L'autocritica di Lorenzo Dellai: «Contro la 'ndrangheta del porfido servivano regole più efficaci»
Senta, Lorenzo Dellai: commentando l'Operazione Perfido sul radicamento della 'ndrangheta in provincia - abbiamo usato le parole dei magistrati - il vescovo Tisi ha detto che negli ultimi anni il Trentino s'è voltato dall'altra parte per non vedere ciò che stava accadendo. «L'arcivescovo dice una cosa giusta quando distingue il valore dell'autonomia e dell'autogoverno dalla presunzione di essere immuni ai fenomeni globali».
Il vescovo parte proprio da lì. «I fenomeni globali, sia quelli di natura tecnologica e culturale sia quelli, ahimè, di natura criminale, sono per l'appunto globali».
Ovvio. «Si è sempre saputo e discusso in tutte le sedi del fatto che la criminalità organizzata - il sistema delle mafie - da sempre punta a penetrare, investire, riciclare i proventi illeciti in aree del Paese che sono solide dal punto di vista economico. È stato ricordato, anche l'altro giorno, che la Provincia aveva istituito da tempo degli ?osservatori?, anche d'intesa con le categorie imprenditoriali che su questo punto hanno sempre manifestato preoccupazione. L'ex procuratore Dragone, non a caso, era stato incaricato di coordinare un gruppo di lavoro e mi risulta che questo lavoro sia andato avanti».
Quindi la percezione che l'autonomia non sia immune a questi processi, esiste. «Sì, e certamente vicende come questa devono rafforzare la convinzione. Perché non è soltanto un settore particolare come quello del porfido che può essere d'interesse per questo tipo di penetrazione».
Secondo l'indagine, infatti, il radicamento della 'ndrangheta sarebbe avvenuto anche nei settori dell'autotrasporto e degli investimenti immobiliari. «Non sono delle novità assolute, ma quest'ultima vicenda deve rafforzare il montoraggio e la collaborazione».
Quale tipo di collaborazione? «Penso soprattutto a quella tra le banche, le categorie imprenditoriali e ovviamente le autorità amministrative, giudiziarie e investigative».
Il Trentino - ed è il secondo spunto lanciato dal vescovo - sembra si stia ripiegando su sé stesso. «Ed è vero. Il Trentino si è un po' seduto, accontentandosi di ciò che ha raggiunto. Ha smesso di ragionare e di guardare avanti. Condivido il richiamo del vescovo - che non è solo alla politica, mi pare, ma a tutte le componenti della società, anche quelle economiche, sociali, civili e associative - di tornare a immaginare l'autonomia come un progetto di civiltà, di comunità attenta ai valori».
Ciascuno di noi deve accogliere il richiamo. «...con l'umiltà di ammettere che alcune cose vanno cambiate, rese più efficaci».
Ha impressionato l'autocritica di monsignor Tisi a proposito della Chiesa: anche i parroci si sono voltati dall'altra parte, dice don Lauro. Ci ha colpito e sorpreso visto che i magistrati hanno detto, prima di tutto, che i terminali della 'ndrangheta in Trentino erano collegati con altri magistrati, con carabinieri e vicequestori. Non parroci. «Io penso che quando le inchieste - non solo giudiziarie ma anche penalistiche o di associazioni del territorio - quando iniziative di questo tipo mettono in evidenza fatti del genere, e mi riferisco soprattutto alla condizione dei lavoratori di alcune cave del porfido, tutti devono fare autocritica. Perché il sistema, evidentemente, non ha letto attentamente questi fenomeni o non ha ottimizzato le informazioni che pure circolavano, immagino. L'autocritica è doverosa anche se, naturalmente, penso si debba dare il giusto peso a questa inchiesta».
Il giusto peso in che senso? «Lei prima diceva: i magistrati erano collusi con la 'ndrangheta...».
Non lo dico io: sono i magistrati a dire che i terminali della 'ndrangheta erano collegati con altri magistrati, con carabinieri e vicequestori. «Ciò che ho letto è che ci sono state delle occasioni conviviali promosse da una persona che risultava avere, a quanto sembra, la stima della comunità».
