L’ex sindaca e l’assessora dovranno pagare quasi 400 mila euro per l’impianto a biomassa
Antonietta Nardin e Giovanna Paolazzi condannate in Appello: la somma da risarcire al Comune è la metà di quella richiesta, ma è accertata la «condotta dolosa» nell’affare di Campagna Rasa
CEMBRA. L'importo che dovrà rientrare nelle casse del Comune di Cembra Lisignago è la metà di quello chiesto in prima battuta, ma si tratta pur sempre di una cifra elevata: sfiora i 400mila euro. Denaro che dovranno sborsare l'ex sindaca Antonietta Nardin e l'ex assessora ai lavori pubblici Giovanna Paolazzi - per la precisione 386.847,61 euro - in merito alla tormentata realizzazione dell'impianto a biomassa per la produzione di energia elettrica in zona Campagna Rasa.
Le due ex amministratrici sono state condannate in Appello al pagamento in solido tra loro, a riforma parziale della sentenza della Corte dei Conti del novembre 2019; in via sussidiaria e in regime di parziarietà è stato anche condannato al pagamento in favore del Comune di 96.711,90 euro il direttore dei lavori. La vicenda ha seguìto anche la strada penale. È dell'autunno scorso la conferma delle condanne di primo grado per turbativa d'asta: 8 mesi di reclusione con la sospensione condizionale a ex sindaca, ex assessora e a due rappresentanti della Pyro-Max, ditta a cui fu affidata la costruzione dell'opera.
Dunque anche la magistratura contabile evidenzia una condotta dolosa nel progetto dell'impianto a biomassa, realizzato «sulla base di un'aggiudicazione illegittima e che sin da subito si era rivelato non funzionante e non collaudabile». Gli accertamenti condotti dalla procura della Corte dei conti erano partiti grazie ad un esposto in cui venivano evidenziate diverse irregolarità nella realizzazione del progetto. Come ricostruito dall'accusa, che ha ricalcato le contestazioni oggetto del procedimento penale, l'ex sindaca e l'ex assessora «ancor prima che fosse indetta la gara, sotto forma di confronto concorrenziale, per assegnare i lavori di realizzazione dell'impianto in parola, concordavano con tale signor omissis (che agiva per conto della ditta peraltro ancora da costituirsi), anche mediante incontri e riunioni pressi i locali comunali, l'affidamento dei lavori alla predetta impresa».
Si è trattato di un appalto per un importo totale di poco meno di 3 milioni di euro tra progettazione esecutiva e direzione lavori. A ex sindaca ed ex assessora, inoltre, si contesta l'interferenza nelle decisioni della commissione tecnica «anche mediante pressioni verbali» affinché l'appalto fosse assegnato alla Pyro-Max, avocando la decisione di procedere all'aggiudicazione. I lavori andarono avanti con difficoltà, come dimostrano le numerose proroghe concesse.Per la Sezione prima giurisdizionale d'Appello - presidente Agostino Chiappiniello, estensore Aurelio Laino - nella condotta di Nardin e Paolazzi vi è «una violazione del dovere di fedeltà valevole anche per i pubblici amministratori locali», secondo i princìpi di imparzialità e di buona amministrazione stabiliti dalla norma.
Nel caso specifico sarebbe stato «sottomesso l'interesse pubblico all'efficienza e all'economicità (...) a quello privato ed egoistico sotteso alla vincita della commessa pubblica da parte di una ditta privata, peraltro del tutto inidonea, sotto il profilo tecnico organizzativo ed esperienziale, a portare a corretta esecuzione l'appalto».La richiesta di risarcimento, quantificato in poco meno di un milione di euro, è stata individuata «nella sostanziale inutilità dell'opera, così come realizzata, al netto dell'utilità comunque ritraibile dai lavori compiuti e dalla parziale utilizzabilità della stessa, in ragione della incapacità operativa della ditta appaltatrice di condurre in porto il progetto».
Si è calcolato un danno di 531mila euro pari al costo dell'appalto e di 435mila euro per la mancata vendita di energia e di acquisizione degli incentivi economici previsti. Nel novembre 2019 la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti aveva condannato in solido Nardin e Paolazzi a 87mila euro, pari al 10% del danno contestato dalla procura regionale. In appello la rivalutazione è stata al rialzo: il 40% dell'importo originario, ossia 386mila euro da ripartirsi a metà tra le due ex amministratrici.
Il direttore dei lavori, la cui responsabilità era stata esclusa in primo grado, è stato condannato al pagamento in via sussidiaria della somma di 96mila euro, non per dolo ma per colpa: il denaro gli verrà richiesto qualora il Comune non venga risarcito dalle ex amministratrici.