«Il Comune di Trento si adegui subito alla sentenza sul diritto all'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo»
«Il Comune di Trento provveda tempestivamente all'annullamento in via di autotutela del provvedimento di diniego di iscrizione all'anagrafe e conseguentemente rilasci alla signora il provvedimento di iscrizione richiesto».
È questa la richiesta contenuta nella missiva inviata all'amministrazione comunale di Trento dal professor Valerio Onida, presidente emerito della Consulta e dall'avvocato Giovanni Guarini, dopo che la Corte costituzionale, nel luglio scorso, ha bocciato la norma, prevista dal decreto dell'allora ministro Salvini, che negava ai richiedenti asilo il diritto di iscriversi all'anagrafe.
In questo caso la richiesta riguarda una donna ucraina, rifugiata in Italia assieme al figlio minorenne, per sfuggire alla guerra civile. Alla signora, che vive tuttora in città con regolare permesso, è stata negata l'iscrizione dal Comune di Trento.
A questo punto, visto che il contestato articolo 13 del decreto Salvini è stato dichiarato incostituzionale, viene chiesto al Comune di tornare sui suoi passi e procedere con l'iscrizione anagrafica - dal momento della richiesta, dunque dal 21 dicembre 2018 - senza attendere che si pronunci il Tribunale di Trento, dove la donna aveva impugnato il diniego (i giudici di primo grado avevano respinto la sua richiesta e ora il caso è in appello), chiedendo la dichiarazione di invalidità e l'accertamento del carattere discriminatorio del rifiuto opposto dal Comune.
Ora la palla passa all'amministrazione.
LA NOTIZIA DELLA SENTENZA E LE PRIME REAZIONI (14 luglio 2020)
Anche le aule giudiziarie di Trento si erano occupate dell'iscrizione anagrafica negata ai cittadini stranieri richiedenti asilo in Italia. Una preclusione prevista dai decreti sicurezza voluti nel 2018 dall'allora ministro Matteo Salvini e bocciata l'altroieri da una sentenza della Corte costituzionale.
A Trento sono un paio i casi finiti in tribunale e i giudici di primo grado avevano respinto le richieste delle persone richiedenti protezione internazionale che contestavano i dinieghi comunali. I giudici, dunque, hanno considerato infondata la questione di legittimità costituzionale. Nel resto d'Italia, in gran parte dei casi la valutazione è stata diversa. Si sono registrate molte pronunce che hanno riconosciuto al richiedente asilo il diritto anagrafico secondo il regime «ordinario», affermando che l'effetto abrogativo dei decreti riguarda solo un iter speciale per l'accertamento dell'effettiva residenza, secondo il quale bastava la dichiarazione della struttura ospitante, senza cioè la consueta verifica della dimora abituale (quest'ultima rimane in essere, considerato che lo straniero legalmente soggiornante va trattato come un cittadino italiano). Altri tribunali, invece, hanno optato per una terza via, sottoponendo alla Consulta questioni di legittimità costituzionale.
La Corte ha quindi certificato una violazione dell'articolo 3 della Carta fondamentale, sotto un duplice profilo: «Per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l'accesso ai servizi che siano anche a essi garantiti».
Ora si adeguerà anche il Comune di Trento, che fin qui ha applicato il contestato articolo 13 del decreto Salvini, «per rispetto della legalità», pur spiegando di non condividerlo. Altrove in Italia qualche sindaco si è rifiutato (finendo denunciato), richiamandosi appunto alla Costituzione e al principio di uguaglianza delle persone nei diritti e nei doveri. La materia tornerà a impegnare il tribunale di Trento il prossimo autunno, con un'udienza di appello riguardante la vicenda di una donna ucraina, rifugiata in Italia assieme al figlio minorenne, per sfuggire alla guerra civile.
Alla signora, che vive tuttora in città con regolare permesso, è stata negata l'iscrizione dal Comune di Trento: ora l'ufficio anagrafe dovrà tornare sui suoi passi, ma l'iter giudiziario naturalmente prosegue, per ottenere il riconoscimento del comportamento discriminatorio subìto e quindi della retrodatazione della residenza. Una revisione della sentenza farebbe venir meno anche la condanna al pagamento delle spese legali, quasi settimila euro.
La donna è assistita dall'avvocato trentino Giovanni Guarini, affiancato in questa causa da due colleghi già protagonisti a Milano di battaglie giudiziarie che hanno contribuito a sottoporre la questione al vaglio dei togati di piazza del Quirinale: il noto costituzionalista Valerio Onida, presidente emerito della Consulta, e il suo collega Alberto Guariso. «L'iscrizione all'anagrafe - sottolinea l'ex presidente della Corte Costituzionale - rappresenta la conseguenza necessaria della presenza legale di una persona che abbia fissato la propria dimora abituale in Italia.
È dunque espressione del diritto-dovere di essere riconosciuto e di riconoscersi come giuridicamente esistente e reperibile nel territorio nazionale. In tal senso si tratta di un diritto fondamentale della persona, legato al riconoscimento costituzionale della sua inviolabile dignità», aveva sottolineato fra l'altro il professor Onida.
Franzoia: buona notizia. Zannini: dovevate iscriverli prima
«Accogliamo con soddisfazione questa pronuncia della Consulta e naturalmente appena sarà ufficiale la attueremo nelle attività di anagrafe del Comune di Trento». L'assessora alle politiche sociali e vicesindaco Mariachiara Franzoia (Pd) commenta favorevolmente la sentenza che restituisce il diritto all'iscrizione, cioè alla residenza, ai richiedenti protezione internazionale presenti in città.
