Appello di 215 precari dei Musei «Siamo fantasmi, e senza aiuti occorre un piano per la cultura»

Mediatori culturali ed educatori di Mart, Muse e Fondazione Museo Storico, oltre a lavoratori del mondo dello spettacolo, firmano una lettera aperta sulla situazione delle esternalizzazioni dei servizi museali e del precariato del mondo della cultura e chiedono un confronto con la Provincia.

L’appello è sostenuto da 215 firmatari dei quali 34 lavorano al Mart, 45 al Muse, 35 alla Fondazione Museo Storico del Trentino, al Castello del Buonconsiglio, al Centro S. Chiara, al Museo storico italiano della Guerra, Museo Diocesano, Museo Civico di Rovereto, Biblioteca Tartarotti, Teatro Portland, Scuola e Università, Soprintendenza per i Beni culturali, Associazioni, Festival, Teatri, liberi professionisti. 108 firmatari sono i non precari sostenitori dell’appello.

La situazione, rilevano, è aggravata dall’emergenza nazionale causata dal Covid-19 e «coinvolge l’intero sistema culturale trentino, museale e del mondo dello spettacolo». Ma «L’emergenza sanitaria, e le sue conseguenze - scrivono - sono solo la punta di un problema che riguarda anni di precariato di professionisti laureati e qualificati: il denominatore comune della condizione lavorativa di molti di noi è il costante stato di instabilità contrattuale, l’assenza di riconoscimento professionale e la mancanza di visione futura. Le realtà in cui lavoriamo - sostengono - sono differenti e sfaccettate, ognuna con specifiche caratteristiche ma che tristemente si accomunano per una inadeguata condizione di noi lavoratori intermittenti, e non solo, che porta a svilire le nostre professionalità, oltre che a depauperare il mondo culturale locale.

È il caso del Mart, uno dei musei provinciali, che vede noi mediatori museali lavorare in totale assenza di un monte ore stabilito e di uno stipendio costante, oltre che di tutele minime come la malattia o la maternità/paternità».

Un sistema «che favorisce la massima flessibilità, penalizzando la gestione professionale del lavoro nonché la sostenibilità economica di questa tipologia di contratti, che inevitabilmente ci costringe ad avere lavori paralleli per mantenerci, influenzando negativamente anche la progettualità futura riguardante le nostre vite private».

Da più di tre anni «questo quadro si è ulteriormente incancrenito con l’esternalizzazione dei servizi educativi, che ha comportato un’ulteriore riduzione dei nostri stipendi e che con quest’anno vede il rinnovo di tale prassi per i prossimi 5 anni, anche con un cospicuo taglio dei fondi da parte della Provincia.

Anche al Muse, il più grande museo provinciale con il Mart, la situazione si è aggravata dopo l’esternalizzazione dei servizi, creando un contesto di estrema precarietà lavorativa. In quasi 7 anni siamo arrivati a un centinaio di abbandoni del posto di lavoro, questo perché divenuto inconciliabile con una dignitosa vita sociale e familiare».

Ai politici chiedono di «considerare la nostra situazione lavorativa come parte di un sistema culturale da ripensare totalmente, a partire dall’errore delle esternalizzazioni dei servizi educativi dei musei provinciali, e nell’ottica di comprendere e affrontare i cambiamenti che l’emergenza sanitaria impone e imporrà».

Infine, le proposte. Per i lavoratori assunti con contratto intermittente, a chiamata e collaborazione occasionale «la possibilità di accedere a forme di sostegno del reddito»: il bonus una tantum per i lavoratori con partita iva allargato ai lavoratori intermittenti; un reddito di emergenza con anticipo o una velocizzazione dei tempi di erogazione, un’estensione del reddito sui 12 mesi al di là dell’emergenza; la NASpI, per i lavoratori dello spettacolo, per i giorni “buchi”.

«Chiediamo di poter continuare a svolgere il nostro lavoro producendo materiali utili per la didattica a distanza o la fruizione televisiva, lezioni o visite on line agli spazi museali. I musei provinciali in parte lo hanno fatto ma chiediamo che questa attività venga ampliata anche con la collaborazione dei colleghi lavoratori dello spettacolo, le cui competenze sono senz’altro utili per la realizzazione di prodotti multimediali e video-televisivi, e pensare per il prossimo futuro a progetti di interrelazione tra la scuola e i musei del territorio».

