Trento / Il caso

Lo studente aggredito dai compagni, i ragazzi dell'Enaip: chi usa la violenza ha sempre torto, su di noi troppi pregiudizi

In una lettera gli allievi di due classi quinte dell'istituto di Villazzano condannano gli episodi finiti sulle cronache, ma anche un certo modo di raccontarli e interpretarli: «Sviliti il nostro lavoro e le nostre progettualità. Per noi scrivere ora è un gesto a difesa del nostro valore e dei nostri meriti»
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TRENTO. Citano Pasolini e parlano di bullismo come «corruzione dell'anima» e «perversione dei rapporti umani».

Soprattutto, sembrano arrabbiati perché stanchi di vedersi raccontare come tutti uguali e tutti ugualmente sbagliati, come se le responsabilità di due persone potessero ricadere su tutti.

Gli studenti dell'Enaip di Villazzano, pochi giorni dopo l'episodio dell'aggressione ad uno studente, da parte di due colleghi, intervengono per spiegare «il nostro sconforto, la nostra frustrazione, rispetto allo svilimento del nostro lavoro e delle nostre progettualità professionali, e per molti aspetti anche esistenziali».

Scrivono un quasi manifesto, come lo chiamano loro, con il format pasoliniano dell'io so, in un «gesto a difesa del nostro valore e dei nostri meriti».

Ne riportiamo alcuni stralci.«Noi sappiamo. Noi sappiamo che la violenza non può mai dirsi risolutiva e che quando la si sceglie se ne chiama sempre più, come in un gorgo, in una spirale. Noi sappiamo che chi usa violenza, fosse anche per una causa condivisibile, passa sistematicamente dalla parte del torto; noi sappiamo al contempo che i più piccoli e inesperti fra noi sono spesso fortemente tentati dalla risoluzione spiccia e che in questo devono essere aiutati. Noi sappiamo che il bullismo non è solo una perversione dei rapporti umani, ma anche una corruzione dell'anima del carnefice che mina alle fondamenta la sua stessa dignità. Il bullo prima lo isoli e poi lo recuperi.

Noi sappiamo che i pregiudizi nascondono pensieri facili e preconfezionati e che le etichette ci consentono di dare un nome alle cose anche quando fatichiamo a orientarci. Noi sappiamo che questa morale tascabile, standardizzata è molto rassicurante e che è spesso frutto delle nostre paure e delle nostre pigrizie».

Ma serve più comprensione che giudizio. Soprattutto, serve non fare di tutta un'erba un fascio: «Noi sappiamo che la scuola, come la società, è una grande comunità incentrata sul principio di solidarietà e che quando qualcuno sbaglia è necessario mitigare il rigore con la comprensione e l'empatia: chi di noi è senza peccato scagli la prima pietra! E noi sappiamo che la scuola è di fatto una enorme opera di semina i cui frutti un giorno ci saranno chiari: chi oggi accoglie la nostra fragilità e il nostro lato oscuro domani vedrà come noi sapremo accogliere quello degli altri».

Nella lunga riflessione, toccano il tema dei social, e criticano il giornalismo che, dicono, «tollera spesso di adeguare la sua cronaca a un resoconto passionale e ad effetto e che accetta di buon grado di seguire le piste battute dai social trasformando in tal modo il fatto nell'interpretazione del fatto».

E ancora: «Noi sappiamo tutto questo e molto altro e ne abbiamo avuto la prova schiacciante nell'ultima settimana trascorsa a leggere di noi». Ma loro evidenziano la necessità di elaborare quanto accade, «nella convinzione che il pensiero più vicino al vero è quello aperto alla condivisione reale e alla sincerità delle intenzioni».

A firmare sono gli studenti delle classi quinta A e quinta B Capes "Manutenzione e assistenza tecnica".

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