Chiede la cittadinanza italiana, il Commissariato del governo la nega: "Guadagna troppo poco"
Finisce al Tar la vicenda di una donna, originaria del Marocco, in Italia da quasi 33 anni (da una decina a Trento), con due figli universitari nati qui: domanda dichiarata inammissibile perché col lavoro part-time in una cooperativa il reddito è troppo basso. I giudici di Trento hanno dichiarato di non competenza territoriale, ora dell'atto governativo si occuperà il Tribunale ammnistrativo regionale del Lazio
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TRENTO. Guadagna troppo poco, quindi non può ottenere la cittadinanza italiana. La domanda per diventare cittadina della Repubblica è stata "bocciata" nonostante la donna, originaria del Marocco, viva in Italia da quasi 33 anni (e di quesi una decina a Trento), abbia due figli italiani studenti all'università, disponga di un lavoro con contratto a tempo indeterminato.
Il sogno di diventare a tutti gli affetti cittadina italiana si è però infranto contro i rigidi requisiti anche reddituali che l'aspirante cittadino italiano deve soddisfare.
La signora non arriva alla soglia minima di reddito imponile e dunque la sua domanda è stata respinta.
Anche la strada del ricorso al Tar, per chiedere l'annullamento del decreto con cui il Commissariato del governo ha dichiarato inammissibile l'istanza alla concessione della cittadinanza italiana, sin qui non ha avuto buon esito. I giudici del Tar di Trento hanno dichiarato la propria incompetenza territoriale.
La materia, poiché la controversia in materia di cittadinanza produce effetti non territorialmente limitati, è di competenza del Tar del Lazio. Ora la ricorrente (e il suo legale Patrizia Galvagni) ha 30 giorni per riassumere la causa e continuare la sua battaglia legale.
Dopo una vita, di lavoro e senza macchie sulla fedina penale, trascorsa in Italia, la signora era convinta di aver maturato il diritto a diventare lei stessa italiana come lo sono i suoi due figli nati e cresciuti nel nostro Paese. La legge prevede infatti che «la cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'Interno, allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica».
È un requisito che la donna, arrivata in Italia nel 1989, è certamente soddisfatto.
Non altrettanto si può dire del reddito che secondo il Commissariato del Governo è troppo basso e non soddisfa i rigidi parametri previsti dalla legge. La ricorrente è invalida e dunque lavora part time, il suo stipendio è quindi modesto, ma integra con il reddito di cittadinanza e con un contributo concesso dall'Agenzia provinciale per l'assistenza. Gli interventi di sostegno però non rientrano nel calcolo del reddito che quindi rimane basso, troppo basso.
Eppure l'immigrata marocchina ha dimostrato coraggio e tenacia: lavora part time in una cooperativa che si occupa del servizio di lavanderia in una Rsa, non si è mai tirata indietro neppure quando il Covid 19 ha picchiato duro sulle residenze assistenziali.
Nel ricorso al Tar sottolinea che «il potere discrezionale di cui gode l'amministrazione nel valutare l'inserimento dello straniero in Italia deve essere esercitato ragionevolmente, considerando l'intero percorso di integrazione e l'adesione ai valori fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano, oltre che alla lingua e alla cultura dell'Italia, e - quindi - non soltanto il reddito».
Argomenti che l'avvocato Galvagni porterà di fronte al Tar del Lazio: «Questa donna è un esempio, merita la cittadinanza».