La felicità dei 18 pescatori liberi dopo 108 giorni di sequestro in Libia
Liberi i 18 pescatori di Mazara del Vallo sequestrati in Libia da 108 giorni. La vicenda si risolve con una missione a Bengasi di Conte e Di Maio. Gli 8 italiani, 6 tunisini, 2 indonesiani e 2 senegalesi torneranno a casa entro le prossime 36-48 ore con i loro due pescherecci ‘Antartidè e ‘Medineà. Il generale Haftar, le cui motovedette li avevano sequestrati, ha ora elogiato il ruolo dell’Italia nella crisi libica.
Un’accelerazione nell’ultima settimana, con i vertici della nostra intelligence a fare la spola tra Roma e la Libia, una trattativa durata tre mesi che ha visto entrare nella partita anche Tunisia, Francia ed Egitto, una sorta di ‘riconoscimento politicò chiesto e ottenuto dall’uomo forte di Bengasi come unica contropartita alla liberazione, alcuni momenti di fibrillazione negli apparati quando è stata fatta uscire la notizia del buon esito della vicenda prima ancora che l’operazione fosse conclusa.
L’ultima immagine del sequestro dei 18 pescatori bloccati in Cirenaica dalla notte tra l’1 e il 2 settembre sarà quella degli 007 italiani che scorteranno i due pescherecci fuori dalle acque libiche per consegnarli alle navi militari italiane affinché possano rientrare in sicurezza in Sicilia. Poi la festa a Mazara. Per arrivare però al blitz del premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi di Maio oggi a Bengasi c’è voluto un lungo lavoro diplomatico. Condotto, in primo luogo, dal direttore dell’Aise Giovanni Caravelli e dall’ambasciatore a Tripoli Giuseppe Buccino. È stata una trattativa «lunga e complessa» ha confermato lo stesso ministro della Difesa Lorenzo Guerini, condotta «in silenzio e con professionalità» dalla nostra intelligence. Un «lavoro determinante» da parte degli 007 aggiunge il presidente del Copasir Raffale Volpi.
Caravelli, uno dei principali esperti di Libia che ha seguito i dossier riguardanti il paese nordafricano già quando era vicedirettore dell’Aise, per una settimana ha fatto avanti e indietro per trattare e per organizzare la visita del premier, quando si è capito che la questione si sarebbe sbloccata prima di Natale. Partendo da una certezza: l’Italia non avrebbe mai consegnato i 4 giovani che per i libici erano calciatori ma che per l’Italia sono trafficanti di uomini e responsabili della morte di 49 migranti nella cosiddetta strage di Ferragosto.
I quattro - Joma Tarek Laamani, 24 anni, Abdelkarim Al Hamad, 23 anni, Mohannad Jarkess, 25 anni e Abd Arahman Abd Al Monsiff, 23 anni - furono arrestati in Sicilia nel 2015 e condannati prima dalla corte d’assise del tribunale di Catania e poi dalla corte d’appello a 30 anni. Sono ancora in carcere e stando al racconto dei migranti che viaggiavano con loro, la notte della strage «con calci, bastonate e cinghiate» avrebbero bloccato molti disperati nella stiva dell’imbarcazione. Impossibile che l’Italia prendesse in considerazione un’ipotesi di scambio di prigionieri.
Al centro della trattativa ci sarebbe dunque stato il ‘riconoscimento politicò chiesto da Haftar ed è indubbio che la visita e la stretta di mano con Conte e Di Maio sia un successo per il generale in un momento di grande difficoltà dopo le sconfitte militari con Tripoli. Ma secondo i media libici i discorsi sulla liberazione dei pescatori potrebbero aver coinvolto anche altri personaggi intrecciando i colloqui tra l’ambasciatore Buccino e il ministro della difesa libico, Salah al Din Al Namroush: sarebbe stato quest’ultimo a consigliare all’Italia di coinvolgere la Francia, visti i buoni rapporti di Parigi con Haftar.
In Libia c’è anche chi ipotizza anche un coinvolgimento di Al Sisi, il presidente egiziano protettore e sponsor di Haftar. Entrambi avevano da guadagnare: il generale, appunto, il riconoscimento politico che cercava, il presidente egiziano una carta da giocare con l’Italia nella partita per la consegna degli assassini di Giulio Regeni. E ha rivendicato un ruolo anche Ahmed Maiteeq, Il vice presidente del consiglio presidenziale libico, un uomo che ha sempre avuto buoni rapporti con Bengasi e il generale Haftar. In un’intervista al Corriere qualche settimana fa, ha ammesso di essere uno dei terminali della trattativa: «lavoriamo assiduamente per la liberazione dei pescatori, i miei collaboratori ne stanno parlando con gli ufficiali di Bengasi».
Certo è che gli uomini dell’intelligence per 108 giorni non hanno mollato il campo, avendo sempre sotto controllo la situazione dei pescatori, che erano chiusi dentro una palazzina all’interno della zona militare del porto, poco distante da dove erano ancorati i pescherecci. Quando li hanno presi, la notte tra l’1 e il 2 settembre, erano a 35 miglia dalle coste di Bengasi, dunque fuori dalle acque territoriali libiche.