«Certo - aggiunge - è una giustizia procastinata, ma l'importante è garantire alle persone diritti e doveri, la possibilità di costruirsi una vita in Italia».
Ma non era il caso di forzare la mano, di fronte a una norma discriminatoria, come è avvenuto in altre città italiane che hanno assicurato l'iscrizione? L'esponente della giunta spiega che «Trento non è per la disobbedienza e ha scelto il rispetto della legge, pur non condividendola; però, già in gennaio il consiglio aveva approvato la mozione di Jacopo Zannini per l'istituzione di un registro parallelo, con valenza almeno simbolica, poi sospesa a causa del lockdown, ma sarebbe avvenuta proprio in questi giorni: fortunatamente non serve più». Franzoia spiega che in proposito «sono stati contattati altri Comuni che avevano istituito elenchi ufficiali di questo tipo, privi peraltro di valore anagrafico; non so saprei se da qualche parte si sia proceduto ugualmente all'iscrizione vera e propria».
Per parte sua, Zannini, che rappresenta in consiglio l'Altra Trento a sinistra, tiene a evidenziare il significato della pronuncia dei giudici costituzionali: «La sentenza - osserva - spazza via ogni titubanza o mancanza di coraggio, il diritto alla residenza è un diritto costituzionale e i decreti Salvini l'hanno violato. Il Comune di Trento deve prenderne atto e ricominciare a iscrivere i richiedenti asilo all'anagrafe, come io avevo chiesto nella mozione presentata a fine gennaio, che era stata depotenziata con il compromesso simbolico del registro parallelo. Ora non ci sono più scuse ci sono persone in carne e ossa e devono essere tolte dall'invisibilità. È tempo di tornare nell'alveo costituzionale e di rottamare questi decreti che di fatto rendevano cittadini di serie b i richiedenti protezione internazionale legalmente soggiornanti in città».
Passerini: enorme soddisfazione, ma quante vite umane rovinate
Nota di Vincenzo Passerini, già presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza del Trentino-Alto Adige
«Con un giudizio durissimo, la Corte Costituzionale ha bocciato la norma del primo decreto “sicurezza” che impedisce ai richiedenti asilo di ottenere l’iscrizione anagrafica in un Comune. La norma è stata definita dalla Corte “irrazionale” e “irragionevole”. Contro questa norma e contro altre norme del primo decreto “sicurezza” (poi anche del secondo, non meno nefasto del primo) , voluto dall’allora ministro dell’Interno Salvini, e approvato dal governo Conte-Lega-Cinque Stelle e dal Parlamento, ci siamo strenuamente battuti insieme a tanti cittadini e organizzazioni della società civile in questi quasi due anni dalla sua approvazione (24 settembre 2018).
Ricordiamo con gratitudine i sindaci, primo fra tutti Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, che hanno praticato l’obiezione di coscienza nei confronti di quella norma anticostituzionale. Esprimiamo, quindi, una enorme soddisfazione. Che lascia però il posto a una profonda amarezza pensando a quante vite umane sono state rovinate da tanta “irrazionalità” e “irragionevolezza”.
Cosa vuol dire per un richiedente asilo non potersi iscrivere all’anagrafe comunale? Vuol dire non poter avere una carta d’identità, non poter avere un domicilio, né, perciò, aprire un conto corrente, una partita Iva, quindi non poter fare neanche dei piccoli lavori (come e dove ti pagano?). Vuol dire non poter avere la patente di guida, non poter accedere a prestazioni sociali, e così via. Il richiedente asilo, va ricordato, non è un “clandestino”: per le leggi internazionali, sottoscritte dall’Italia, egli ha diritto ad essere dignitosamente accolto in attesa che si valuti la sua richiesta di asilo, di protezione. Quante vite di poveri Cristi ha rovinato questa infelice norma che oggi la Corte giudica irrazionale e irragionevole?
Quante sofferenze ha causato a persone già prive di tutto, spesso con un passato di violenze subite, l’applicazione di questa norma? Quanti richiedenti asilo sono stati buttati in strada, emarginati, magari gettati in braccio alla microcriminalità? Chi mai risponderà delle disumane conseguenze di questa norma irrazionale e irragionevole? Vale la pensa riportare testualmente il passo del Comunicato stampa della Corte costituzionale di giovedì 9 luglio che, in attesa del deposito della sentenza, spiega il motivo per cui la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità di questa norma: “per violazione dell’articolo 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti”.
Una stroncatura che dovrebbe far arrossire di vergogna Salvini, il governo di allora e i parlamentari che l’hanno votata. Va ricordato che l’articolo 3 della Costituzione afferma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”. Il programma del governo in carica, nato il 5 settembre 2019, è articolato in 29 punti, e il punto 18, dedicato al tema immigrazione, prevede, tra l’altro, che “la disciplina in materia di sicurezza dovrà essere rivisitata, alla luce delle recenti osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica”.
La modifica dei decreti cosiddetti “sicurezza” è perciò nel programma. Attui il suo programma, il governo, anche su questo punto. I partiti che lo sostengono parlino e decidano. O deve arrivare la Corte Costituzionale a ricordare loro che le leggi “irrazionali” e “irragionevoli” vanno cambiate? Prima che rovinino troppe vite umane?».