lei la cosa più difficile? La castità, ci saremmo aspettati. Rispose l'obbedienza, invece.
«Per me non è stato difficile obbedire. Ho accettato questo orientamento fin da giovane. Ho trovato superiori ragionevoli che mi hanno dato fiducia. E forse, anche, mi sono trovato ad obbedire poco».
Come!
«Nelle nunziature in giro per il mondo mi sono trovato spesso senza capo missione. Dovevo farlo io, il capo».
Capito. Ci parli del mondo che ha visto e vissuto.
«Dal 1971 al 1999 sono stato nel servizio diplomatico della Santa Sede, come Segretario di Nunziatura e spesso Incaricato d'affari ad interim, in Corea del Sud, Costa d'Avorio, Brasile, presso l'Onu a Ginevra. Dal 1983 al 1989 sono stato capomissione a Strasburgo per le istituzioni europee. Nel 1989 mi hanno consacrato vescovo per essere Nunzio apostolico in Pakistan dove sono rimasto fino al 1993, assumendo quindi il mandato di Rappresentante del Papa in Thailandia, a Singapore, in Birmania, Laos, Cambogia, Malesia e Brunei».
Perbacco! Ma quante lingue sa?
«Converso benissimo in francese, spagnolo e inglese, ho qualche piccola difficoltà con il tedesco, il portoghese e il latino...».
Anche il latino!
«Ho scritto un centinaio di pagine, in latino. Sono uno dei pochi a riuscirci».
Non abbiamo dubbi.
«...in Pakistan celebravo e facevo piccole prediche in urdu».
In urdu.
«...e in coreano, in Corea».
Immaginiamo che fin da ragazzo fosse portato per le lingue.
«Macché. Più per la matematica, ma sono cocciuto e voglio imparare».
Se le dicessero: monsignore, può esprimere un solo desiderio e questo desiderio verrà esaudito. Cosa chiederebbe?
«Chiederei di poter continuare a servire, pronto a quando il Signore chiamerà. E quel giorno spero di vedere il Suo volto in pienezza e con gioia».
Nel 1999, preparando il Giubileo, lei disse: la Chiesa non è un carrozzone scricchiolante ma un missile che viaggia alla velocità della luce verso il futuro. Lo pensa ancora?
«La Chiesa non è un carrozzone. È una comunità, ha dei limiti come tutte le famiglie ma tanta vitalità. È fatta da uomini e donne di buona volontà. In tantissimi fanno volontariato. Pensiamo al Trentino: pochi giorni fa è morto Carlo Spagnolli, grande modello di generosità... Dicono che il 23% dei trentini sopra i 14 anni faccia attività di volontariato. Queste le cifre ufficiali ma io mi spingerei fino al 35%».
Ma non ci sono più preti, tanto che si discute se ammettere oppure no gli uomini sposati al sacerdozio. Lei è favorevole?
«Lasciamo che il Papa decida».
Non ha risposto.
«Non credo che ammetterli risolverebbe il problema. Comunque nelle chiese orientali cattoliche - in Ucraina, ad esempio - gli uomini sposati sono ammessi al sacerdozio».
Mi scusi, non ha ancora risposto.
«Aspettiamo il Santo Padre. Ci hanno insegnato che quando qualcuno ha messo mano a una questione lo si rispetta».
Parliamo dei matrimoni gay. Favorevole o no?
«Un vero e proprio matrimonio, no. Il matrimonio ha anche la funzione della procreazione. Che lo Stato dia un riconoscimento particolare alle unioni gay, questa è un'altra faccenda».
Monsignor Bressan, come trascorre le giornate?
«Mi alzo alle 6 e un quarto, dico Messa, leggo molto: teologia, storia, saggi. Poi ho due mandati principali: sono Assistente nazionale dell'Unitalsi - parliamo di pellegrinaggi, mi occupo della formazione degli operatori, degli accompagnatori - e della Focsiv (volontariato internazionale)».
L'ottantesimo compleanno merita una festa speciale. Il suo programma?
«A Lourdes».
Sul serio?
«Certo, fino all'undici febbraio, anniversario della prima apparizione. Ogni 11 febbraio viene celebrata una festa. Ci sarà anche un convegno».
A proposito, cosa pensa delle apparizione della Madonna a Medjugorje?
«Distinguerei tra apparizioni e visioni. A Medjugorje penso ci siano state molte visioni... gente che crede di avere visto la Madonna...».
Lei è scettico.
«Dico solo che a Lourdes e a Fatima la Madonna ha parlato pochissimo. A Medjugorje invece...».
Okay.
«Medjugorje è un centro di preghiera, e va bene. Quanto al resto...».
Un'ultima cosa. Alla fine del 2014, poco prima di rassegnare le dimissioni da arcivescovo di Trento nelle mani del Papa - dimissioni presentate secondo la norma canonica al compimento del 75° anno d'età - lei affermò: la priorità più grande del Trentino è ritrovare l'entusiasmo di fare le cose, di lavorare, di studiare, questo manca oggi alla nostra terra. Lo pensa tuttora?
«Siamo un po' seduti, senz'altro. Il mondo corre: in pochi giorni i cinesi costruiscono un ospedale per i malati del virus, qui ci vogliono 6 mesi per fare una rotonda! E poi loro studiano: la Corea del Sud ha il 56% di laureati, stessa cosa Singapore. In Italia siamo al 26%... E non è che in Corea o a Singapore facciano tutti i professori: puoi prendere la laurea e fare il contadino,se vuoi, ma tra un contadino che ha studiato e uno che non ha studiato c'è una bella differenza! Studiare è importante. Studiare apre la mente».
Grazie, monsignor Bressan, e ancora tantissimi auguri.
«Grazie a voi».