A giudizio dei 215 firmatari serve un «ripensamento complessivo della gestione dei nostri luoghi di lavoro e di ciò che ci viene chiesto di fare. Occorre uscire dalla logica per cui si costruiscono musei che costano miliardi o si organizzano “grandi eventi” per mettere a lavorarci dentro dei precari sottopagati. Si è detto che dobbiamo cercare di immaginare il mondo del “dopo” e per questo occorre ragionare nell’ottica del servizio alla popolazione, e non del mercato fine a sé stesso o dell’“immagine”. Questo servizio alla popolazione, che deve essere di qualità, lo si può attuare solo implementando le produzioni multimediali e valorizzando chi nelle istituzioni culturali o nello spettacolo lavora ogni giorno».

La Funzione pubblica Cgil, con Stefano Galvagni e il segretario generale Luigi Diaspro, considera urgente, necessario e pienamente condivisibile l’atto di accusa dei 215 precari degli istituti culturali trentini. «Seguiamo da anni le vicende di questi lavoratori. Siamo stati praticamente gli unici a provare ad aiutarli, fin dai tempi di Dellai. Con l’assessore Mellarini avevamo compiuto qualche timido passo avanti. Poi è stata fatta “tabula rasa” di tutto».
Galvagni ricostruisce la storia recente: «Il tema si protrae dal 2006, quando cominciarono le prime stabilizzazioni: processi che provarono a superare le allora consentite forme di collaborazione esterna che, di fatto, vedevano impegnati dei dipendenti “mascherati” da professionisti esterni. Una nuova stabilizzazione avvenne nel 2010, poi nient’altro. Dal 2014 i numeri sono risaliti, i pensionamenti sono stati rimpiazzati quasi solo da nuovi precari finché, per i limiti imposti dalle nuove normative, si è passati agli affidamenti esterni. Da lì in poi si è imboccata una discesa senza fine, che Fp-Cgil ha denunciato subito: si chiama “dumping contrattuale”, ovvero si cambia il tipo di collaborazione per sfuggire alle norme del contratto collettivo. Le condizioni diventano insostenibili, con trattamenti economici ridicoli e orari folli».
In questo quadro è emersa l’ulteriore precarietà dei lavoratori degli appalti, la cui condizione è stata più volte denunciata dalla Fp Cgil, per ultimo sul loro presunto “vantaggio” di poter contare sulla cassa integrazione, espresso dal Direttore Lanzinger cui piace il sistema americano.
Nella precedente consigliatura provinciale, uno dei pochi atti concreti ha dato la possibilità ad alcuni precari del Mart di passare da collaboratori esterni a dipendenti a tempo determinato, con contratto triennale. «Ma subito dopo è arrivata la beffa, perché le recenti stabilizzazioni li hanno esclusi in quanto non hanno tenuto conto della loro situazione specifica, che li vede precari da 10 anni». Spiega ancora Galvagni, che prosegue: «Fp-Cgil ha fatto presente in diversi incontri, anche all’assessore Bisesti, che questa situazione è insostenibile sia per i lavoratori sia per i musei, che non possono andare avanti con una prevalenza di precari. Ora sembra che una possibile soluzione “tampone” sia abbandonare la forma di appalto attuale, quando scadrà, per arrivare a un appalto tramite lavoro interinale. Migliorerebbe il trattamento economico, ma terrebbe tutti nel precariato».
La richiesta di Fp-Cgil è consentire a queste persone di accedere alle forme di welfare legate all’emergenza ma non solo: «È urgente affrontare insieme alla politica, alla dirigenza, ai sindacati il tema di cosa vogliamo siano i musei trentini. Siamo consapevoli che una parte di lavoratori nei musei è “funzionalmente utile” se flessibile, sappiamo che i musei hanno rappresentato per tanti neolaureati un momento di specializzazione. Ma un conto è consentire queste esperienze, altra cosa è basare l’intera attività sul precariato».
Fp Cgil proporrà e sosterrà tutte le iniziative volte a far emergere la questione e a individuare soluzioni, a partire da un processo di re - interenalizzazione dei servizi museali.

 

 

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