Vaccini AstraZeneca al via, gestiti dai medici di base. Fra difficoltà, incongruenze e dubbi
TRENTO - Si è messa ufficialmente in moto la macchina per la vaccinazione al personale scolastico, alle forze dell’ordine e nelle carceri tramite i vaccini AstraZeneca, riservati alle persone sotto i 55 anni. A gestire questa “partita” che coinvolge circa 30.000 persone (7.926 sono solo gli insegnanti provinciali, di ruolo e tempo determinato) saranno i 360 medici di medicina generale del Trentino. O, meglio, i circa 180 che hanno aderito. A dare l’annuncio della partenza è stato il dottore e sindacalista (segretario generale della Cisl medici) Nicola Paoli. Già giovedì sera, in realtà, il numero uno della sanità trentina Giancarlo Ruscitti aveva spiegato che «partiremo a breve con gli AstraZeneca tramite i medici di famiglia».
Paoli ieri mattina ha inviato un comunicato stampa: «Alle 8.20 sono state consegnate le dosi necessarie per vaccinare la popolazione afferente al settore del personale scolastico degli asili nido, materne ed elementari. I medici di medicina generale del Trentino,quindi, saranno i primi in Italia a vaccinare i pazienti adulti sotto i 55 anni di età». Potenzialmente, quindi, chi ha ritirato le dosi (circa la metà su un totale di 2.200 sono state consegnate) già oggi potrebbe iniziare a somministrarle. Ma le difficoltà logistiche non mancano.
Lo contattiamo: «L’Azienda sanitaria mi ha fornito una confezione con 10 dosi, le siringhe specifiche per estrarre e inoculare e una lista dei nominativi da contattare, ovvero i miei pazienti che insegnano. Ora telefonerò a queste persone e le inviterò in un giorno prestabilito - il sabato mattina - nell’ambulatorio per la vaccinazione. Ho anche già allertato il comandante della stazione di polizia, la la precedenza la avrà il personale di nidi e materne».
Insomma, una bella notizia. Le 2.200 dosi di AstraZeneca giunte martedì mattina in Trentino non rimarranno ferme nei frigoriferi. Ma il sistema organizzativo fa storcere il naso. Una cinquantina di medici di medicina generale, che tramite lettere, email, chat si sono confrontati in queste ore, ci spiega il perché. Senza polemiche, ma per cercare di fermare sul nascere un sistema che, secondo loro, non può reggere e funzionare.
«Il primo aspetto è logico: perché le persone con più di 80 anni devono prenotarsi online per la vaccinazione mentre quelle con meno di 55 anni devono attendere una telefonata dal proprio medico? Un paziente pluripatologico di 93 anni deve andare da Trento a Borgo mentre uno di 32 deve aspettare una chiamata e venire in bicicletta da noi?». Ed effettivamente, in maniera del tutto “laica”, questo aspetto appare incomprensibile e incongruente.
Ma proseguiamo: «Sottolineiamo che la nostra disponibilità c’è, ma c’è per mettere in piedi un sistema che regga con 10 vaccinazioni a testa, non centinaia se non migliaia. Il problema è organizzativo, perché un buon sistema fa la differenza sia nella fiducia dei cittadini sia nell’adesione. Allo stato attuale noi dovremmo spulciare tra i circa 1.500 pazienti che abbiamo quelli che insegnano ai nidi, poi alle materne, poi alle elementari e così via. Poi telefonare a ognuno, fissare dieci appuntamenti lo stesso giorno e continuare così. E se dimentico che un mio pazienti, che magari non ho mai visto, è un educatore? O se non lo so? L’accesso alle cure deve rispondere sempre a criteri di etica ed equità».
Tornando al dottor Nicola Paoli, ci ha risposto ad alcune di queste questioni. «Non si tratta di prendersi lavoro in più, ma di essere a disposizione dell’autorità sanitaria. Ricordo che in certe regioni i medici che non aderiscono vengono sanzionati. In questo momento storico Provincia e Azienda sanitaria ci tengono in grande considerazione».
Paoli ci spiega che poco più del 50% dei medici ha aderito, quindi circa 180 su 360. E prosegue con la logistica. «Quando apriamo un flaconcino abbiamo due ore di tempo per sommistrare 10 dosi. Poi la seconda dose, ci ha spiegato il direttore Antonio Ferro, va data 62/63 giorni dopo la prima. Faccio un accorato appello al personale docente, degli asili nido in primis, perché contattino i loro medici e fissino una data per la vaccinazione».
Torniamo ai medici “perplessi”: «Da marzo abbiamo fatto di tutto. Stiamo gestendo centinaia di telefonate al giorno, facciamo le visite, collaboriamo con la Centrale Covid e facciamo i tamponi. Ma queste scelte organizzative ci amareggiano. Ribadiamo: noi ci siamo, ma questi tentativi velleitari e improvvisati non si sposano con l’alto valore della sanità pubblica. Con queste prime poche dosi proviamo a rodare un sistema diverso per poi essere pronti ai grandi numeri».