Potevamo già avere il vaccino anti-Covid trentino, ma il progetto Cibio è rimasto al palo
Occasione perduta, questo è certo. Per almeno un paio di milioni, o poco più, che sono mancati all'appello.
Pochi milioni, non centinaia. E così il vaccino del Cibio, prodotto nei laboratori di Povo guidati da Massimo Pizzato e Guido Grandi , è rimasto fermo al palo. «Occasione perduta, ma non del tutto» dice il rettore dell'Università di Trento, Paolo Collini . «Avremmo potuto essere oggi al punto in cui è arrivata ReiThera». Ecco, ReiThera. È una società biotech di Castel Romano, controllata dalla svizzera Keires Ag, che ha sviluppato e testato un vaccino in collaborazione con lo Spallanzani e ha superato la fase 1. ReiThera punta a chiudere le fasi 2 e 3 in giugno, quindi ad ottenere l'approvazione dalle Autorità di vigilanza per somministrare milioni di "italiche" dosi da settembre.
Ieri l'altro, davanti alla quinta commissione del consiglio provinciale, il rettore Collini ha spiegato perché, per il Cibio, per Trento, per il Trentino, si è persa un'occasione: «Sarebbe bastato investire dieci milioni di euro per tutta la fase 1 e molto probabilmente oggi avremmo un "nostro" vaccino per proteggerci dal Coronavirus» ha spiegato. Inevitabile il confronto con ReiThera. Che ha prima ottenuto, per accelerare la sviluppo del vaccino, 3 milioni di euro dal Ministero dell'università e della ricerca e 5 dalla Regione Lazio, quindi s'è vista approvare da Invitalia (di cui è amministratore delegato Domenico Arcuri ) un contratto di sviluppo per avere una partecipazione dello Stato di circa 49 milioni di euro ( 41,2 a fondo perduto e 7,8 di finanziamento agevolato). Tutto quello che il vaccino del Cibio non ha ottenuto. Eppure, Collini spiega che il Cibio può esser ancora della partita per il vaccino anti-Covid.
Professor Collini, in che fase è lo studio del vaccino del Cibio di UniTn?
«Siamo nella pre-fase 1, in cui si sperimenta la capacità del vaccino di proteggere dalla malattia».
Come e con chi state operando?
«La ricerca è sviluppata dai nostri ricercatori, ma c'è una partnership con un centro attrezzato in Toscana (Siena) per la sperimentazione su cavie. A questo punto saremmo potuto arrivare mesi fa, se ci fossero state le risorse. Questa prima parte l'abbiamo sviluppata con risorse nostre, con i nostri laboratori e il nostro personale. Ci vorrà ancora qualche settimana per chiudere la sperimentazione».
I risultati sono buoni?
«Sì, fino ad ora i risultati ci sono tutti. È efficace, costerebbe molto poco produrlo e basterebbe il frigo di casa per conservarlo, non come quello della Pfizer a -70 gradi».
La fase 1 è quella che si completa con la sperimentazione su almeno 100 volontari. Quanto vi serve?
«Almeno un paio di milioni».
Non mi dica che in Trentino o altrove non si possono trovare un paio di milioni, pubblici o privati...
«In un Paese serio, certo, sarebbe così. Il decreto Ristori vale 32 miliardi, e qui si parla di qualche decina di milioni. A Biontech, per lo sviluppo del vaccino Pfizer, il governo tedesco ha garantito 300 milioni di euro, ed il titolo di Biontech è passato da 30 dollari a 110 per azione...».
Il Cibio vittima del sistema Italia?
«L'Italia, come industria farmaceutica, è al vertice in Europa, come la Germania. Ma c'è un problema enorme».
Quale?
«C'è la ricerca di base per lo sviluppo dei prodotti e c'è, a valle, la capacità produttiva. Manca però la fase intermedia, quella che permette di portare farmaci e vaccini in approvazione davanti all'Ema europea e all'Aifa (Agenzia italiana del farmaco, ndr). Anche perché, in questa fase intermedia, c'è una componente di rischio gigantesca. Per questo qui entra in gioco Big Pharma. È una fase che in Italia nessuno fa».
Eppure siamo di fronte ad una pandemia e ad una complicata importazione di vaccini dall'estero, come le vicende Pfizer e Astrazeneca dimostrano...
«Appunto. Se un un Paese è in guerra, la prima cosa che un governo fa è mettere in piedi una fabbrica di armi. Per il Covid è passato un anno e compriamo ancora le "armi" dall'estero. Con 300 milioni, si potrebbe sviluppare il vaccino, produrlo in casa a basso costo e creare un'industria in grado poi produrre altri vaccini in futuro».
Ripeto: possibile che il Cibio non abbia trovato 2-3 milioni di euro per la prima fase?
«Qualche contatto, anche con possibili finanziatori, c'è stato. Ma senza successo. Forse siamo stati rinunciatari anche noi. Saremmo dovuti partire ancora in luglio. Poi, in settembre e ottobre, è arrivato l'annuncio che Pfizer e Astrazeneca avevano già il vaccino pronto... Pareva fatta, scommessa vinta».
Non è stato così, però.
«Infatti, oggi si sono capite due cose. Primo, con i vaccini esistenti il problema Covid non è risolto; secondo, ci sono le varianti. Inoltre, c'è il fatto che il vaccino non protegge per tutta la vita. Quindi, c'è un grande mercato dei vaccini che si apre. Anche perché quello della Pfizer, troppo costoso e complicato nella gestione, è destinato a sparire».
Per questo è convinto che il vaccino del Cibio sia ancora in gioco?
«Sì, la partita non è chiusa. Ma non posso dire che la Provincia non abbia creduto nel Cibio: se in dieci anni ha ottenuto questi risultati, è anche perché è stato sostenuto. Abbiamo fatto tutti degli errori. C'è rammarico, perché se a luglio avessimo avuto le risorse, oggi saremmo come ReiThera, sugli altari. Ma c'è ancora spazio per investire. Anche perché questo non sarà l'ultimo virus».