Politica/ Il caso

Dai giornalisti culatoni, alle zecche rosse, alle troie: la luminosa carriera di Savoi

Il «Cionfoli» da Cembra, impiegato del Comune dopo un passato da cavatore, ripescato in Consiglio per l’elezione di Fugatti in Parlamento, viene perdonato sempre. Ma è una vera escalation

di Domenico Sartori

TRENTO. C'è, o ci dovrebbe essere, un limite anche all'imbarazzo. Quello del dito medio esibito da Alessandro Savoi nell'aula del consiglio provinciale, il "parlamento" dell'autonomia. Quello dei sindacalisti "parassiti", dei dipendenti pubblici "privilegiati", dei giornalisti "culatoni" (con una "t" sola), del "pecora" dato all'ex assessore all'agricoltura, l'autonomista Michele Dallapiccola. Quello del "pirla" con cui ha battezzato l'ex presidente della Provincia, Ugo Rossi. Quello, ad personam, della "zecca rossa" e del "bastardo" affibiati al collega giornalista Danilo Fenner.

Quello che mette in imbarazzo Fugatti, che però continua a tacere. Quello che ora dà delle "troie" alle colleghe che hanno cambiato partito. Quello che, quando, nel dicembre 2019, 6 mila "Sardine" riempiono piazza Duomo cantando "Bella ciao" contro l'odio e l'intolleranza, mette mano alla tastiera e posta: «Le sardine puzzano».

E quando a Maurizio Fugatti, segretario del partito prima, presidente della Provincia poi, si chiede conto delle performance del padre fondatore della Lega trentina, la risposta è sempre la stessa: «Conoscete Savoi, sapete com'è fatto».

La tolleranza incontra un limite quando le esternazioni del ruspante cembrano rischiano di compromettere trattative delicate in corso. Accade quando Savoi se la prende con i citati sindacati "parassiti" e i dipendenti pubblici "privilegiati". Siamo a giugno 2020, e a quel punto Fugatti, che con il comparto dei dipendenti pubblici ha una trattativa aperta, non può starsene zitto. «Prendo le distanze dalle sue parole» dice «il presidente del mio partito, tra le altre cose, è un dipendente pubblico. Cercheremo di avere un dialogo con le categorie sindacali...». E finisce lì.

Eppure, i due sono sempre andati a braccetto. Savoi era presidente nazionale (cioè del Trentino) della Lega dal 2005, lo stesso anno in cui Fugatti ne divenne segretario. Quindi, all'impiegato del Comune di Cembra-Lisignago, ripescato in consiglio provinciale nel marzo 2018 al posto di Fugatti che fu eletto deputato, le dimissioni dalla presidenza del "suo" partito devono essere costate assai.

All'indomani del successo alle politiche, nel 2018, il "Cionfoli" da Cembra - diploma al liceo Prati, qualche anno di lavoro in cava, poi l'impiego in Comune, una gioventù a sinistra, poi il voto per "el Cianco" (Sergio Casagranda) del Patt (1988), quindi l'avventura nella Lega di Bossi - ammise la svolta a destra della Lega: «La protezione dei confini, l'identità, la lotta all'immigrazione, il no ai matrimoni gay ci uniscono anche a Fratelli d'Italia e Casa Pound». Era il 7 marzo 2018. E Savoi, guardando alle successive provinciali di ottobre, fu preveggente: «Se, con la Lega trainante, ci saranno Cia, Kaswalder e la civica di Borga, e se troviamo un candidato presidente condiviso, li mandiamo a casa».

Il candidato fu trovato: Fugatti. E fu un trionfo. Ma due anni sono volati in fretta. Oggi quel pacchetto di mischia vincente si è sfaldato. Verso Fratelli d'Italia che, dal poco più del nulla (1,45%) delle urne si ritrova ago della bilancia nel centrodestra in aula, Savoi riscopre il termine "fascisti". Poi passa alle "troie". E ci resta sotto.

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