Maltrattamenti a minorenni Però era tutto falso Scagionato un operatore
Sberle, spintoni, punizioni come andare a letto senza la cena o la minaccia di separare fratello e sorella: in totale venivano contestati sette presunti episodi di abuso dei mezzi di correzione a danni di tre minori ospitati in una struttura di accoglienza. Le accuse mosse ad un operatore erano pesanti, anzi infamanti per chi ha dedicato la vita ad assistere con passione bambini e ragazzi minorenni in difficoltà. Ma erano sprattutto accuse del tutto infondate, un castello di carte che è crollato sotto i colpi delle indagini difensive condotte dagli avvocati Marco Zanella e Maria Cristina Osele. Alla fine è stata la stessa procura a chiedere, ed ottenere dal gip, l'archiviazione del procedimento penale. Si è scoperto infatti che le accuse erano frutto di manipolazioni e suggestioni, almeno in parte orchestrate da genitori in conflitto con l'operatore e più in generale con la struttura di accoglienza "Don Guetti" dell'Associazione provinciale per i minori Appm). L'indagine ha messo in evidenza le stringenti procedure di verifica e monitoraggio sui minori che in questo caso hanno funzionato anche a tutela di un dipendente ingiustamente accusato.
La vicenda è delicata. Restiamo dunque ancorati ai fatti, così come emergono dagli atti del procedimento penale. Il primo fatto è l'esposto presentato nel dicembre del 2017 dal Comitato difesa bambini e famiglia. Nella denuncia si segnalavano all'autorità giudiziaria «maltrattamento, percosse, lesioni, minacce, ricatto, terrorismo psicologico, estorsione e persecuzione contro i minori». Le indagini si chiudevano nel luglio scorso con l'invio ad un operatore della struttura di un avviso di deposito atti per abuso dei mezzi ci correzione. Il capo di imputazione citava sette presunti episodi di violenze, a livello fisico o psicologico, a danno di tre minorenni. Tre episodi avrebbero visto come protagonista una ragazzina di 14 anni: durante una gita al lago l'operatore le avrebbe scagliato addosso uno zaino; in altre occasioni di fronte alle intemperanze della minore (punite con una settimana senza tv) questa sarebbe stata presa per il collo e trascinata in camera, oppure spinta fino a sbattere la tesa contro un muro. Il capo di imputazione citava anche presunte violenze subite da altri due bambini, fratello e sorella: si parlava di schiaffi, lanci in acqua in piscina, minacce di separare fratello e sorella.
L'operatore indagato ha sempre respinto tutte le accuse. Determinante è stata la ferrea organizzazione che si è data l'Appm: gli operatori lavorano in equipe, mai da soli tranne di notte, e sono affiancati da volontari in servizio civile. Costante è il confronto anche con gli assistenti sociali. Ogni minore è seguito passo a passo attraverso un monitoraggio quotidiano con valutazioni date da due diversi operatori. Inoltre durante ogni turno viene compilato un "diario giornaliero" che registra tutto quanto accade. C'è dunque un sistema di controlli incrociati che "fotografa" i progressi (ma anche eventuali malesseri) di ogni minore ospitato dalla struttura. Tutto ciò viene riconosciuto dalla stessa pm nella richiesta di archiviazione in cui rileva anche «chiare problematiche di "ingerenza" esterna nel lavoro della equipe e quindi dei singoli operatori».
Questa mole di documenti è stata fondamentale per i legali dell'operatore indagato perché ha permesso di smontare le accuse di ognuno dei sette episodi contestati. In alcune occasioni l'operatore non era neppure stato presente al fatto; in altre gli episodi descritti erano avvenuti in modo radicalmente diverso. E così, per esempio, il lancio del bimbo in piscina in realtà era il tuffo che il solerte operatore faceva fare dalle sue spalle a tutti i bambini. L'unica occasione in cui l'operatore ha toccato la ragazzina è stato per impedirle di scappare dalla finestra, rischiando di farsi molto male. Il quadro disegnato dagli avvocati difensori e dall'indagato durante un interrogatorio durato 4 ore era molto diverso da quello tracciato dalla querela. Come scrive la pm, ci sono «da un lato i minori (omissis) i quali, separati dalle famiglie di origine e dai loro principali affetti, si trovano catapultati in ambienti e famiglie che, sebbene tutelanti, rischiano di creare automatiche difficoltà di adattamento (soprattutto se nelle famiglie di origine manca la fiducia nell'operato dei servizi sociali) e, dall'altro, gli sforzi degli educatori i quali, a fronte dei disagi dei minori hanno l'arduo compito di supportare i ragazzi in un momento critico della loro giovane vita».