Vero. Giulio Carini, l'imprenditore di Arco di origini calabresi, aveva la stima di tutti. «Secondo me va detto, però, che se la strategia di questi gruppi malavitosi era anche di penetrare il sistema politico e amministrativo del Trentino, beh, l'obiettivo non è stato raggiunto. Mi pare che l'inchiesta metta in evidenza che tutto sommato il sistema di governo del Trentino non è caduto nella trappola, anche se probabilmente qualche ingenuità ci sarà stata. Alla fine, però, bisogna vedere quali responsabilità verranno accertate. È assodato, per il momento, che in alcune realtà del porfido ci fossero condizioni di lavoro terribili e non venisse rispettata la dignità stessa delle persone. Fa bene il vescovo a dire che dovevamo accorgercene e dunque intervenire. Però, ripeto, la vicenda in sé è già abbastanza grave ma evitiamo che diventi il pretesto per dire che il Trentino è in mano alle mafie e alla 'ndrangheta».
Questo è ovvio. «Già l'emergenza Covid mette a dura prova la tenuta del rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni, dunque bisogna dare il giusto peso alle cose».
Lei ha governato il Trentino dal 1999 al 2012 ed è stato sindaco di Trento dal 1990 al 1998. Come lei diceva, il sentore che in certe cave della val di Cembra succedessero cose strane si era percepito. Anche lei, in quegli anni, lo aveva percepito? «Il settore del porfido è sempre stato particolare da molti punti di vista: da quello ambientale a quello economico, fino alle modalità di lavoro. Un settore che la Provincia ha considerato con grande attenzione, anche attraverso diverse iniziative legislative».
Ma lei non ebbe mai la percezione di fatti anomali? «Certamente non avevo la percezione di una penetrazione della 'ndrangheta nei termini definiti da questa indagine».
Capito. «Per carità!, ciò che emerge è grave ma vediamo di non immaginare che la partecipazione a un evento conviviale promosso da una persona che all'epoca era stimata dalla comunità locale - Giulio Carini, appunto - sia sintomo e prova di una collusione con i poteri mafiosi! Credo ci sia una grande differenza tra una valutazione magari di opportunità e una valutazione di correità nella penetrazione mafiosa».
Okay. «L'impressione che mi sono fatto è che questa penetrazione della 'ndrangheta ci sia sicuramente stata in Trentino, come in tante altre realtà, ma dall'altra parte che il sistema politico, istituzionale dell'autonomia - in quasi tutti i casi portati alla luce - abbia dimostrato di essere assolutamente indisponibile a farsi coinvolgere in logiche d'interesse di questo genere. Questo va detto».
E noi lo diciamo. «Ci sono stati degli episodi gravi che devono far riflettere, anche in senso autocritico - lo fa il vescovo, devono farlo tutti, compreso il sottoscritto - però va notato che forse la nostra comunità ha le energie, benché un po' sopite come dice monsignor Tisi, e quel senso di rispetto profondo delle istituzioni per reagire, migliorare il proprio assetto e rendere ancora più difficile l'insediamento di queste strategie criminali nella nostra comunità».
Ha appena affermato che anche lei deve fare autocritica. Ci ha colpito, Dellai. «Chi ha governato una comunità dai vari punti di vista - non solo politico - deve sentirsi responsabile per ogni cosa che accade. Cose che magari avrebbe potuto rendere... come posso dire... più improbabili che accadessero. Non so se mi sono spiegato». Si è spiegato. «Nel caso in questione, per la verità, nel periodo che ho trascorso in Provincia, segnalazioni specifiche su fatti che riguardassero penetrazioni malavitose mi pare di non averne colte. Ma ciò non vuol dire che, evidentemente, non si potesse fare meglio; magari trovare strumenti di monitoraggio migliori e addivenire a regole più efficaci per il governo di quel settore. Questo è giusto dirlo. Sarebbe sciocco il contrario». Grazie, Dellai. «Mi pare un atteggiamento onesto».